martedì 22 settembre 2020

ERAVAMO IN GAMBA

 



Per arrivare stavolta ho preso il 4. Una corsa di fine pomeriggio. Sono sceso alla fermata di quando tornavo da scuola. Il palazzo è ormeggiato al bordo del vialone a sei corsie. Viale Venezia. 398. Ci sono delle immagini dei giorni in cui i tedeschi, durante la seconda guerra mondiale, lasciano la città. Un po’ a piedi, un po’ sui camion, un po’ con carri tirati da bestie, un po’ in bici. Marciano guardando avanti verso Pasian di Prato e Venezia e tutto l’occidente possibile. Attraversano quel viale lì e io mi danno ogni volta a riconoscere i portoni e le tracce di quello che ancora resta di quel bianco e nero in ritirata. Poi ci sono altre immagini che mostrano i partigiani che entrano in città. Un po’ a piedi, un po’ sui camion, un po’ con carri tirati da bestie, un po’ in bici. Entrano in città e ridono e sventolano e credono che il mondo sarà un po’ loro. Si ripetono che ora saremo tutti migliori. L’umanità ha questo vizio di dirsi le bugie per tirare avanti. Sempre le stesse bugie. 

Ma, dopo un po’ che eravamo arrivati noi a vivere lì in Viale Venezia, hanno fatto lo spartitraffico. Prima le auto piombavano in città dall’autostrada col rombo di aerei che atterrano carichi di turisti tutto compreso. E era pericoloso quel viale. In velocità ne abbiamo visti fare a brandelli parecchi. Arrivavano le ambulanze e la polizia e si mettevano dei lenzuoli sui miseri resti sparsi. Ogni vita spezzata almeno quattro sudari lontani tra loro anche distanze considerevoli. Dipendeva dalla velocità. Le auto erano bolidi ferrosi e i corpi erano meno avvezzi all’urto perchè, da allora, non ricordo di aver visto ancora un uomo morire spargendosi lungo metri di agonia di asfalto. Una volta un tizio era alla fermata del bus ed è stato colpito con violenza dalla gamba di un altro investito. Cose che credi di aver dimenticato fino a quando non ti ritornano al gozzo mentre attraversi in quella roulette russa di traffico e alberi. Il trucco è passare la prima metà, fermarsi al centro e aspettare il momento buono per andare ancora dall’altra parte. Il momento pericoloso è quando stai lì fermo al centro e calcoli i tempi dei veicoli che arrivano. Soprattutto al buio. Me lo ripeto mentre attraverso e quasi sento lo spostamento d’aria di una gamba tranciata e roteante che mi passa alle spalle. Benedetta suggestione.