giovedì 22 marzo 2012

una casa piena di versi è poesia domestica




Ieri arrivo a casa a sera già bellamente avviata.  Sono in stato confusionale, al punto d’aver ascoltato in macchina per mezz’ora buona “la zanzara” su radio 24.  Ci sono gli estremi per l’annullamento del matrimonio ma Ste è comprensiva e ci rimedio un bacio del perdono che mi sembra un bell’acconto per la notte in arrivo. Cazzeggio per la casa, Suono la chitarra, dico una sfilza di cazzate e prendo in giro Orso che sta studiando un’architettura complessa per l’incrocio dei suoi lacci nelle scarpe da ginnastica. A cena ci spadelliamo i bucatini all’amatriciana e devo confessare che io non mi rendo per niente utile, limitandomi a mangiare taralli e a addestrare i cani a ritrovare pezzi di pane sotto i mobili, che almeno in caso di calamità se c’è da ritrovare dei panini sotto le macerie mi posso presentare io col mio team. Olmoteam ci voglio scrivere sulla fiancata del picàp.
Ora devo spiegare com’è articolato l’arredo della cucina, altrimenti non è chiaro come si sono svolti i fatti. Abbiamo dei mobili enormi e bianchi che Ste ha comprato a un mercatino di quelli “scambio e vendo” pagando in blocco 50 euro. E ci sarà un motivo. Sono mobili incollocabili, studiati per una comunità affetta da gigantismo e demenza. Chissà a cosa pensava Ste quando li ha comprati. In cucina ci stiamo strettissimi e non più di tre persone perché lo spazio è occupato da una ciclopica struttura lignea che ricorda le torri da cui si avvistavano i saraceni. In scala uno a uno. Dentro nessuno ricorda cosa ci sia perché se provi ad aprire la porta enorme che scorre su ruote la struttura collassa. L’unica cosa utile è la superfice bianca che abbiamo coperto, ho coperto per la precisione, con mille vignette che raccontano di Dani e dei suoi amici. Nel tempo ho dovuto aggiornare a ogni nuovo amico e ora sembra la camera funebre di una piramide con tutti ‘sti personaggi che raccontano le loro piccole storie. Ci sono i cani ovviamente e c’è Ste che l’abbiamo scherzata molto e non somiglia ma fa ridere e ci sono io che mi ha fatto Dani e ho lo zaino e il cappellino e c’è Dani con la chitarra e l’amplificatore e via così. Noi mangiamo ammucchiati in un angolo e a tavola abbiamo anche un bronzo di uno scultore della scapigliatura che non dirò, che ho trovato in un mercato pagandolo zero e che vale parecchio ma noi che lo volevamo vendere ci siamo innamorati di ‘sto bambino un po’ sghembo e l’abbiamo ribattezzato Eros e lo teniamo a cena con noi fisso. Accanto a Eros c’è Valenia che è una maraca a forma di giraffa. La casa è tutta così insomma. Un Vittoriale pop. Eravamo alla cena. Quando mi siedo guardo l’armadione che mi copre la vista dei fornelli e che mi ha salvato la faccia la mattina che Ste ha provato a fare l’orzo nella caffettiera provocando uno scoppio significativo. Orzo boia. L’esplosione di caffè sul muro è rimasta perché è un’istallazione che chissà quanto pagherebbe la gente per averci una cosa così sulla parete. Vabbè, mentre mangio noto che mi guardano e ridono anche i cani ma questo succede sempre e la mia autorità è stata messa in discussione il giorno in cui ho dipinto le pareti del mio studio di arancione acceso e l’ho fatto da solo, con un golpe e in barba al parere della popolazione, tipo la TAV. Da allora il mio consenso è sceso a picco. Mentre mangio chiedo notizie della tartaruga. Bobbiliù, la tartaruga a cui abbiamo dato il nome di un caro amico nostro, sta bene e si è svegliata dal letargo. Occupa il terrazzino della cucina che, per lei e solo per lei, è stato riempito di terra e sassi e una ciotola d’acqua e, da poco, anche da un lampioncino di quelli che si ricaricano col sole. Sto parlando di una superfice che arriva a stento al metro e mezzo quadro. Questo però vi fornisce nuove chiavi di lettura sul perché io sia follemente innamorato di Ste. Tutti all’inizio pensano che tra i due quello di fuori sia io, poi il tempo è galantuomo e si chiarisce l’equivoco. Sta di fatto che a un certo punto alzo lo sguardo e lo vedo. Sulla parete di fronte a me c’è un enorme orologio rosa con la cornice bianca. Agghiacciante. Proprio sopra la vecchissima bilancia da fruttivendolo coi pesi e tutto, i cui piatti sono gremiti di pupazzetti che si trovano nei sofficini e, bada bene, noi non mangiamo sofficini per cui se nella tua confezione non hai trovato il babacetto come da regolamento guardaci con sospetto e dicci dove vai a fare la spesa. Nel quadrante dell’orologio rosa al posto dei numeri ci sono animali in un rosa più chiaro. Tutto in bianco e rosa questo orologino raffinato. Ogni volta che scocca l’ora parte il verso di un animale. Euro dieci a San Salvario per questa meraviglia. Nove euro più di quello che vale. Alle otto la lancetta va su maiale e sarebbe già agghiacciante così ma il bello è che a animale raffigurato non corrisponde il verso per cui il porco raglia come un indemoniato. Resto basito a fissare il maiale che ha appena ragliato. Mi assicurano che quella bella tecnologia è dotata di un sensore che quando c’è il buio azzittisce le bestie. E io mi fido pure. Alle due di notte un gatto miagola come miagolerebbe un felino domestico se lo sodomizzassero con una borraccia da ciclista piena di gingerino. I cani saltano in piedi e si lanciano vero la cucina. Mi sveglio e tiro una maledizione che col gatto e i cani si accorda subito in un coro dalla magica polifonia. Ste socchiude gli occhi. Lo vedo perché ho acceso la luce per capire dove mi trovo. Ride. Poi torna a dormire della grossa. Dopo è la volta delle anatre, dell’asino e dell’uccellino. Stesso copione, i cani abbaiano, io sbarro gli occhi e maledico, Ste la intuisco che ride e dorme ma evito di accendere la luce. La mattina a colazione riunisco gli stati generali e minaccio pesanti ritorsioni. Dani dice che lui ha dormito benissimo e ridono gli stronzi. La teoria di Ste è che entra troppa luce dalla strada. Compreso il lampioncino che hanno attrezzato per la tartaruga casomai dovesse andare in bagno la notte. Decidono che la sera, prima di andare a dormire, copriranno con un panno nero l’orologio della fattoria del demonio. Giusto per portarmi rispetto ma io lo so già che quel cazzo di sensore non funziona e al primo chicchirichì prendo la macchinetta che distribuisce le gomme da masticare che ho accanto al comodino e gliela scaglio addosso. Senza contare che anche certe sicurezze vanno in pezzi se mentre ti giochi le tue migliori carte d’amatore nell’altra stanza nitriscono. Non c’è partita.
Si avvicina l’ora. Non c’è verso.

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