giovedì 27 ottobre 2011

la lega, il bossi e i maroni




sei partito per la crociata verso roma, carcassa verminosa di un sistema di cui non volevate essere più sudditi te ne torni con i figli piazzati in giro per gli scranni e gli uffici europei e la moglie in pensione a 39 anni. e a quei poveri ebeti del tuo elettorato mugghiante gli gridi "facciamo vedere che ce l'abbiamo duro" e evidente che tra erezione e rigor mortis ci passano delle differenze. senza parlare di "secessione. imbracciamo le armi" per poi ritrovarti col tuo pupillo maroni, ve lo ricordate maroni ai suoi esordi imbarazzanti ora secondo i media, è il volto accettabile di questa stagione, il delfino, che si scaglia contro la violenza di piazza. del resto a scagliarsi c'erano lui e alemanno e i pulpiti sono ormai una cosa che affitti a ore. e della pensione di tua moglie dici" era un suo diritto". un cazzo di bieco diritto figlio di tutto quello per cui ti avevano mandato lì a batterti forte del tuo diploma alla scuola radio elettra che galvanizzava i tuoi elettori. dici che tua moglie ha solo usufruito di un diritto all'epoca esteso anche a molti altri. io penso che se un sistema mi fa schifo la dignità, ma nel tuo caso oltre alla dignità ci sono tutti quelli lì che t'hanno votato e che l'hanno fatto perchè tu scendessi giù a suonargliele a quei romaladroni, la dignità dicevo, mi impone di non essere compartecipe e beneficiario. se il mio vicino tortura i gatti e piscia nelle cassette della posta io quando offrirà il pranzo a tutto il quartiere per festeggiare i soldi fatti coi filmini venduti sottobanco delle torture ai felini, a quel tavolo non mi ci vado a sedere. bossi mio, io li conosco gli occhi di quelli che ti hanno votato, son velati da una maledetta fatica che forse non gli ha mai fornito motori critici troppo raffinati. e tu e i tuoi accoliti ne avete approfittato biecamente. dandogli in cambio una bellissima camicia verde. il potere delle camice. sarebbe da farci due riflessioni. io non ho mai fatto un concorso pubblico, non ho una casa popolare, non ho benefici, non mi riconosco in questa sinistra ma tu tieni in piedi il più agghiacciante dei teatrini politici mai proposto, un troiaio spaventoso dove interessi pubblici e privati si intrecciano com'è sempre stato ma con in più quella tracotanza ignobile di questi che se ne vanno in giro con la certezza che tutto resterà impunito. a me delle sorti istituzionali delle tue scelte p di quelle di bersani o  di quelle di alfano non me ne fotte un cazzo. io sostengo da sempre l'urgenza di pensare e mai per procura, forse sbagliando, ma con piena paternità di fatti e parole. scrivo perchè li vedo i miei indiani nella riserva che ancora credono che è tutta colpa dei negri e delle tasse. con la camicia verde. e la facia verde.

martedì 11 ottobre 2011

scatta la canzone

ieri stavamo lì, sui divani in finta pelle nera che rhobbo mette generosamente a disposizione e incrociavamo parole e chitarre. il blues è il cardine di queste nostre sessioni del lunedi sera in una fabbrica riadattata a scuola di musica in barriera di milano. e si parlava di Robert Johnson e dimmi tu se non ti puoi sentire fortunato a averci della gente con cui parlare di Robert Johnson il lunedi sera in una vecchia fabbrica su un divano in finta pelle nera e con Rhobbo che è il maestro Jedi di tutte le corde suonabili. quando dico che sono un uomo felice non esagero ma la felicità non è un regalo, è piuttosto una cosa che devi strapparti a denti serrati dalle carni vaghe dell'esistere. ma è un'altra storia. insomma eravamo lì a raccontarci le nostre storie con un vago shuffle a portarle e ascoltavamo e giravamo attorno a certi maledetti turnaround, che girarci attorno è tutto quello che si può fare appunto. e tornando a casa nella città che ormai a quell'ora si fa inghiottire dal buio pensavo a questo fatto che mi porto dentro una sorta di colonna sonora permanente e che la sovraesposizione alla musica per tutti questi anni ha finito per dare una sorta di fondo musicale a tutti i miei gesti, alla quotidianità spesa nel banale procedere di sempre e agli eventi iconici di una vita. indifferentemente. la musica c'è sempre e me la canticchio a fior di labbra o me la suono con enfasi in testa e mi tiro certi assoli che scansati. una volta ho sognato un concerto di springsteen da solo in un bar e mi ha fatto un inedito che non è mai esistito se non nel mio sogno ma se è per questo spesso sogno di vivere tra i personaggi disney in carne e ossa e vado a pesca con cip e ciop tutti pelosi e grassoni che la barca rischia sempre di rovesciarsi per cui i miei sogni son sempre una cosa piuttosto in bilico. e mentre facevo 'sti pensieri che lo capisco da solo che son cose di poco prezzo ma ognuno ha in testa la bancarella di idee che si merita, mi sono reso conto che i milioni di foto che ho scattato per mestiere e per l'ossessione narrativa che da sempre mi anima sono percorse sempre da una musica che mi suonavo mentre inquadravo.
così questa foto sotto i portici


si porta dentro questa canzone

lunedì 10 ottobre 2011

bavagli e bavaglioli



io sono a favore di una robusta ranzata censoria sulle parole, sulle idee e sulle opinioni. io sono a favore del controllo su tutto. sono a favore della libera espressione univoca. non voglio più scrivere per paura che altri usino le mie parole, le mie idee carpendole dal cesto dell'innocenza in cui le conservo per farne strumentalmente usi impropri e dannosi. da qui l'idea di limitare il mio racconto alle cose che si incontrano in strada. dando magari qualche bella idea per lo svago e il tempo libero. già, il tempo libero, troppa sedizione si cela in questo concetto. il tempo partecipe forse piace di più. come dici? partecipe di cosa? maddai, allora proprio non vuoi capirla... remi contro. io sono a favore della legge bavaglia... ma le immagini, quelle le immagini parlano da sole.


martedì 4 ottobre 2011

tenendo bancone









e me ne vado al bar mio dopo una giornata caricata a sale e sparata nella schiena. mi metto al tavolino mio e bevo e mangio e leggo il giornale. dani e ste parlano con quelli del bar che è una seconda casa nostra. lo dico di altri settanta bar e osterie e trattorie e chioschi e furgoni della porchetta. per fortuna non sono case tassate. e c'è questo qui che c'è sempre e ha un cane vecchissimo che se ne muore un po' ogni giorno, come per tutti gli altri noi compresi ma in questo cane qui è una cosa palese parecchio. son sei anni almeno che sta morendo. quando a quello del tavolo della zecchinetta gli è venuto l'ictus l'hanno portato due mesi dopo a giocare sulla sedia a rotelle come il conte mascetti e lui guardando di traverso il cane vecchio ha biascicato "mi stava sul cazzo che morivo io e 'sto cazzo di cane campava ancora". ma il padrone del cane è uno che ha la faccia strana, sembra uno cattivo. pochi denti in bocca, tutto rasato, collana d'oro. l'ho fotografato mentre guarda di sghimbescio ste che paga alla cassa. l'ho fotografato nel riflesso dello specchio dietro il bancone, ficcato tra l'amaro averna e il don bairo l'uvamaro.sono anni che cerca di parlarmi ma io svicolo che al bar mio voglio bere in silenzio. oggi prende la questione di petto, mi si piazza davanti e inizia a freddo "sono del Cinquantatre, sono nato in fondo alla calabria. eravamo poverissimi che avevamo il mito dei filmi di maciste e andavamo in certe grotte a fare come quei filmi che la maga era moira orfei e la sorella e invece eravamo seccati di fame e pesavamo trenta chili e quando arrivavano le ragazze l'estate dal nord ma mica turisti, gente dei nostri, ci atteggiavamio a fare i tuffi con certi fisici di schifo e si tuffavano da venti metri, io da otto poi siamo emigrati a torino che avevo sedici anni e non ho potuto migliorare il tuffo e ho iniziato a lavorare e i ricci e i polpi che mi mangiavo allora si può dire che sono stati tutta la vita bella che ho fatto perchè poi solo fabbrica, tranne l'anno del militare. se ora mi fai nuotare mi affogo che nella vasca da bagno quasi mi metto i braccioli ma allora era un'altra cosa e sono andato sulla spadara a vedere la pesca e il pezzo attorno alla punta dell'arpione il capo barca lo taglia e dice che lo mangia solo lui che lì è il più buono perchè il pesce ci ha concentrato tutto il dolore. insomma eravamo come dei indigeni e io mi ho rotto un braccio da piccolo e non lo dicevo sennò erano botte e mio padre era civile abbastanza e colla cinghia ci faceva il verde ma mai il nero nero. eravamo sporchi e nella strada che io il polpo mangiavo solo le gambette da crudo e poi buttavo tutto ma se entravi nell'acqua allora era come i filmi dei pescatori di perle ora non c'è più manco l'acqua. eravamo così poveri che a quattordici anni mia madre ha comprato il dentifricio e io e mio fratello che non lo avevamo mai visto l'abbiamo messo sul panbe e ce lo siamo finiuti come un gelato. poi è venuta la fabbrica e non ho più niente da ricordare. mi dispiace.