Nella roulotte la luce del sole è già entrata da
diverse ore. Zaff si rotola nella sua cuccetta e l'odore del caffè
che gorgoglia nella macchinetta da quattro, non sembra di grosso
stimolo per il suo risveglio. Ziff sta seduto sulla porta, con i
piedi che poggiano sul gradino metallico che dovrebbe agevolare
l'accesso a quella specie di casa ma che, visto lo stato d'usura e
ruggine, funge da antifurto. Nessun ladro rischierebbe il tetano per
due marumi.
La notte è trascorsa in un confuso intreccio di eventi
e Ziff ha la fronte solcata da rughe recenti.
Mentre medita, smangiucchia il bordo di una piadina con
l'alacco, l’unica cosa quasi commestibile che sia riuscito a
trovare negli stipi sgangherati della roulotte.
Di fronte a lui la scena di sempre. Si replica.
Teddy Danubio, divo canoro sconosciuto al successo, esce
sulla strada polverosa fasciato dal suo completo bianco con i
pantaloni a zampa di triceratopo, gli stivaletti in plastica
forellata e il mantello con le frange. Attraversa lento lo spiazzo
fino all'entrata di quello che lì, pomposamente, chiamano bar e che
altro non è se non un vecchio e malandato stand, reduce di
antichissime feste dell'Unità.
Teddy si guarda attorno con gesti misurati
dall'abitudine. Rimane sospeso una frazione di secondo, tutto
calcolato, poi si decide e entra.
Al bancone, come tutte le mattine, c'è Valerio Mascella
che asciuga bicchieri con una mano, versa Zabov con l'altra e regge
un mozzicone di sigaro con l'altra. A guardarlo bene i conti non
tornano ma da quelle parti la soglia dell’attenzione per certe cose
non tocca mai quote particolarmente alte. Valerio ai lati della
testa ha perso tutti i capelli e gli rimane un'unica, grossa treccia
azzurra sulla fronte.
Tra le sedie, Ramolino spolvera senza grosso impegno,
evitando di svegliare l'Operaio, che da sette anni dorme con la testa
appoggiata al tavolo vicino al telefono a scatti. Nessuno sa chi sia
e non c'è nulla che lo possa identificare, se si esclude la vecchia
tuta sporca di grasso. All'inizio hanno provato con scossoni, fischi,
rutti e imprecazioni, ma lui non ne voleva sapere e alla fine è
diventato parte dell'arredo. Questa mattina il vento fa vibrare le
pareti di lamiera e il bar è quasi vuoto, visto che quei pochi che
nella zona lavorano se ne sono già andati da un pezzo e gli altri
tanto vale che rimangano ancora a letto. Ci vorrebbe un sottofondo
musicale almeno un tantino allegro ma l'autoradio trasformata in
juke-box non funziona perché l'idrogeno si è esaurito.
Se ci fosse una porta, in questo momento sicuramente
cigolerebbe, ma all’entrata ci sono soltanto delle striminzite
fettucce di plastica, masticate ad altezza bambino.
Teddy Danubio entra, lento come un pistolero o come il
treno Matera Bari e viceversa. Quando Ramolino lo vede, smette di far
finta di spolverare e corre nel retro. Valerio Mascella cerca di non
tradire l'emozione e versa disinvolto dello Zabov sul sigaro che ha
in una mano, mentre con l'altra regge un bicchiere sporco che cerca
di fumare a grosse boccate. La treccia gli balla sugli occhi e una
sudarella gelata gli inchioda la schiena più veloce di quelle
potenti colle che non fai a tempo ad aprire il tappo e già il
tubetto fa corpo unico con le tue dita. Per sempre.
Teddy Danubio si accosta al bancone, mette la mano alla
tasca, sfila un pettine tartarugato che con la forfora e i resti di
brillantina sguscia tra le dita come un'anguilla. Guardandosi nello
specchio tra una bottiglia e l'altra, si pettina, bagna le
sopracciglia con abbondante saliva, fa un paio di facce da duro,
ravviva, sbarazzini, i peli che si intravedono nell'ampia
sbottonatura della camicia. Da ultimo, alza il colletto e si volta
per andarsene. È allora che, come del resto tutte le mattine di
quegli ultimi venti anni, Valerio Mascella, che fino a quel momento è
rimasto a guardare con tutte le mani tremanti, esplode.
"Stronzo di un morto di fame pappone di tua madre,
pezzo di merda catarroso e nero di un boia ladro infame e
doppiopettoblu, rottinculo fattinbocca da quattro soldi che a
sputarti addosso c'è da schifarsi! Quando cazzo ti deciderai a
fregare uno specchio come tutti. Bello lui, entra, si pettina, fa i
suoi porci comodi e mai una volta che faccia un'ordinazione. Se
ricapiti domani ti stacco quel ciuffo e..."
"Calmati Valerio, lo sai com'è fatto, non vale la
pena avvelenarsi il sangue per queste cazzate" interviene Ziff
che è entrato, non tanto per godersi lo spettacolo in replica,
quanto piuttosto per bere un Taffer che lo aiuti a digerire la
piadina con l'alacco.
"Sarà meglio che da queste parti non ci ricapiti
più, stronzo" continua Valerio "certo, lui è un divo del
microfono, il genio della chitarra. Sai dove te lo metto il
microfono..."
Valerio non finisce la frase e si volta verso l'entrata.
Riflesso nello specchio ha inquadrato uno strano tipo. Perlomeno
curioso. È rara cosa, in questa sconsolata periferia, riuscire a
vedere un personaggio come quello. Si tratta di un ometto vestito con
un completo grigio di cattiva fattura e che abbottona male, con un
cravattone pesantissimo verde smeraldo cangiante e, a completare
l'opera, un paio di occhiali della mutua. Le maniche della giacca e
della camicia penzolano ben oltre il polso e il risvolto dei
pantaloni finisce sotto il tacco dei mocassini con la frangia e i
carciofini. Non è comunque l'abbigliamento ad attirare l'attenzione
dei presenti sull'individuo. A guardarlo bene si capisce subito che è
un poverocristo come loro. La nota stonata è quell'aria particolare.
"Indifeso" pensa Ziff ad alta voce.
"Cosa dici?" Valerio ha sentito benissimo ma
non sopporta che gli si rubino i pensieri.
"Che strano tipo indifeso" incalza Ziff "sarà
meglio avvertirlo di stare attento. Da queste parti, uno con la sua
faccia, non respira per molto."
"Io mi faccio i cazzacci miei" Valerio espone
con disinvolta finezza la sua visione del mondo "basta che beva
qualcosa, poi per me può anche farsi ammazzare, pisciare nel
posacenere, addirittura pettinarsi."
Il tipo è gravato dal peso di alcuni grossi volumi. La
cosa sembra costargli un certo sforzo. Le copertine recitano
attraenti canti delle sirene in quel caffè di fini intellettuali: Le
Meraviglie del Mondo Sommerso, l'Enciclopedia del Bricolage,
l'Universo Sconosciuto, i Programmi della Televisione per i Prossimi
Trent'Anni.
L'ometto si avvicina a un tavolo e posa i volumi. Il
tavolino, a cui manca una gamba, si ribalta con fragore e i libri
cadono nella polvere, che è così spessa che sembra di camminare su
un campo da tennis. L'Operaio, scosso dal clamore, alza la testa dal
tavolino e guarda l'orologio, che nel corso degli anni ha studiato da
contachilometri e se n'è andato dalle parti di Arese a convivere con
una meridiana ombrosa ma piena di soldi. La cosa non scompone
minimamente l'Operaio che, dopo aver consultato il polso nudo, si
alza, va verso la cassa, paga, chiedendo lo scontrino a un Valerio
che definire stupito è poco; infine esce e a poco a poco scompare
verso San Pennacchio.
Intanto il buffo ometto dei libri ha raccolto la sua
mercanzia e l'ha appoggiata alla peggio sul bancone.
"Una camomilla, per piacere."
A Valerio pare che, per quel giorno, nulla più possa
stupirlo. Si è perfino già dimenticato di Teddy Danubio.
"Una camomilla come?" Valerio interroga lo
strano personaggio guardandolo con occhi torvi, resi strabici dalla
lunga treccia che continuamente gli balla sulla fronte.
"Una camomilla..." l'ometto esita con la
paura di fare una brutta figura "...una camomilla bestiale."
È difficile calmare Valerio. In un accesso di riso
convulso scivola sotto il lavandino e viene soccorso da uno
scarafaggio.
Intanto l'ometto, rosso in volto, è andato a sedersi a
un tavolino sano e si tiene la testa tra le mani. Ziff viene preso
dall'impulso irresistibile di andare a sedersi vicino a lui. Pensato
e fatto.
"Scusalo, fa così ogni volta che gli si chiede
una camomilla bestiale" cerca di minimizzare Ziff "posso
chiederti cosa fai da queste parti?"
"Vendo enciclopedie."
La cosa è ancora una volta molto comica, ma il tono
dell'ometto fa passare la voglia di ridere a Ziff.
"Scusa se mi intrometto negli affari tuoi, ma
questo non mi sembra il posto giusto."
"C'era questa zona da coprire e, visto che nessuno
la voleva, l'ho presa io. Tanto per me, finché dura, una cosa vale
l'altra."
"Cosa intendi dire."
L'ometto si chiude a riccio, diventa rosso e comincia a
dondolare la testa. Si vede che ha voglia di parlare con qualcuno ma
non sa da dove cominciare. Ziff è quello che gli ci vuole. Dopo un
bicchiere che, passate le prime reticenze, trova buona accoglienza
nello stomaco dell’ometto, l'atmosfera si rilassa e, un poco alla
volta, il tipo prende a raccontarsi, come del resto succede a tutti
quelli che parlano con Ziff.
Ma questa è un'altra storia, com'è sempre un'altra storia.