Se non ti fidi di nessun dio, se fai il mago da tutta la
vita e ancora non ti spieghi come fa quel fottuto coniglio a uscire dal tuo
cilindro, se hai parlato con gente guarita dall’imposizione delle mani e con
gente quasi ammazzata a mani nude in una cella allora devi dar conto a te
stesso dei tuoi passi e delle tue parole come di tutto quello che puoi spendere
senza mai aspettarti il resto indietro.
Jejo è mio amico da mille anni. Ce ne siamo andati in giro
per il mondo e il mondo eravamo noi e abbiamo riempito i locali più improbabili
dei nostri racconti e delle nostre canzoni sbregate. Jejo un giorno ha preso la
sua vecchissima moto che già segnava trecentomila chilometri senza esagerare ed
è partito per il viaggio di tutta la vita. Se n’è andato in Mongolia passando
dalla Siberia e questa storia l’abbiamo raccontata mille volte e c’è anche
“giorni nomadi” un diario sconclusionato che mi sono affannato a fargli
pubblicare che testimonia. Per cui fa fede la bibliografia. In Mongolia ha
conosciuto una ragazza del posto pazza come lui che è salita sulla sua moto e
se n’è andata in giro per il deserto. La vecchissima Guzzi arrivava dove le
ipertecnologiche moto col navigatore satellitare non osavano nemmeno puntare il
muso. Poi è tornato e in Siberia quasi lo ammazzano in una foresta ma Jejo è di
quella pasta che un po’ conosco a ragione di quel fatto condiviso tra noi di
non averci dio e magie e quindi di poter contare solo sulla faccia nostra e
quindi i briganti siberiani sono ancora lì che si domandano con quale oscura
forza hanno dovuto fare di conto.
Tornato a casa si scrive con la ragazza mongola e si
telefonano ed è uno spettacolo perché lui parla solo friulano e lei mongolo e
russo mischiati. Inglese a briciole. Ma si capiscono, giuro che si capiscono. Jejo
sostiene che il mongolo è una variante gutturale del friulano.
In primavera la ragazza che si chiama Soghi viene a trovare
una parte della sua famiglia che vive in Polonia, salgono su una macchina e
vengono in Friuli. Jejo è lì da Andrea e stiamo cazzeggiando quando lo chiamano
dal bar di Pagnacco e gli dicono “vieni qui che è pieno di mongoli che ti
cercano”. Andiamo a recuperarli e c’è questa specie di capo famiglia che noi
attacchiamo a chiamare “piciul” per far capire che ci è simpatico, che sembra detestarci
da subito. Si tratta del nanissimo cognato di Soghi che fa il medico in Polonia
dopo aver studiato in Russia. Aggiungi che tutto questo succede a Pagnacco e
hai fatto bingo. Li portiamo a casa di Andrea e le donne gli fanno gli spaghetti
all’amatriciana mentre noi andiamo a comprare le pizze e sono le quattro del
pomeriggio. Hai voglia a fare quello che odia i luoghi comuni, in un baleno
siamo diventati la più agghiacciante cartolina vivente dell’amata penisola. Con
tanto di chitarra suonata da me mentre mangiano imbarazzati pizza e spaghetti.
Il capo chiede il tè e Andrea gli porta un bicchierone di estatè alla pesca
ghiacciato. E grazie che ce l’avevamo. Il simpatico ospite nano e cattivo senza
assaggiare dice che lo vuole caldo. Andrea va di là, versa l’estatè nel bricco
e lo porta a ebollizione. Torna e il tizio si incazza nevrile che non ci voleva
lo zucchero dentro. Come è noto noi abbiamo la pazienza che scade come il
biglietto del parcheggio sulle strisce blu e l’abbiamo mandato a fare in culo
sbriciolando il tentativo iniziale di mostrarci ospitali e affabili. A quel
punto Soghi cerca di mettere pace, si ricordi che parliamo sempre lingue che
nessuno condivide. Nemmeno tra noi condividiamo quasi la stessa lingua. Io e
Jejo parliamo in friulano con le parole chiave in italiano e i verbi
all’infinito come nei film western quando si incontrano gli indiani e i
cavalleggeri. Andrea grida senza fermarsi “siete tutti pazzi”. Ste e Giovanna
si sono rotte i coglioni di fare le donne italiane e li hanno lasciati dvanti a
un mucchio infame di cornicioni di pizza e piatti carichi di pasta. Soghi dice
che vogliono vedere l’Italia e hanno solo quattro giorni. Jejo mi guarda e dice
“non c’è problema, vi portiamo a piazza San Marco e all’acquario di Trieste”.
Mi sono sempre chiesto perché all’acquario di Trieste ma non ne abbiamo mai
parlato. Soghi è perentoria. Vogliono vedere Venezia, Firenze e Roma. Io ho
quattro giorni di ferie e poi devo tornare a Torino. Sono arrivato in Friuli da
poche ore. Jejo mi guarda e ringhia “mi hanno ospitato in Mongolia, mi hanno
portato nel deserto”. Andrea mette sul tavolo le chiavi, che siamo quella razza
che dicevo prima e dice “andate con la mia che consuma poco”. Partiamo senza
preavviso minimo . Decidiamo di andare in Toscana e poi a Roma e al ritorno a
Venezia. Allerto i miei amici distribuiti sul percorso. Lungo la strada decidiamo
di non complicarci la vita e puntiamo su Sienia che conosco come le mie tasche.
Ancora rido a pensare alla faccia dello Zak quando gli piombiamo in negozio con
la schiera mongola. Sbarra gli occhi e grida “Oh dove l’ hai presi tutti ‘sti
peruviani”. Gli facciamo visitare Siena spiegandogli che è Firenze che è troppo
lungo dirgli che il parcheggio a Siena è meno complicato che a Firenze. A Piazza
del Campo piciul sembra trovarci simpatici e si fa scattare una foto con noi. La
riguarda ridendo nel display e dice ai suoi “!foto mafia italia”. Da lì in poi
gli rendo la vita difficilissima.
Andiamo a dormire sul Trasimeno in un posto dove vado sempre
a mangiare la porchetta e mi conoscono e la fortuna dei mongoli è che io ho
vissuto in mezza penisola e ho amici in ogni dove. La mattina partiamo per Roma
e Franco e Enrica ci fanno da guida. Andiamo a mangiare in una formidabile trattoria
ma piciul non si fida e costringe i suoi a rimanere seduti sul marciappiede di
fronte. Intanto faccio amico con Soghi e mi insegna a dire luna e stelle in mongolo.
Inguaribile romantico. Soghi è bellissima e ha tre sorelle. Hai visto mai. Insomma
torniamo a Udine e io cambio auto, carico la tribù mia e torno a Torino. Riposatissimo.
L’anno dopo Jejo riparte per l’Iran e al ritorno viene steso
di brutto da un ragazzino neopatentato a pochi chilometri da casa. Rischia la
pelle sul serio, rimane sei mesi inchiodato al letto e io quasi tutti i fine
settimana parto da Torino e vado a stare in ospedale con lui a Udine. La stanza
d’ospedale diventa l’ennesima appendice del nostro circo permanente.
La gamba di Jejo non recupererà mai e rivederlo in moto dice
che sarà impossibile. Jejo di mestiere fa il muratore e non potrà più salire sui
tetti. Bei cazzi insomma. L’estate torna Soghi. Da solo, Jejo compra un camper
scassatissimo e con una tecnica di guida che a oggi mi risulta assurda la porta
in giro per tutta l’Italia. E noi che siamo nomadi a nostra volta li incontriamo
alle Cinque Terre e a Matera. Nella fattispecie Jejo a Matera denuncia un fastidioso
problema all’attrezzo d’amore che si è palloncinizzato. Ste lo accompagna in farmacia
e il tizio al bancone non riesce a capire cosa abbia Jejo che continua a dire “mi
è venuto una specie di bombo lì”. A un certo punto Jejo si spazientisce e si cala
le braghe in mezzo all’esercizio pubblico. Con gran successo.
Insomma la storia nostra riparte sempre.
Domenica la vecchia Guzzi di Jejo è planata sulla mia casa torinese.
Tutta rabberciata e con alla guida il solito pazzesco Jejo da viaggio. Soghi l’ha
raggiunto a Vienna e a quel punto se sei a Vienna vuoi non andare a trovare
Giorgio e Ste a Torino. Per strada decidono di andare in Africa. Come nel mio romanzo
prossimo ma ne riparleremo. Lunedì mattina colazione e il solito lasciarsi senza
saluto che è così che facciamo da sempre.