lunedì 4 gennaio 2016

tango figurato del disdoro: figura nove






e dunque ho percorso l'Italia in lungo e stretto e ho raccontato le mie storie in bilico su una schiena che si ribella dopo una vita di zaini e buche. mi si è inceppata la schiena ma non ho rinunciato ad andare a fare i soliti tremila chilometri col mio picàp che certo non aiuta ma questo ho e questo spendo. e ieri, sulla via del ritorno, ho portato Dani a Rimini a raggiungere la sua squadra di basket per un torneo. e c'era un freddo becco che se provavi a rispondere al telefono il dito scivolava sul vetro senza acchiappare le voci e i messaggi ma tanto lo sapete che io non rispondo quasi mai e ne approfitto per dire a tutti quelli che mi hanno augurato buon anno coi messaggini che per quello che mi riguarda la potete piantare con 'ste cazzate che per parlarsi tocca sentirsi l'odore addosso e mangiare dal piatto insieme. comunque arrivo sul lungomare di Rimini che c'è tutta la retorica del mare d'inverno e non mi sono risparmiato le foto e già sapete. Ste vuole camminare sulla battigia e io la seguo appoggiandomi al bastone da pastore che mi ha regalato Raffaele Pentasuglia e quello, il bastone, affonda nella sabbia e io cammino come l'ultimo reduce della ritirata di Russia e mi faccio tenerezza da solo e il cane adegua il suo passo al mio e quindi si siede a guardarmi con l'aria di chi vede la vecchia auto dietro la rete del demolitore. Ma io non mollo, io son famoso perchè non mollo. e ho guidato per tutti e tremila i chilometri e ho sorriso e ho ringhiato in bilico sulla schiena e ho fatto l'amore, potrei scrivere un manuale di fisioterapia erotica, e ho percorso i sassi con la maledizione tra i denti ma sempre andando che è quello che so fare. e ieri siamo arrivati a questo albergo dove stava Dani e era uno scatolone imbarazzante sul mare con certe cupole a farlo sembrare lo scrigno di un oriente improbabile. quel gusto merdosamente pacchiano della riviera che di'inverno diventa anche divertente. come un luna park morto e i guerrieri che vogliono giocare alla guerra. e c'è 'sto viale davanti all'albergo e il freddo e una pioggia puttana e ghiacciata. dobbiamo attraversare e Dani e Ste s'avviano. Guardo l'auto che arriva e calcolo i tempi. Mi butto sulla strada e una volta in mezzo all'asfalto mi rendo conto che non riuscirò con il mio passo a arrivare dall'altra parte e sarò schiacciato dall'auto che arriva. mi agito come un nano caduto nel mieie e sbraccio e mi dibatto e agito il bastone al cielo e grido. Gli altri due si girano e cominciano a ridere piegati. Io stringo i denti e facendo leva sul bastone come un saltatore con l'asta arrivo sul marciappiede e proseguo di slancio finendo con tutti i miei cento chili sulle vetrate del dehor del bar. un rumore immane. la mia sagoma spalmata sul vetro che regge miracolosamente l'impatto e la mia sagoma ancora che si palesa agli avventori del bar che nemmeno gatto silvestro o willie coyote. e quegli altri due ridono e ridono e io sono scampato alla morte certa che quello correva e c'era la pioggia diaccia e puttana e c'era che ancora ci sono i postumi di fine anno e quello certo era sbronzo che poi sul giornale si legge che aveva il livello di alcol sedici volte più alto del consentito e intanto io son morto sulla strada e mi fanno in disegno della sagoma col gessetto ma la pioggia diaccia e puttana cancella tutto. Oggi, a Torino, al lavoro sto quasi benissimo e cammino con disinvolto imbarazzo che è il mio modo di camminare quasi giusto. buon anno.