domenica 12 luglio 2015

SENZA SCAMPO

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In mezzo al mare. La costa è lontana e la distesa d’acqua salsa si gonfia in onde che prendono il mio kayak di fianco, costringendomi a procedere con una rotta sghemba per tagliare la cresta e pagaiare con l’illusione di volare sospeso sull’acqua. Quante volte l’ho provata questa sensazione di essere un niente a galleggiare nel niente, che in quell’azzurro che domina e non c’è terra e non c’è acqua e non c’è cielo, la sensazione è quella di essere in un non mondo e ogni tanto un pesce che salta o qualcosa che galleggia sembra sussurrarti che è tutta apparenza e che in un'altra dimensione succedono cose e la vita pulsa. E tu sospeso in bilico su quella linea d’orizzonte, che è l’unico indizio per stabilire che sei ancora da questa parte del cielo.
In mezzo al mare. Come nei viaggi in moto e nell’andare per boschi o per piazze o per corridoi di treni o cessi d’autogrill, sei solo a misurarti i pensieri. E allora me lo chiedo qual è il maledetto guizzo che m’anima alla vista dell’acqua e del porto e della riva. Mi chiedo cos’è quella vertigine che mi prende quando mi alzo all’alba per vedere i pescatori che tornano e mettono i pesci ordinati nelle cassette sui carretti, per portarli a vendere a quelli che poi li porteranno a vendere a quegli altri che poi li porteranno a vendere e a vendere e a vendere e poi ci sarete voi in fondo a questa corsa, con le vostre forchette sospese sul gesto d’assaggiare. E direte che è fresco anche quando il pesce è saltato da un furgone a un aereo, a un carrello di ristorante per giorni. Ordinerete e sarà un lampo negli occhi a farla innamorare, mentre chiedete con sciolta abitudine il risotto con gli scampi, che, diciamocelo, poche cose sono stupide come uno scampo che giralo come vuoi c’è da mangiarci nulla ma ti ingombra il piatto e fa bel punteggio sul tuo bollettino della socialità vincente. Status lo chiamano, lo scampo fa status. Sarà per questo che lì in mezzo al mare e ficcato nella mia canoa sorrido a questa mia vita senza scampo.




sabato 11 luglio 2015

muto soccorso

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Guarda tu alle volte. Stai lì a mangiare la pizza, in quel posto modesto di mezzi e di sapori ma che sta sotto casa e ormai ti conoscono e basta un cenno. Senza parlare dello sconto che conclama il tuo essere recidivo in quel succedaneo di vita che ti porti addosso e che chiude troppo spesso i giochi della giornata appoggiato a quei tavoli zoppi a leggere un menù che conosci a memoria. I venditori di rose rinunciano da un pezzo a fermarsi al tuo tavolo anche le rare volte che dividi il tempo della tua cena con una femmina. Ti fosse girato un pacco di soldi per le tasche ora stavi a succhiare gamberi in Costa Azzurra ma la vita tira senza guardare e anche una capricciosa può andare e, oltre a placare la fame, già a ordinarla ti pare di svelare il senso ultimo di tutta la tua vita amorosa. Con supplemento di salamino piccante dici alle volte al cameriere, con un sorriso che cerca minima complicità per questo tuo residuo consunto d’orgoglio libertino. E mentre usi i grissini con lo stomaco come il domatore farebbe con la frusta davanti alla tigre, alle tue spalle quello arriva silenzioso come un incursore. Prima che tu abbia realizzato, accanto al tuo piatto compare un pupazzetto, una collanina, un accendino, una torcia. E un biglietto in guisa d’istruzioni, un bugiardino della disperazione tua e sua e della pizza. Dice che è sordo e dice pure che è muto e dice che potete fare un’offerta. Ti lascia il pupazzetto e la torcia e il bracciale e quello che è sul tavolo e prosegue silenzioso. Quasi altero. Come un sovrano tra gli scrofolosi. C’è dignità e una sorta di vezzo generoso in quella distribuzione. Poi torna sui suoi passi e recupera il dono non accettato da lui, eterno danao delle pizzerie. A volte recupera qualche spicciolo. Quelli che accettano lo scambio tra stronzata e soldi sono spesso a tavola con bambini vocianti. Il sordomuto ne ha piena consapevolezza. Conta su quei bambini che hanno la voce che lui giura di non avere. 
Torna al tuo tavolo e vi guardate per un secondo, il tempo di fargli distogliere lo sguardo forse nel terrore di lasciarsi sfuggire il segreto. E tu lo sai che lui ci sente e parla. Ma sai anche che essere sordo e muto a quell’ora e tra quei tavoli è una comodità per te e per lui.