domenica 23 ottobre 2016

BIGLIETTO DI ANDATA


Gianni Berengo Gardin, Catania, 2001




Allevare l’idea del ritorno può rivelarsi il più tragico degli errori. Il ritorno non è una misura proiettiva del futuro. L’idea del tornare e l’avvenire sono inconciliabili. La putrescente speranza del ritorno che ti porti nello stomaco come la carcassa di un gatto investito e lasciato marcire a bordo strada è qualcosa che può fottere, ma fottere sul serio. Può inchiodare la vita l’ipotesi di un ritorno, che diventa ragione d’essere, di resistere, di respirare ancora, perché verranno tempi migliori e quei tempi saranno come quelli che hai lasciato e che andrai a riprenderti. Peccato che non ti dirai mai perché, se erano questo concentrato di meraviglia, li hai lasciati. Sei partito coprendo distanze spaventose e magari in senso geografico rimanendo vagamente nei pressi. Ma sei andato. Carico di bagagli come le truppe cammellate o a spalle leggere, che l’utile del viaggio già ti pompa per natura sua nelle vene e il resto è solo un baluardo a dimensione variabile tra te e la paura. Tutta la paura possibile. E io il mio ritorno l’avevo allevato come quegli alligatori che certa gente delle metropoli americane dice che s’era portata a casa comprandoli al negozio dei pesciolini rossi e dei criceti. Bestioline simpatiche quegli alligatori appena usciti dalle loro uova. Se ne stavano nel fondo dell’acquario e i bambini di casa gli buttavano pezzetti di carne di pollo, guardando replicate dal vivo nel tinello di casa le scene migliori delle pellicole tarzaniane. Nessuno può credere che quelle persone non sapessero che quei rettili lunghi pochi centimetri e guizzanti nella vaschetta erano, in potenza, dei mostri preistorici, portatori di morte e violenza. E infatti dice che a un certo punto si verificarono incidenti domestici. I primi, meno gravi. Falangi di bambino perdute e acqua dell’acquario che prendeva la tinta decisa del Refosco. Poi roba più seria. La domestica messicana, tenuta da clandestina in un sottoscala, sfigurata mentre cambiava l’acqua alla vasca, un cane di razza cocker spaniel aperto come un messale. Dice ancora, ed è ben evidente che stiamo parlando di cose che si raccontano senza nessun fondamento, negando l’appiglio al reale, omettendo mai compitati indici statistici di riferimento, che quelli che non se la sentirono di stroncare a martellate i loro coccodrilli da camera in crescita, li gettarono nel sistema fognario. Il culmine di questa meravigliosa leggenda sta tutto nella razza di coccodrilli ciechi e albini che scelse le fogne di New York come habitat d’elezione.
Così avevo tenuto la mia idea del ritorno come una bestia letale che mi cresceva dentro e che per ora era rimasta in uno stato letargico lasciandosi guardare tutte le notti con suo carico d’evocazione che avrebbe potuto afferrarmi alla gola e uccidermi. Comprando una casa in un bosco lontanissimo dalla mia vita di adesso e che era l’acme narrativo di quell’altra vita, di quell’altro tempo. E cullando l’idea del ritorno come un piccolo alligatore a galleggiarmi nell’anima. Non possiamo tornare mai e non perché non si sappia cercare la strada e i segni. Il ritorno è solo la misura dell’assenza. Perché quando torni tutto se n’è andato semplicemente cambiando. Si cambia sempre. Guardati allo specchio del cesso la mattina e lo saprai da solo. Il mio alligatore è cresciuto, non ce l’ho fatta a sfilettarlo con una lama buona e adesso è cieco e albino e quando si muove mi ribalta lo stomaco e l’anima e si sente stretto nella pelle mia. Poi oggi ho capito che non ce l’ha con me, vive sognando di tornare alla laguna, alle prede, al fango e a quegli altri come lui sdraiati al sole. Lui che il terzo giorno di vita stava nella vasca di un negozio di pesci rossi e criceti. Come ai bei tempi dice parlando, cieco e albino, da solo. E lo sento gorgogliare lacrime. Di coccodrillo. 

E allora niente ritorno. Andrò avanti un altro po'. 










sabato 22 ottobre 2016

algoaritmia






Egli, l'algoritmo, era per me creatura di grande mistero ma che sapeva attivare in me anche una certa antipatia. Forse per quel nome che mi richiamava tracce d'algido e d'alga e poi la Ritmo, che come macchina m'ha sempre fatto schifo parecchio. Dice che l'algoritmo governa la rete e i suoi motori immobili con una regola che tu non sai ma ti pervade, ti ruba l'anima e te la restituisce che sembra un sofficino gusto tofu. A me il tofu mette tristezza. Poi oggi pomeriggio mi sono messo a cercare la moto nuova. un tempo cambiavo più moto che donne perchè le seconde nemmeno pagando, le prime più disposte ma sempre pagando. Le moto sono un po' l'algoritmo della mia anima, se solo sapessi cos'è un algoritmo. Insomma mi sono detto che sto uscendo da un periodo pesantemente di merda, una siccità che i miei annali personali non avevano mai riportato in questa misura tragica e per questa mia rinascita da fenice la ricetta è vendere la moto e comprarne un'altra. Parliamo sempre di ferri vecchi e un po' da accroccare alla buona, che in fondo compro le moto come fossero enormi scatole del Meccano. Ho cercato tutto il pomeriggio nell'usato, provando a intuire quale uso satanico del mezzo fosse stato fatto dal precedente proprietario. Minato da Roland Barthes, ho cominciato a guardare più l'ambiente in cui la moto era tenuta e fotografata che il mezzo stesso. Le scatole sugli scaffali dei garage, il cane di razza breton, se hai un cane di razza breton la moto non l'hai tirata a scannarla secondo me, i testi degli annunci. Il livello medio di scolarizzazione del privato che vende la moto è imbarazzante. Sono stato semanticamente rapito dal grande bazar di internet. Di moto non ne ho trovate. Poi sono andato a leggere la posta, che sono solo in casa e fuori è brutto tempo e ascolto Joe Ely a volume basso e la pasta resta freddissima nel padellone in cucina. Nel colonnino di fianco alla posta, il banner della pubblicità che devo guardare per avere gratis un server di posta, posta, mi si presenta un annuncio. Egli, l'algoritmo, lo ha capito da solo cosa cercavo e me l'ha trovato. La moto sta lì, dalla fotografia è innegabilmente lei, costa quello che posso spendere, anche meno. Dice che l'annuncio è selezionato tra quelli vicini a casa mia. Diavolo di un algoritmo ma quante ne sai. 
Sotto quell'annuncio c'era la pubblicità di una crema per smaltire la pancia della mezza età. Spietato l'algoritmo. Ma la moto è proprio lei. Nel computer almeno.