venerdì 2 novembre 2018

mastica e guarda




Dei primi giorni di scuola alle medie, ero alla Ellero di Udine, mi ricordo le prove di evacuazione. Niente di tecnologico, che la cosa più all’avanguardia di quell’istituto lì era la preside che si chiamava Fannì e era una signora avanti negli anni e con un continuo fremito di sopracciglia foltissime che facevan tutt’uno con la montatura tartarugata degli occhiali a lente spessa. Insomma, reduci di recentissimo sisma, certi dicono sismo, ci addestravamo a fuggire con ordine. Un bidello mezzo sciancato passava dall’aula e diceva “uscire” o altra frase concordata. che per quei tempi lì deliranti avrebbe potuto essere anche “uomo in mare” o “tora, tora tora”. Noi ci alzavamo e in fila vociante scendevamo le scale. In cortile c’erano gli altri alunni, almeno quelli raggiunti fino a quel momento dal segnale di evacuazione. Si giocava col frisbee che a quel tempo era una novità sconcertante e c’erano quelli veri comprati al negozio di giocattoli di via Paolo Sarpi o all’Upim, ma la maggior parte erano ricavati dal coperchio del fustino di una certa marca. Questi succedanei del frisbee erano in plastica blu e erano a ben guardare più pesanti e quando ti arrivavano in testa era una manganellata da non scherzarci. Del resto in quello stesso cortile, giocando a calcio con la parabola di un vecchio maggiolone, a me m’hanno tranciato il naso e sarà per questo che a tutt’oggi distinguo solo certi specifici odori tra cui spiccano la pizza, la passera, il cacao, le pagine stampate di fresco, le fragole, la moto, la pelle anche quella dei giubbotti.E con questo mi sono risparmiato di rivelarvi più avanti i miei gusti e il senso ultimo della vita a mio giudizio. Sia come sia in quei giorni era scoppiata la moda delle Big Babol e in classe era un continuo PAF di palloni che esplodevano sulle facce nostre ottuse. si sentiva l' odore di quelle gomme, tipo fragola sintetica, misto agli afrori della nostra età di transito, con le voci che passavano dal falsetto al baritono e un' ombra di baffo che ai più svelti già compariva sul labbro superiore. Poi si è sparsa la voce che il bambino che cantava "Mi scappa la pipì papà", una canzone che all'epoca furoreggiava, era morto per aver masticato un inverosimile bolo di gomme Big Babol e per molti della mia generazione è iniziata l'epoca della prudenza. Abbiamo imparato a guardare il presente virare in storia continuando a masticare piano, come mucche a bordo strada. Ed è stato l'inizio della fine.

la domenica delle salme














https://www.youtube.com/watch?v=-IYXROBDLdE


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La canzone nella storia



Nel 1984 De Andrè, affiancato da Mauro Pagani, realizza un album, Creuza de mä, che gioca d’anticipo rispetto ai tempi e che risulterà essere una perla significativa della produzione del cantautore ma anche una pietra miliare della storia della musica italiana(1). Il disco, cantato in genovese, accoglie nei suoi solchi i suoni del Mediterraneo, frutto di una lunga ricerca di Pagani, poi condivisa con De Andrè. La conferma di questa ricercata unità culturale del Mediterraneo arriva proprio dal risultato finale raccolto nel disco, in cui l’uso del genovese conferisce a quei suoni, prodotti da strumenti difficili e a volte rarissimi, una musicalità che trasporta l’ascoltatore come poche volte accade. In altre parole un capolavoro. Riproporsi dopo un gioiello simile al pubblico e ai critici che attendono la prossima mossa non è cosa facile. Infatti passano degli anni, spesi in giro in barca con Pagani, a raccogliere altre suggestioni per quella storia che avevano iniziato a raccontare con Creuza de mä, e ancora consumati in un progetto mai portato a buon fine sui suoni della Mongolia, che doveva vedere anche la partecipazione di Vasco Rossi. In buona sostanza, anni passati da De Andrè a fare il contadino nella sua tenuta all’Agnata, lasciando che l’idea prendesse forma. Guardando il pascolo e il cielo e le nuvole.
Proprio le nuvole.

Vanno vengono
per una vera
mille sono finte
e si mettono lì tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto una voglia di pioggia. (2)

Aristofane (3) aveva usato la metafora delle nuvole per parlare dei sofisti, mettendo Socrate nella stessa schiera, considerati come cattivi consiglieri, che indicavano ai giovani un modello di comportamento in antitesi col governo conservatore ateniese. Del resto Aristofane era un aristocratico e si serviva della sua scrittura, della sua arte, anche per difendere i suoi privilegi.
Per De Andrè le nuvole sono il presagio ombroso sui nostri tempi, il dilagante malcostume che fa della cosa pubblica la palestra in cui si anabolizzano l’arroganza, l’illegalità e la sopraffazione. Su questo palpito d’angoscia il cantautore costruisce Le nuvole, l’album del 1990 che vede ancora la collaborazione con Pagani, musicologo e polistrumentista. Il disco è diviso in due parti, la prima in italiano, la seconda in dialetto, a proseguire il racconto affrontato con Creuza de mä e utilizzando l’italiano come l’ennesimo dialetto, mischiato agli altri dell’incrocio salmastro del Mediterraneo. Fulcro del disco è La Domenica delle Salme, una canzone scarna dal punto di vista musicale, con una chitarra insistente, quasi inchiodata su un unico accordo ossessivo, e interventi brevi e lancinanti con il violino, il kazoo e una sirena. Già dal titolo il riferimento è alla Domenica delle Palme, ovvero alla breve euforia prima della tragica croce e vi si può leggere una metafora del Sessantotto e delle speranze di quegli anni. Nei giorni in cui De Andrè scrive i versi di questa canzone molti di quelli che erano negli anni Sessanta sulle barricate, si proteggono adesso dietro porte blindate e l’occasione persa di far emergere i valori nuovi sostenuti dalla contestazione ispira al cantautore questa corrosiva e impietosa canzone. Carica anche di una affilata autocritica, perché De Andrè si aggiunge alla schiera compatta di quelli che si negano ormai l’incazzatura, la rabbia per i temi alti e si concedono il ringhio solo quando direttamente toccati in quelle sicurezze d’abitudine a cui non sanno più rinunciare. Lo Stato è però il principale obiettivo dei versi taglienti di questa canzone, in quanto portatore di una subdola dittatura che chiama democrazia ma che s’è comprata col sorriso delle pubblicità le cellule reattive della sua gente. Lasciando a regnare su tutto una pace terrificante.

La domenica delle salme diventerà anche un video, per la regia di Gabriele Salvatores. Il disco, solo nel 1990 vende oltre 330.000 copie. Segue una serie trionfale di date nel tour che promuove il disco, che troveranno testimonianza nell’album 1991 Concerti. 




La storia nella canzone


La Domenica delle Salme nasce come un’invettiva, come una rasoiata sul volto della nostra politica peggiore, in barba alla traccia sapiente dei chirurghi plastici che spianano rughe ma non sanno celare opportunamente certa voglia di potere. Ancora, La domenica delle salme è il canto allucinato irrigidito in uno stato di trance indotta, la rivelazione. Perché se questa canzone voleva essere una riflessione sull’Italia degli anni Ottanta, grondante arroganza e stilismo e onnipotenza partitica, e sul sogno utopico inghiottito nel buco nero della memoria dei Settanta, alla fine risulta essere l’impietoso specchio dove un intero secolo, alla chiusura delle sue stagioni, potrebbe guardarsi per un’ultima sistemata alla maschera rossa della morte che indosserà al gran ballo finale. Questa canzone è una delle composizioni più marcatamente segnate dal senso della storia, e sulla spettrale passerella costruita sul vuoto degli ideali dei nostri giorni sfilano, agghiaccianti, le ombre della memoria oscura del Novecento. Rivelazione dicevamo e, nel rispetto della profonda spiritualità laica di De Andrè, non pochi scrupoli si sono fatti avanti tra i nostri appunti nel definirla tale, ma quell’incipit con la fuga del poeta della Baggina non può non lasciare attoniti nella sua coincidenza. La Baggina è la denominazione popolare del Pio Albergo Trivulzio, una casa di riposo milanese passata agli onori della cronaca, perché da un’indagine su tangenti e appalti in quella struttura, gestita dal socialista Mario Chiesa, parte l’azione della magistratura milanese, che colpisce pesantemente la rete clientelare e di finanziamento illecito alle strutture partitiche.

Le circostanze dell’arresto di Chiesa sono di estremo interesse anche sotto il profilo simbolico. I magistrati milanesi erano stati messi al corrente dei suoi maneggi da Luca Magni, titolare di una piccola impresa che aveva ottenuto l’appalto delle pulizie del Pio Albergo Trivulzio, la casa di riposo di cui Chiesa era presidente. Come altri imprenditori e fornitori nella sua stessa situazione, Magni si racava abitualmente a pagare le tangenti in contanti nell’ufficio di Chiesa presso il Pio Albergo.(…) Il magistrato Antonio Di Pietro ne fu informato, e Magni andò a pagare la tangente successiva con un microfono nascosto nella sua persona e i carabinieri a due passi. (4)

In poco tempo, con un effetto valanga, l’operazione Mani Pulite fa cadere nella sua rete politici e imprenditori. Le comunicazioni giudiziarie partono ogni giorno a decine dal Palazzo di Giustizia milanese (5). I partiti più colpiti da questa offensiva sono la Democrazia cristiana e il Partito socialista (6).
Da Milano l’indagine si estende nel corso del 1993 all’intero territorio nazionale, rivelando mille piaghe purulente nelle amministrazioni locali e la connivenza tra apparati politici e grande industria.

L’ammontare delle tangenti versate nelle casse dei partiti e finite nelle tasche dei mediatori, nei conti svizzeri e nei paradisi fiscali di mezzo mondo diventava sempre più cospicuo; si parlava ormai di centinaia di miliardi e la maxitangente pagata per il riacquisto da parte dello Stato delle azioni della famiglia Ferruzzi dopo il fallimento della fusione ENI-Montedison veniva valutata addirittura attorno ai mille miliardi. (7)

Ai tempi della stesura de La Domenica delle Salme lo scandalo della Baggina e il successivo sollevamento del coperchio sul calderone ribollente di Tangentopoli, ancora non aveva riempito le pagine dei giornali e le aule dei palazzi di giustizia. Eppure, se anche non vogliamo parlare di rivelazione, dobbiamo convenire che De Andrè, con un istinto forse affinato anche da certe travagliate esperienze personali (8), annusa nell’aria il pericolo corso dalla libertà individuale. Mentre il letto del poeta in fuga, brucia sulla strada di Trento, e già a nominarla quella città evoca altri fantasmi (9) che poi prenderanno forme definite con lo scorrere dei versi. E il presentimento, all’evocazione di Trento, trova conferma nei versi successivi, quando Renato Curcio, nei passi obbligati della sua cella, viene esplicitamente citato. De Andrè lo evoca per parlare dell’uso della giustizia che obbliga al carcere un uomo, certamente ideologicamente coinvolto nella lotta armata, ma a cui non sono ascritti delitti e che porta su di sé la colpa di non essersi dissociato. E per la Gallura circolano liberi i sequestratori del cantautore, beneficiari di quella legge che confonde la delazione col ravvedimento.

Il riferimento a Curcio è preciso. Io dicevo semplicemente che non si capiva come mai si vedevano circolare per le nostre strade e per le nostre piazze, piazza Fontana compresa, delle persone che avevano sulla schiena assassinii plurimi e, appunto, come mai il signor Renato Curcio, che non ha mai ammazzato nessuno, era in galera da più lustri e nessuno si occupava di tirarlo fuori. Direi solamente per il fatto che non si era pentito, non si era dissociato, non aveva usufruito di quella nuova legge che, certamente, non fa parte del mio mondo morale… Il riferimento poi all’amputazione della gamba, voleva essere un richiamo alla condizione sanitaria delle nostre carceri. (10)

Curcio il carbonaro, è quindi pretesto per parlare anche delle condizioni delle prigioni italiane, ancora piene di detenuti politici di destra e di sinistra. Il nesso tra carcere e società è sempre stretto. Il meccanismo detentivo si propone da sempre due scopi: il recupero dei soggetti devianti e l’allontanamento dei pericolosi dal consesso civile. Dunque allontanamento e recupero sono due aspetti racchiusi in una stessa funzione, con evidenti problemi di gestione, considerata la contraddizione insita nelle due finalità. Per questo il sistema detentivo necessita di essere continuamente riformato.
Se nei primi decenni dell’industrializzazione il carcere è una struttura di adeguamento alla fabbrica, in cui i detenuti vengono avviati alla produzione progressivamente, con l’avvento della società del benessere e con la richiesta di specializzazioni del sistema produttivo, questo criterio viene progressivamente abbandonato e il carcere diventa lo strumento del controllo sociale. Nelle società avanzate la detenzione serve a disciplinare le irrequietezze, le insofferenze, le aspettative che esse stesse hanno generato; le celle si riempiono prevalentemente di individui che vivono ai margini della società opulenta o la rifiutano. A raccontare quelle ore di cella e le passeggiate e l’isolamento ci si prova con successo Giuliano Naria, costretto a passare in carcere nove anni e sedici mesi della sua vita perché sospettato d’essere un brigatista rosso e in seguito prosciolto da ogni accusa. Il suo libro, I duri, più di ogni dato statistico restituisce la situazione carceraria degli “anni di piombo”, fatti non solo di detenuti politici ma anche di comuni legati ai diversi clan e autori di eclatanti gesta criminose, e per lo stile con cui è scritto e anche, a tratti, per l’ironia che traspare nel raccontare certi episodi, si rivela anche una prova letteraria di ottimo livello.

Ho alzato la testa e ho visto un’eternità di giorni assenti, una sfilata di solitudini senza termine. Ho aperto la scatola di salsa di pomodoro che mi ero portato dall’Asinara facendola in barba alle guardie e ai caramba, ho montato il cannone e sono andato in cerca dell’assoluto”, così ha raccontato Piero Montecchio al giudice istruttore di Brescia che gli aveva chiesto perché avesse sequestrato quattro agenti e tre infermieri.
Il carcere recide sistematicamente tutti i tuoi rapporti, vuole imperativamente diventare il tuo unico interlocutore. Annebbia e confonde la tua fantasia e la sostituisce con il nulla di un’eternità destinata a guardare verso il vuoto. Si può resistere soltanto avendo chiara consapevolezza, o credendo di averla, di ciò che si cerca e di ciò che si è disposti a rischiare.(11)

La Domenica delle Salme viene celebrata per quelli nelle celle e per quelli fuori, che contano sulla sicurezza della loro libertà e che invece vengono lentamente schiacciati dal potere invadente che scandisce i suoi tempi non sulle stagioni ma sull’ora dell’aperitivo. Un’Italia da bere, assistendo alla tragedia col bicchiere sospeso tra due dita e i salatini lì, accanto al modulo per accendere l’ennesimo finanziamento alla vita.
E non solo il nostro Paese. Il senso della storia che scandisce l’accordo insistente della canzone allarga la visione oltre l’Italietta a un passo dalla Seconda repubblica, anch’essa ampiamente prevista in questi versi. I Polacchi ai semafori lustrano gli occhi al loro sogno d’occidente mentre i nostri imprenditori d’assalto colonizzano l’Est europeo e i nuovi mercati dove la manodopera è a costi bassissimi e si può produrre con significativi guadagni merci che poi vengono reintrodotte sui mercati occidentali. Nel giugno del 1989 in Polonia si svolgono le prime elezioni libere dell’Est europeo. Il Partito comunista polacco viene prepotentemente sconfitto, mentre trionfa Solidarnosc (12). Di li a poco anche in tutti gli altri stati dell’Est, quasi sempre in maniera pacifica (13), con un effetto domino, passano dal regime comunista alla democrazia. Prima tocca all’Ungheria e poi è la volta della Germania dell’Est, col simbolico crollo del muro che divideva in due la città di Berlino (14). E i fantasmi del Novecento più nero, con la scimmia del quarto Reich che balla la polka sopra il muro, sembrano riproporsi nelle notti di quegli anni Ottanta, respirate coi polmoni pieni del gas esilarante che un apposito Ministero del sorriso si occupa di liberare nelle strade. Perché le fucilate d’un tempo sono imbarazzantemente fuori moda nell’Europa degli anni Ottanta. E allora si può pensare anche alla piramide di Cheope, tutta da ricostruire

masso per masso
schiavo per schiavo
comunista per comunista.

Il crollo del muro segna anche la fine della guerra fredda, ovvero del confronto tra Stati Uniti e Unione Sovietica, giocato sullo scenario internazionale. A risentirne, tra i paesi occidentali, è, insieme alla Germania che si riunifica, soprattutto l’Italia, il paese del blocco occidentale con il più forte partito comunista, che si era giovata di speciali attenzioni da parte dei paesi membri dell’alleanza occidentale. In contropartita il nostro paese doveva garantire lealtà all’alleanza e l’accettazione di una condizione di particolare tutela da parte degli Stati Uniti, in relazione ai rapporti tra i governi della repubblica e il Partito comunista.

Con la fine della guerra fredda e il crollo del comunismo, veniva meno quella rete di protezione che era stata stesa per rafforzare la democrazia italiana. Ne rimanevano indeboliti i partiti di governo che se ne servivano per consolidare il loro sistema di potere e che dai rapporti speciali con gli Stati Uniti derivavano una particolare legittimazione, mentre sul versante dell’opposizione il crollo del comunismo internazionale provocava la profonda crisi di quello italiano. (15)

Sarà a partire da questa crisi di baluardi ideologici ma anche dalla paralisi della politica tradizionale di fronte all’assalto della magistratura di Mani pulite che si costruirà la parabola politica del trionfatore della Seconda Repubblica, Silvio Berlusconi. Proprietario di un gruppo considerevole che poggia le sue fondamenta nell’edilizia e nell’editoria, il futuro presidente del consiglio, si incorona salvatore della patria, che considera scempiamente governata per quarant’anni per colpa dei comunisti. E chi meglio di lui, proprietario delle televisioni più viste e dei giornali più letti e della pubblicità più efficace e dei comici più salaci e dei tragici più commoventi può rapire le coscienze che trovano sollievo in quel già citato gas esilarante.

Ora, dentro una situazione di questo tipo, pericolosamente vicina allo sfascio dell’Impero, mi sembrava giusto intervenire: con la satira, con l’ironia, con la “denuncia sociale”. Un po’ come avevano fatto, certo meglio di me, Apuleio con L’asino d’oro e Petronio col Satyricon. (16)

Mentre nelle strade si celebra il funerale di Utopia e l’atmosfera richiama certe pellicole da sopravvissuti al dopobomba, De Andrè non risparmia le sferzate agli stessi cantautori

voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio
con i pianoforti a tracolla vestiti da Pinocchio
voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti
per l'Amazzonia e per la pecunia
nei palastilisti
e dai padri Maristi
voi avevate voci potenti
lingue allenate a battere il tamburo
voi avevate voci potenti
adatte per il vaffanculo

La Domenica delle Salme, la canzone, che ha attraversato la memoria del Novecento, per riferimenti precisi e per atmosfere accennate, si chiude con un frinire di cicale, inutile vibrante protesta senza seguito, ultima voce di dissenso assenso.









(1)          Creuza de mä riceve moltissimi riconoscimenti anche internazionali. Tra i più significativi ricordiamo il premio assegnato all’undicesima edizione del Club Tenco, come miglior album e migliore canzone in dialetto dell’anno. La rivista “Musica e dischi” alla fine del 1984 interpella cento critici musicali per un referendum che elegge miglior disco della categoria leggera e della categoria rock. A coronamento di questi successi, arriva la dichiarazione di David Byrne, già leader dei Talking Heads e grande esploratore delle contaminazioni sonore, dichiara che Creuza de mä è uno dei suoi dischi preferiti in assoluto.
(2)          Versi tratti dal brano Le nuvole, contenuto nell’omonimo album.
(3)          L’ateniese Aristofane,  (445 ca. –385 ca. a.C.) è il più celebre commediografo dell’antichità. La sua produzione è particolarmente testimoniata perché ci sono pervenute ben undici commedie intere della sua produzione che ne doveva comprendere circa una quarantina. Le sue commedie, in cui si mischiano l’osservazione finissima della realtà, la buffoneria caricaturale e un delicato lirismo, sono dominate da una conduzione letteraria brillante e da un’inesauribile vis comica, che a volte può apparire grossolana ma che sa utilizzare anche un’ironia sottile e allusiva.
(4)          Paul Ginsborg, L’Italia del tempo presente, Einaudi, Torino, 1998, pag. 478.
(5)          Alla fine del 1992 si calcola che il numero dei parlamentari inquisiti aveva superato il 15% del totale.
(6)          Nel febbraio del ’93 il ministro della Giustizia Claudio Martelli, raggiunto da un avviso di garanzia, per concorso in bancarotta del Banco Ambrosiano, è costretto a dimettersi. A distanza di pochi giorni tocca anche al segretario del PSI, Bettino Craxi, che abbandona la segreteria del partito, dopo diciassette anni in cui ha mantenuto incontrastato il vertice. In marzo e aprile dello stesso anno i democristiani Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani sono raggiunti da comunicazioni giudiziarie. Il processo ad Andreotti, accusato di associazione mafiosa, si protrae per anni e rappresenta, in un certo senso, il processo alla Prima Repubblica di cui questo politico era, nel bene e nel male, figura iconica. Alla fine Andreotti viene prosciolto da ogni accusa.
(7)          Giuseppe Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-1998, Il Mulino, Bologna, 1998, pag. 570.
(8)          Dal 27 agosto al 22 dicembre del 1979 De Andrè e la moglie Dori Ghezzi rimangono nelle mani dei sequestratori che li prelevano dalla loro azienda agricola in Sardegna e li costringono a rimanere incatenati nei boschi fino al pagamento del riscatto, che ammonta a seicento milioni di lire e che fu versato dal padre del cantautore. Da questa esperienza De Andrè trasse ulteriori conferme alla sua tesi sulle persone costrette ai margini della storia e l’album che compose con Massimo Bubola e con il quale si ripresentò al suo pubblico dopo la brutta esperienza sarda (il disco, senza titolo, viene anche detto L’indiano, a ragione di un pellerossa a cavallo disegnato sulla copertina) è un parallelo tra gli indiani d’america e i pastori sardi, due realtà schiacciate sotto il peso del nuovo che avanza e trita identità. Siamo nel 1981 e ancora sono in pochi a parlare dei pericoli di un sistema globalizzante.
(9)          Nel 1968 a Trento la facoltà di sociologia che aveva fatto arrivare nella cittadina ragazzi da tutte le parti d’Italia, vede nascere uno dei focolai della protesta più accesi, che successivamente da stimolo alla formazione delle Brigate Rosse, il gruppo eversivo di sinistra più noto e agguerrito. Da Trento parte l’esperienza politica e umana di Renato Curcio e Margherita Cagol. Il primo lo ritroveremo ancora nel corso dell’analisi de La domenica delle salme, mentre per quanto riguarda la Cagol, compagna di vita di Curcio, passata alla lotta armata, viene uccisa in un violento scontro a fuoco in un cascinale, presso Acqui Terme.
(10)      Doriano Fasoli, Fabrizio De Andrè. Passaggi di tempo, pagg. 68, 69.
(11)      Giuliano Naria, I duri, Baldini & Castoldi, Milano, 1997, pag. 37.
(12)      Solidarnosc era un sindacato indipentdente sorto in Polonia nell’agosto del 1980, sull’onda degli scioperi dei cantieri Lenin a Danzica. Il suo principale esponente Lech Walesa fu incarcerato nel dicembre del 1981 e fino al 1989 l’organizzazione agì in clandestinità. Nel 1989, con la caduta del regime comunista Solidarnosc ottenne grandi consensi ma negli anni a venire la sua spinta propulsiva andò esaurendosi fino quasi a fa scomparire l’intera organizzazione.
(13)      Dei paesi europei del blocco comunista, solo la Romania ebbe un passaggio al sistema democratico violento, che culminò con la condanna a morte del dittatore Ceausescu.
(14)      Nel 1961, ad opera della RDT, fu eretto un muro che impediva il passaggio e quasi il contatto visivo tra il settore Est e quello Ovest della città. Il 9 novembre una folla festante assaliva il muro con arnesi più o meno improvvisati. In pochi giorni il muro veniva demolito e i suoi resti diventavano merce da vendere ai turisti, con tanto di certificato che ne attestava l’originalità.
(15)      Giuseppe Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-1998, Il Mulino, Bologna, 1998, pag. 543.
--> Cesare G. Romana, Fabrizio De Andrè, amico fragile, Sperling & Kupfer, Milano, 1991, pag. 145.