giovedì 22 febbraio 2018

viaggi nei paraggi


Il mio amico Daniele Sepe ha inciso un disco intitolato "viaggi nei paraggi" ed è con quella musica a battermi nell'anima che me ne vado in giro giorno e notte, come a affrontare un esodo nel cortile di casa.
Per alcuni giorni mi sono mosso da Perugia a Roma ma partendo e tornando infine a Torino. Ogni giorno alle quattro partivo a piedi da casa dei miei e arrivavo alla stazioncina di Perugia e da lì andavo a lavorare la sera. Tornavo a notte fatta, il tempo di una cena e poche parole. Ho visto facce e ho bevuto caffè e ho misurato il respiro del mondo, che, fatevene una ragione, non è quello che vi raccontate sui social e nei telegiornali


19 febbraio

 Partenza per Roma con flixbus. Arrivo alle 7 del mattino e vado a lavorare. Sono passato dal polski e ho fatto un racconto al volo per festeggiare il settimo compleanno di quel posto che é casa nostra. Parto. Da tutta la vita parto e lo so bene che il ritorno é una mera illusione. Statemi bene tutti. On the road again.




 20 febbraio

Ieri ero a Roma e ci ero arrivato dopo una notte passata su un Flixbus che pareva caricato a dannati. L'autostrada era uno Stige ostile e scivoloso e quel cazzo di bus correva avventandosi sulle curve mentre il carico d'umanitá dolente era persuaso al sonno dai miasmi di morte che giungevano dai corpi e dai bagagli. Notte ovunque. All'alba a Tiburtina ho sorriso agli spazzini che sono medici dell'anima e me lo scordo sempre. Ho parlato tutta la mattina a liceali di rete di vero e di falso. Fino a confondere il mio corpo con le fake news. Il pomeriggio ho avuto voglia di casa, mi succede raramente e non ho mai certezze. Ho preso un paio di trenini scassati e sono piombato a sorpresa a Perugia, a casa dei miei. Zuppa di pesce e due risate. Ho visto un film di vichinghi e mostri e mi sono addormentato con una specie di sorriso. Alle quattro ero di nuovo in strada. A piedi fino alla stazione in quel lembo buio di cittá che é giá quasi campagna. Strade morte, questa cittá è il set di un'apocalisse zombie che l'ha mutata antropologicamente negli ultimi anni. I merli si chiamano alle prime luci. I cani abbaiano annoiati al mio passo che fotte il silenzio attorno. É prodigioso come un paio di scarpe buone per andare e una giacca calda possano regalarti l'illusione dell'immortalitá. Arrivo alla stazione. Non c'é nessuno. Occhi bianchi sul pianeta Terra. Di questo passo saró leggenda. Per nessuno.






21 febbraio

Dal 1860 in poi l'Italia ha fatto i conti con un lungo processo di italianizzazione della sua popolazione. La lingua ufficiale era solo amministrativa e da regione a regione, da valle a valle, da cascina a cascina le parole cambiavano, prestandosi o escludendosi o variando in un caleidoscopio di suoni e immagini. E i cibi e gli usi e i santi a cui appellarsi, tutto variava in funzione di articolate antropologie. Nelle trincee della prima guerra mondiale si trovano a combattere fianco a fianco uomini diversi tra loro ma sulla carta identici. Il processo della costruzione degli italiani é lungo e passa dai flussi migratori che aggregano italiani diversi in un unico spazio di fabbrica che é omologazione e cancellazione identitaria. Si stavano facendo gli italiani. Tutti insieme, ammassati nell'impastatrice che prepara pane d'uomo e di patria buono per far la zuppa del potere.
Poi sali sui trenini locali, i regionali veloci che li chiamano cosí non per enfatizzarne l'efficienza ma piuttosto per richiamare alla mente la tragedia di certi maschi frettolosi di carne e desiderio che sbrigano e russano quasi in sincrono. E l'Italia é di nuovo divisa, partita in frazioni e ansimi, azzerata linguisticamente perché sono finite le parole, tutte le parole. Da una parte ci sono i frecciarossa, i frecciabianca e i frecciarosé e gli italo, che son cosi epici da portarsi addosso l'evocazione di Balbo eroe dell'aria. Dall'altra ci sono treni lentissimi e sporchi, spesso vuoti, a volte pieni a scoppiare. Provate a andare da Perugia a Roma, da Bari a Matera e capirete. Ci sono due Italie distinte e lontane. Una viaggia su poltrone Frau e é percorsa da signorine che ti chiedono dolce o salato, l'altra é puzza e respiro corto e giacche abbottonate a sconfiggere il freddo. Si badi, non é una distinzione per censo, sui frecciaqualcosa paghi un cazzo se ti sai muovere, ma di destinazione. La differenza sta nel tuo andare, c'é una sorta di sestante sociale che determina il bene e il male in funzione di parametri che valutano da dove arrivi e dove vai. Altro che fare gli italiani, qua c'é da fare le biglietterie. 
I bar delle stazioni la mattina presto e la notte sono un privilegio di storie regalate a manica larga ma anche qui la distanza tra i luoghi si é fatta incolmabile.
Resto nel vagone vuoto che corre nell'alba a annusare la vita e sospetto siano morti tutti e la macchina si muova eterna sul binari, come in un incubo di P K Dick. Sono solo e guardo fuori e ho una fottuta voglia di fare l'amore. Non chiedetemi piú se le storie che racconto sui palchi o nelle pagine sono vere. Venite piuttosto con me e state zitti e ascoltate. Guardate. Andate.

 


Per problemi sulla linea, a Orte ci hanno deviato su un percorso secondario. Procediamo a passo di motocarro tra le forre. Dice che arriveremo fortemente ritardati. Cosí almeno ripete la signora vicino a me. Effettivamente a giudicare dalle facce.. Effettivamente a giudicare dal tempo. Effettivamente Roma pare sempre piú lontana. A un certo punto il treno muore alla stazione di Poggio Mirteto. Mia nonna a Anzio quando voleva dire un luogo ameno diceva "pare Poggio Mirteto" e io non ero nemmeno certo che questo luogo esistesse davvero.. Ora son qui. Non mi sembra cosí bello ma ho recuperato un pezzo consistente di mitologia domestica. Poggio Mirteto é la mia Mompracen. Sono felice. Il trucco é trasformare i disagi in occasioni.






22 febbraio

Nessun compagno di viaggio. Anche oggi il treno parte e son l'unica forma di vita ad abitarne i vagoni se si escludono virus, acari e batteri. Un intero treno per me é un debito con la società che non potró mai onorare. Alle cinque meno qualcosa arrivo a piedi alla stazione di Perugia sotto una pioggia sottile. Buio pesto. Strade vuote percorse da rari furgoni del pane, del latte e dello spirito santo. Arrivo a bagaglio leggero e scarpe ben allacciate. Nell'androne invaso da una luce bianca fortissima c'é un rasta magrissimo con gli occhiali scuri e un giubbotto leggerissimo. Canta e balla. Da solo. É ben chiaro che non smette di muoversi per vincere il freddo. Gli faccio segno di un caffé. Scuote la testa e ride. "dammi un euro". Glielo allungo. É la quota caffé che gli avevo destinato. Mi pare giusto. Ieri notte stavo per fare a botte con un arabo ubriaco che rompeva il cazzo a una ragazzina cinese. Aspettavamo l'autobus e lui gridava e inveiva terrorizzandola e avvicinandosi oltre il lecito."Basta" gli ho detto appoggiando la mano leggerissima sulla sua spalla. Ero stanco. Di tutto. "io ammazzo tutti" mi ha detto barcollando. "Guarda bene" e ho indicato il buio attorno e i pochi disperati come noi appoggiati alla fermata del bus "Siamo tutti morti. Siamo giá morti" a voce bassa e in un soffio. Ha sbarrato gli occhi e si é seduto sulla panchina. Zitto. La cinese restava alla larga.
Adesso invece c'é il rasta che canta e trema dal freddo e nel bar due ragazze bellissime. Di qualche est possibile. Bevono coca cola per togliersi il sapore della notte e dei maschi. Parlano e una ha una tosse tremenda. L'altra le passa un inalatore per l'asma. Di colpo hanno smesso di essere belle e sono maschere di un quadro di Ensor. Come? Cosa dici? Non sai chi é Ensor? Non sapete mai un cazzo.
Il caffé della stazione ha un buon sapore o forse é l'unica fonte di calore ora. Il treno parte. Vuoto. Credo di non esserci nemmeno io. Sono rimasto nella nuvola di tosse di una puttana spiaggiata tra la stazione di Perugia e il mare e il deserto e la morte che passano dal canto di in rasta che trema dal freddo. Ma avete da decidere cosa votare per decidere cosa vivere e io torno a leggere il libro del mondo con parole cangianti e nessuna scrittura. Essere viaggiatore é attitudine che prescinde dalla distanza percorsa. Buongiorno a tutti.