tag:blogger.com,1999:blog-56287787950712327872024-03-13T18:18:18.768+01:00la ballata dei passi e della passione"e io piangerò e saranno lacrime di silicone, perchè il futuro tutti ci svelerà per quegli androidi di prima generazione che siamo, difettosi nel chip dell'emozione." blughostUnknownnoreply@blogger.comBlogger180125tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-6408928755183990062024-02-07T11:13:00.004+01:002024-02-07T11:13:48.698+01:00zundapp cuore e acciaio<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><p></p><div dir="auto" style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; white-space-collapse: preserve;"><span style="font-size: large;">Alle elementari quelli come me, nati nel picco di incremento demografico scatenato dal Miracolo economico, facevano i doppi turni e a me toccava andare a scuola il pomeriggio. Fottuto dal freddo percorrevo tutta via Caccia fino alla Ippolito Nievo trascinando i piedi tra i mucchi di foglie secche degli enormi bagolai che bordavano la strada. Mi avviavo con l’entusiasmo del condannato a morte che percorre il miglio verde verso la classe e la maestra. E in via Caccia c’era e <span style="font-family: inherit;"><a style="color: #385898; cursor: pointer; font-family: inherit;" tabindex="-1"></a></span>c’è ancora un negozio che vende biciclette, proprio a pochi passi dal campetto dove giocavamo a pallone e dove poi hanno costruito un palazzo con il progetto di un architetto prestigioso e con i materiali con cui si fanno i castelli di sabbia al mare e dopo pochi anni la struttura si è sbriciolata come il pane carasau. Prima di arrivare al negozio di biciclette, se spuntavi da via Passariano dovevi guardare bene se il cancello della vecchia era aperto perché in quel caso il cane merda si sarebbe lanciato contro di te cercando di strapparti un polpaccio a morsi. Il botolo in oggetto era un bastardino bianco e nero che noi chiamavamo Mordeo e che aveva quella attitudine nevrile tipica dei cani troppo assillati dalle vecchie. Bene o male si arrivava davanti a Burra il biciclettaio e in vetrina c’era sempre lei, la maledetta moto da cross in scala ridotta uso bambino. Con motore e carburatore e miscela al due e ruote artigliate. Un sogno vero e proprio. Restavo fermo a guardarla per lunghissimi minuti e immaginavo che sarei arrivato prima o poi alle collinette con quella moto piccola e avrei sfidato quelli grandi con il Caballero truccato e Elisabetta 2, la chiamavamo così perché in classe c’erano tre Elisabette, mi avrebbe baciato. A ben vedere ero brutto anche da piccolo e difficilmente arrivando con la motoretta del nano del circo avrei avuto una possibilità minima di successo ma sognare è sempre lecito. Poi è venuto il tempo della prima e ultima comunione e andavo alla San Quirino a fare catechismo e mi preparavo a quella cosa della confessione dei peccati e alla particola, che è come la buccia del torrone ma più sacra A dire il vero mi preparavo ai regali, soprattutto ai regali. E mio padre a un certo punto mi dice che per la comunione mi regalerà quella moto lì. Ci credeva davvero, mio padre non era un caciaballe, e ci credevo anche io. Siamo andati anche sul Torre a immaginare un circuito da cross che avremmo fatto per imparare a andare sulla moto. Mio padre all’epoca girava con un Guzzi Superalce e ci andava nei posti più assurdi. Insomma io a quel punto passavo davanti alla vetrina e quasi non guardavo perché non volevo rovinarmi la sorpresa. Poi s’avvicinò maggio e la comunione e arrivavano un sacco di parenti e c’erano spese e soprattutto il vecchio televisore aveva fatto un ultimo lamento di morte e s’era spento per sempre. Mio padre una sera si siede con me in cucina e mi inizia a fare un discorso dopo aver fatto i suoi conti nel quadernetto. E mi dice che lui le promesse le mantiene e se voglio la moto la compriamo però ci sarebbe quella storia del televisore nuovo e forse si potrebbe comprare quello al posto della moto ma dovevo decidere io. La moto era solo per me, il televisore era per tutta la famiglia. Costavano più o meno la stessa cifra. Rimasi pietrificato alla luce del neon della cucina a fissare mio padre. Un privilegio personale o un bene comunitario. Lì si stava facendo un uomo. Scelsi il televisore e simulai anche entusiasmo e il sabato andammo alla Mofert a comprarlo. Con il nostro budget portammo a casa un apparecchietto bianco con l’antenna, un comodo portatile diceva mio padre, che prese il posto dell’altro e che occasionalmente mi camallavo nella mia stanza per sentire tutto il privilegio di essere il principale azionista del sistema mediatico di casa mia. Per tantissimi anni quello rimase il nostro televisore e intanto c’era stata l’esplosione delle televisioni private e dovevi avere l’antenna sul tetto del palazzo, ognuno la sua mica la centralizzata come adesso, per vederle. Noi l’antenna non ce l’avevamo e ci arrangiavamo muovendo le antennette, una a cerchio e una telescopica, del nostro apparecchio dei puffi. Ogni sera si doveva trovare la posizione migliore e spesso aggiungvamo oggetti metallici e altro per migliorare la sintonia. A volte mio padre dava dei ceffoni alla tele per regolarla meglio, allora si usava così. Sta di fatto che nelle televisioni private facevano vedere i cartoni dei robot spaziali e io e mio fratello non riuscivamo mai a partecipare alle discussioni robotiche in cortile. Era un mondo complesso e affascinante ma noi eravamo tagliati fuori. Già vedere il porno dell’epoca la notte su Tele Capodistria era faticosissimo perché vedevamo solo il disturbo e sentivamo vaghi mugolii interrotti da scariche e fulmini ma i robot, quelli proprio non si vedevano. Così a un certo punto io e Andrea, mio fratello, ci siamo inventati Zundapp. Era un robot potentissimo chs i vedeva su un canale della Lombardia ma noi riuscivamo a prenderlo. Ne faceva di cotte e di crude e io e mio fratello ogni pomeriggio incantavamo gli altri in cortile raccontando di Zundapp. A un certo punto anche altri hanno cominciato a dire che vedevano Zundapp, è lo stesso meccanismo di Mediugorje, e alla fine Zundapp era il preferito di tutti e non ce n’era per nessuno. Il nostro palazzo, pieno di quelli del boom demografico, tutti con quell’odore di piedi e Big Babol addosso, vedeva ogni pomeriggio Zundapp e poi ce lo raccontavamo. </span></div><p></p><div dir="auto" style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; white-space-collapse: preserve;"><span style="font-size: large;">Ah già, Zundapp esiste ma non è un robot, è il nome di una marca di moto e se passi davanti alla vetrina lo leggi bello chiaro sul serbatoio metallizzato. Forse ancora oggi.</span></div><div dir="auto" style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; white-space-collapse: preserve;"><span style="font-size: large;"><br /></span></div><div dir="auto" style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; white-space-collapse: preserve;"> <br /><span style="font-size: large;"><br /></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgmxpfsHqnFW1YRhXER7tZdgWCzwDk5EVJipZGMu52C1FsiVbo0VC73YGnDtezvStO6qExnt6zT1fvLj3CjD_S4EL00v9CtcB9b3HtdAI4DemtJLeXdvPswXhJXOZhdyHhDYIJTGSansOrMIJzL7ddJfAhLtenyG00auQm_jb-qT6SkmPFmAUCSLH2zDc5v/s1200/CLASSIC-1972-ZUNDAPP-MX125.webp" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="726" data-original-width="1200" height="388" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgmxpfsHqnFW1YRhXER7tZdgWCzwDk5EVJipZGMu52C1FsiVbo0VC73YGnDtezvStO6qExnt6zT1fvLj3CjD_S4EL00v9CtcB9b3HtdAI4DemtJLeXdvPswXhJXOZhdyHhDYIJTGSansOrMIJzL7ddJfAhLtenyG00auQm_jb-qT6SkmPFmAUCSLH2zDc5v/w640-h388/CLASSIC-1972-ZUNDAPP-MX125.webp" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"></td></tr></tbody></table></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-11625575443808448492023-05-04T10:15:00.004+02:002023-05-04T10:15:48.489+02:00preso alla lettera<p> </p><p><br /></p><div dir="auto" style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 15px; white-space: pre-wrap;">Ti scrivo per consegnarti le parole che la sera al telefono non è semplice gestire, in bilico sul sapore che resta della trattoria e lo spazio di queste stanzette, che annullano qualsiasi istinto territoriale e ti fanno eterno straniero. Ti scrivo in punta di polpastrello, sperando che lo schermo sia più veloce del sangue che carica le mie solite stilografiche. Ti scrivo dopo aver salutato l'alba senza vederla, affogato nel buio necessario regalato dalla tapparella per <span style="font-family: inherit;"><a style="color: #385898; cursor: pointer; font-family: inherit;" tabindex="-1"></a></span>risparmiare a questo pulsare di vita del cortiletto, l'ombra del mio corpo pesante e nudo che muove il suo passo coattivo da qui a lì e da lì a qui, come la fiera del circo stipata nel gabbione tra un numero e l'altro. Ti scrivo per dirti di questa città che attraverso cercando e scoprendo ma restando in bilico come non m'era mai capitato. Fuggo la disposizione nevrite al nulla che scambiano per il tutto lasciandomi stupito, che è la cifra del mio presente, quello con cui sono arrivato a misurarmi ora. Ma ne ho viste di cose io, mi ripeto mentre il sonno mi saluta e mi lascia nel letto a ascoltare nelle cuffie questo sassofono napoletano e amico che mi recupera al respiro. Ti scrivo da una stanza che mi hai prenotato da lontano, scegliendo a caso che quella è la regola dell'ennesimo gioco che ci siamo inventati e mi accorgo che se mangiare a un tavolo da solo la sera mi piace, non si può dire lo stesso per il letto. Non mi piace dormire solo in un letto. In spiaggia, nel bosco, in treno, su un lembo di prato a bordo strada, in macchina ho dormito milioni di volte e da solo ma nel letto mi manca quella sensazione di un corpo altro, di un respiro altro. Ti scrivo come a salutarti con la prudenza delle parole, come accostassi a un molo senza abitudine. Scrivo e conto i passi che mi dividono dal bar del mattino che deve bastare. A pranzo passeggio per strade sempre diverse, non lo crederesti ma il tempo del pranzo lo passo da solo a camminare e a fermarmi sui ponti per guardare quel garbuglio di storie che fa intuire la forza dell'acqua che trascina. La mia prodigiosa memoria a pranzo mi lascia al presente e basta. Ancora non lo crederesti. </div><div dir="auto" style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 15px; white-space: pre-wrap;">Così passo davanti alla chiesa di Sant'Andrea Apostolo, che quel santo porta il nome di mio fratello e già per questo mi piace. Ogni giorno c'è questa coppia di barboni e lei è anziana e ha piedi gonfi e la faccia pure, segnata dall'abitudine al merdosissimo vino nei cartoni e con la pelle conciata dal caldo e dal freddo, dal freddo e dal caldo. Lui è più giovane, alto e vestito sempre con un tocco folle. Cuffie rosa e gialle di lana e un mantello scuro e scarpe fuori tempo e misura. Tengono mille masserizie ordinate in un cubo monolitico di coperte e stracci. Lui legge giornali, lei guarda la gente che sfila. Parlano fitto tra loro e si bastano. Ieri sono passato nel tardo pomeriggio e lei cingeva il ragazzo in un abbraccio che accoglieva un abbandono disperato e vinto. La marea mugghiante dei turisti passava diretta all'arte raccontata dalle guide e nessuno s'avvedeva di quella formidabile Pietà.</div><div dir="auto" style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 15px; white-space: pre-wrap;">Ti scriverò ancora da questi letti dormiti a caso. Sembra un buon trucco per dar tregua al calore bianco di questo amare che mi brucia da una vita.</div><div dir="auto" style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 15px; white-space: pre-wrap;"><br /></div><div dir="auto" style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 15px; white-space: pre-wrap;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiikxBVOFbipFgJLCMaAq8l_XcuTizIW7Rb6lM6JkhA-6TsYjaHfOy0L41HDfABf5pCSjW_ccRYwtesVYToI5_s4L6YjhEwy9IwdwUJpxSIQLQrVV6iCctWPaKhhYKJYanl8aoNTbp0We-ALDVvvaL7-TmE9MilxpyyC03SUXyimn9HboS0E0CZovLRaA/s3332/IMG_3054.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="3332" data-original-width="3011" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiikxBVOFbipFgJLCMaAq8l_XcuTizIW7Rb6lM6JkhA-6TsYjaHfOy0L41HDfABf5pCSjW_ccRYwtesVYToI5_s4L6YjhEwy9IwdwUJpxSIQLQrVV6iCctWPaKhhYKJYanl8aoNTbp0We-ALDVvvaL7-TmE9MilxpyyC03SUXyimn9HboS0E0CZovLRaA/w579-h640/IMG_3054.jpeg" width="579" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Ph. Giorgio Olmoti</td></tr></tbody></table><br /><div dir="auto" style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 15px; white-space: pre-wrap;"><br /></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-21789761781001369662023-01-20T10:50:00.002+01:002023-01-20T11:03:02.365+01:00Mi sono creato da solo ma David Crosby ha delle responsabilità<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiC-uRZu2w5S4Xelmo3YTp9z4DzzIYHk1XATn8Yzmd8Ilwq17wW_aXPCq8-5t_dP3G6hDXCKobAtRE0u3oXaLOV_6xdC-saOFYq-cvGtqk5VXRlmMGhsb29xfX0fYrULgSdXPvDUfUf31tXPoTsFTTnxL4w83dgOZ3fKQjmublo5rhzxiS-DzRNsbufUw/s2997/crosby2_slide-461b04f02fe65aae402525e9e8a8a3b8ad07bf6c.jpeg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1998" data-original-width="2997" height="426" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiC-uRZu2w5S4Xelmo3YTp9z4DzzIYHk1XATn8Yzmd8Ilwq17wW_aXPCq8-5t_dP3G6hDXCKobAtRE0u3oXaLOV_6xdC-saOFYq-cvGtqk5VXRlmMGhsb29xfX0fYrULgSdXPvDUfUf31tXPoTsFTTnxL4w83dgOZ3fKQjmublo5rhzxiS-DzRNsbufUw/w640-h426/crosby2_slide-461b04f02fe65aae402525e9e8a8a3b8ad07bf6c.jpeg" width="640" /></a></div><br /><p><br /></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Mi sono, nel bene e nel male, creato da solo. Ci ho messo qualcosa di più di sette giorni. Prima il respiro che non usciva, l'ho inventato a poche ore dalla nascita, che già mi davano per morto. Poi imparare a guardare e a parlare, subito pare e in una maniera che lasciava sgomenti. Parlavo e ero piccolissimo e argomentavo. L'agiografia famigliare dice che avevo sempre da ridire e avevo un parere mio su tutto prima di compiere un anno. Era la mia strategia difensiva credo. Che l'ho capito che toccava guardarsi le spalle da solo già da subito. Poi camminare, male, sempre incasinando un passo davanti all'altro. E correre e cadere e la bicicletta e parlare con tutti gli animali e provare a inseguirli e stare per ore a guardarli. Ho imparato a leggere con fatica e scrivevo malissimo e in giro in giro per il foglio. Forse avevo qualche disturbo dell'apprendimento ma allora si diceva solo che ero uno che non aveva voglia di fare un cazzo a scuola. Probabile. E intanto mi creavo da solo con quello che c'era. Come un piatto arrangiato con le cose che trovi nel frigo la sera tardi e sei stanco. E poi sono venuti i libri e i fumetti e i film guardati in bianco e nero con mio padre alla televisione. I boschi e l'acqua e cominciare a scoprire che ne valeva la pena. Guardare il mondo perdendosi nell'attenzione ai particolari, come in certe tavole complesse di Jacovitti che stai lì a scoprire per ore. Mi sentivo padrone del mio mondo. Ed è arrivata tutta insieme quella maledizione di una voglia che ti prendeva allo stomaco e ti ingombrava tutti i pensieri. Le femmine erano al centro di tutto ma tu non eri al centro di niente per loro. Una maledetta fatica. E allora i libri non bastavano più e avevi un carico di emozioni che non sapevi dove parcheggiare ed è cominciata quella cosa lì di ficcarti, saltandoci dentro a piedi uniti, nella musica. Altro che la memoria imbarazzante dello Zecchino d'oro e dei quarantaquattro gatti che cantavi gridando in auto fino a scoppiare. Per la gioia della famiglia che aveva preso a trattarti come si tratta un forsennato. Sono arrivate le canzoni e ho fatto come faccio sempre. Mi sono letto di tutto, ho ascoltato per ore la radio ogni giorno, mi guardavo in giro. Studiavo. Stavo zitto e cercavo di imparare. Il primo vinile è stato Bob Dylan. Avevo un disco ma non avevo un giradischi. Costruire da zero tutto il mio Empire of dirt, citando Cash che fa una cover meglio dell'originale. Il primo stereo era, giuro, un giradischi mono collegato con i fili volanti al bauletto di una vespa Px appeso al muro e su cui, come usava, erano montate delle casse. Come dici? Come facevo ad averci il bauletto di una Vespa? Non ricordo. In ogni caso è in prescrizione. E avevo un registratore a cassette con la radio che era un bel modo di allora per sentire la musica. Al punto che per anni ho avuto solo cassette e pochi dischi feticcio. Migliaia di C90 con due album registrati, uno per lato, e le copertine scritte a mano e disegnate da me medesimo. E sono arrivati Crosby, Stills, Nash and Young. Credo che Deja vu sia il disco che ho ascoltato di più nella mia vita. E poi i dischi da solisti e la monumentale opera di Young e il sogno delle ore di registrazione con Hendrix che Stills conserva gelosamente e che non è stato pubblicato. E poi Crosby, quella voce lì mi ha inchiodato le emozioni all'anima, come le tesi luterane al portone della chiesa. Mi ha cambiato la vita. Una parte irrinunciabile. Me lo sono portato dietro fino qui che mi sono creato tutto da solo e ora comincio a vedere le crepe in quell'argilla da poco. Crosby è parte preponderante della mia personalissima colonna sonora. E ora è morto. Abbiamo giocato ogni volta che lo sentivo a credere nell'immortalità e a ridere di quei complottisti che sostengono che anche uno come lui è destinato a morire. E oggi è morto. Un giorno Ste mi ha portato ad Aosta a vedere Crosby Stills e Nash e erano già vecchi e viaggiavano ognuno su un autobus nero enorme suo. Senza guardarsi in faccia. Ma sotto quel palco, c'ero andato sospettando la delusione, Crosby si è proposto al pubblico come se il tempo non fosse mai esistito. Una voce miracolosa. E io ero arrivato lì con la paura di fare i conti con il reale. Sembravo quel suo personaggio che guarda nello specchietto e vede l'auto di madama e si fa stringere al collo dalla mano della paranoia. Crosby è morto e io mi sono creato da solo usando anche quelle sue canzoni. E grazie a lui ricordo ancora il mio nome. Quasi sempre. Ma avrei voluto chiamarmi Crosby e forse per questo il mio cane si chiama Nash.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Ciao Croz</span></p>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-54006256504934766402023-01-09T23:21:00.003+01:002023-01-09T23:23:37.172+01:00primo movimento<p> </p><p><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px;"><br /></span></p><p><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: medium;">Primo movimento</span></p><p class="p2" style="font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 15px;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: medium;">Il campetto giù allo scalo è invaso dal primo sole veramente estivo. I ragazzini corrono dietro al pallone gridando. Al Guasto, per arrivare lì, gli è toccato passare davanti al bar della stazione. C’era da giurarci che suo nonno se ne restava lì al tavolino a sentirsi passare gli anni addosso, bevendo quel vino avvelenato e berciando con quegli altri rancidi a chi era nel giusto e chi nello sbagliato. Qualsiasi fosse l'argomento. Non gli piaceva punto passare da quella parte, sentendosi addosso gli occhi di quello schifo d'uomo con le unghie sepolte come fossili sotto ere geologiche di sporcizia e l'alito da trogolo e quel puzzo di piscio e nafta che si portava nei panni frusti. L'aveva sempre odiato quel vecchio e la cosa doveva essere reciproca. A memoria sua, la carogna, il padre di sua madre, non gli aveva mai rivolto un accenno di grazia, un sorriso, un’attenzione. Si limitava a guardarlo come fosse un cane nato con tre zampe. E anche mentre passava con i pantaloni di tre taglie più grandi che gli dondolavano sui passi come la gonna di una ballerina spagnola della televisione, giuraci che era lì a guardarlo con disgusto e la testa piegata di lato. Magari qualcuno dei suoi gli avrà anche domandato “ma non è il figliolo della Cate quello lì?”, chiedendoglielo più per dispetto che per informazione. Lui non avrà risposto, continuando a fissare quel mucchio d'ossa e pelle troppo pallida.<span class="Apple-converted-space"> </span></span></p><p class="p2" style="font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 15px;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: medium;">Abitavano vicini il Guasto e suo nonno. Proprio la stessa casa ma con due porte diverse per entrarci. Il padre era sparito in Belgio e dopo le prime lettere e qualche spicciolo non ne avevano più avuto notizia. La Cate andava a servizio dalla moglie di quello del Consorzio e dice che si consolava con diversi maschi della zona. Era una cosa che si sapeva e a scuola ogni tanto qualcuno gli soffiava come un serpe “Guasto, tua madre è una troia”. Anche al nonno erano arrivate le voci e la sera in casa si sentiva gridare a volte. Dopo una cena ringhiata il vecchio merdaiolo era andato vicino a farla secca con un bottiglione del vino vuoto. Glielo aveva tirato dietro mentre lei si alzava dalla tavola dove dividevano quello che c'era. Di suo, il Guasto s'era convinto che la rabbia del nonno dipendesse da quella maledizione di dover contribuire a sfamare la figlia e il nipote. E poi c'è quella storia del nome, che lui mica se lo ricorda quando hanno cominciato a chiamalo “Guasto” ma quando gli viene quella rabbia lì, che la conosce solo lui e che gli sale dalla pancia alla gola con il sapore amaro di fiele, gli monta il sospetto che quella maledizione d'essere chiamato da tutti così deve essere un regalo, l'unico, del vecchio. Giuraci che è stato lui a cominciare a chiamarlo così con gli amici del bar allo scalo. Dove sta anche adesso e lo guarda e fa la faccia dello schifo. Remo, che così si chiama il Guasto all’anagrafe, va avanti e non si gira, fissando piuttosto l'attenzione sulle lucertole che fuggono al suo passaggio. Lui lo sa bene che se ti muovi piano, pianissimo, quelle bestie lì le freghi e le puoi prendere con il cappio fatto con l’erba lunga e tirarle su allo strangolo e guardare che spasimano di riuscire a infilarsi nei loro buchi. Le tieni sollevate e ti godi quella frenesia disperata come fossi dio che manda le piaghe sulla sua gente.</span></p><p class="p2" style="font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 15px;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: medium;">Il campetto sta lì, riempito dalle urla e dai colpi secchi sul pallone di cuoio consumato. Rubato alla palestra della scuola media di Sapriano, il paese vicino. Perché il cane non piscia mai dove mangia dice il vecchio Morchia che ha fatto il ladro tutta la vita. Le scarpe di tutti non sono buone per quell'agone sportivo e giuraci che a casa qualcuno stasera si prenderà le sberle. Non è certo un problema del Guasto. Lui non gioca. Sta a guardare di là dalla rete e resta seduto sulle seggiolette di plastica ingiallita messe da un improbabile pubblico improvvisato. Nell'erba sporca ci sono due ragazzetti che non sono in età per stare lì in mezzo a giocare ma restano nei paraggi perché può sempre succedere che vengano chiamati dentro a rimpiazzare qualcuno. Stanno lì come i cani sotto il tavolo, che s'approfittano dei pezzi di pane che cadono in terra. E intanto guardano quegli altri che corrono e rotolano nell’erba zellosa e si gridano i morti e i parenti. Ogni tanto arriva anche Simone che ha la stessa età del Guasto e andavano all’asilo insieme ma non si sono mai dati troppa confidenza. Non gioca a pallone, sembra lui il pallone, è grasso e ha gli occhiali con la montatura verde smeraldo e le lenti tondissime a enfatizzare la grossa testa e gli occhi sbarrati. Va in giro con un cagnetto secco e basso, nero focato. Simone lo chiamano con un elenco di trovate spiritose che hanno a che fare con il peso in eccesso e gli occhiali e la puzza dei piedi. Inventano i nomi le rare volte che lo chiamano ma non è mai per cercarlo davvero, piuttosto per ridere a bocche spalancate, di quello sguaiarsi di rabbia e acido dello stomaco alla bocca, che non ha nulla da spartire con il divertirsi. Però lui ha il cane che gli gira attorno allegro, pensa il Guasto. Poi vede un’altra lucertola sul muretto. Immobile al sole. Il rettile muraiolo aspetta una mosca o un altro insetto da acchiappare al volo. Cerca il bastone il Guasto, quel legno nodoso che si porta sempre dietro. Con l’aria di essere un pastore del presepe, che la consistenza del suo pelle e ossa è come la cartapesta e la somiglianza con i pupazielli che il prete mette nello scenario della natività a fine anno è sputata. Solleva lentissimo quell’arma primitiva il Guasto, scortecciata con il coltellino che gli ha regalato la madre dicendo di non perderlo che era svizzero. Lui la Svizzera non ha idea di dove sia, ma quei coltellini devono essere una cosa rarissima. Lui lo sa che la madre il suo l’ha preso dalla scatola dell’armadio. Ci tiene quelle cose segrete che sono i ricordi e le fotografie dell’uomo che doveva essere suo padre ma è stato inghiottito dal Belgio, che sarà vicino alla Svizzera.<span class="Apple-converted-space"> </span></span></p><p class="p1" style="font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: medium;">Come una katana dei film di botte cinesi, nel controluce del sole<span class="Apple-converted-space"> </span>il bastone resta sospeso in aria, poi cala in picchiata. Sulla lucertola. La muraiola. La schianta, la spezza, la spappola. Muore. Contorcendosi muore.</span></p><p class="p1" style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p class="p1" style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p class="p1" style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKEHkZHkuTaJpCmCQ7Z6urn8lZX6LLQ8hJfhu_AcnFyqna9gMUBRwvOEJcVT22mJll6QVajUfiAdLb3JNI3HDYIS5JBCCirARxMhgel506J7ZZQmypvCM5TJc1kJvdW3yNs2O-RmndIeEQBoR7QazaUcSxW_rdSh2OuT_kKNd8wy1tcSgVIfaDV93tbg/s1920/220908-LONGO-PER_CHI_VIAGGIA-DSC_8835W.JPG" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1280" data-original-width="1920" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKEHkZHkuTaJpCmCQ7Z6urn8lZX6LLQ8hJfhu_AcnFyqna9gMUBRwvOEJcVT22mJll6QVajUfiAdLb3JNI3HDYIS5JBCCirARxMhgel506J7ZZQmypvCM5TJc1kJvdW3yNs2O-RmndIeEQBoR7QazaUcSxW_rdSh2OuT_kKNd8wy1tcSgVIfaDV93tbg/w400-h266/220908-LONGO-PER_CHI_VIAGGIA-DSC_8835W.JPG" width="400" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><br /></div><br /><br /><p></p><p class="p1" style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p class="p1" style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12px; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-51137630402428357122022-02-05T11:56:00.002+01:002022-02-05T11:56:16.343+01:00Il cane d'Africa<p> </p><p><br /></p><p><span style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 15px;"><br /></span></p><p><span style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif;"><span style="font-size: large;">E io che racconto per mestiere e per attitudine stavolta non so da dove cominciare. Sul serio. Con Elisabetta Bosio e Cosimo De Nola registriamo i podcast di "Storie di cani", che sono l'estensione sonora del libro "Che razza di cane" e ci divertiamo molto e pare che si diverta la gente ad ascoltarci. Le musiche sono originali e suonate tutte dalla portentosa Elisabetta, le parole sono le mie, sempre lì lì per inciampare inseguendo e superando altre parole. Poi capita che in quella bolla che annulla lo spazio e il tempo che è lo studio di registrazione,, davanti al microfono e senza averla preparata prima, decido di raccontare una storia, questa storia che esce oggi nel podcast e che si intitola "Il cane d'Africa". Inizio quasi prendendola larga e poi a un certo punto comincio a visualizzare le scene e a riportarle come se l'avessi vissuta io. E invece è una storia della memoria familiare, che mi è stata raccontata insieme a mille altre la sera, dopo cena, con mio padre che è stato il più grande narratore di storie sue e di libri d'altri che io abbia mai incontrato e possiamo dunque ben dire di padre in figlio. E insomma mio padre è il protagonista di questa storia e stavolta non si ride per nulla ma si spiegano le radici profonde del mio legame con i cani. E io me lo sono sempre immaginato mio padre a sette anni a Anzio, mentre gli alleati sbarcano e mio nonno ha affondato il dragamine al largo di Trieste per non consegnarlo ai tedeschi, mio nonno che s'era già fatto la Prima guerra mondiale e gli anni negli Stati Uniti e era potentemente antifascista. Me li sono immaginati sempre senza poterli vedere se non nell'indizio genetico che mi porto addosso come se lo porta mio figlio. E insomma registro la storia e a due giorni dalla pubblicazione mi arriva di notte un messaggio da mio fratello Andrea, un altro pezzo importantissimo della mia memoria domestica. Perchè nei giorni dello sbarco ad Anzio tutta la popolazione era stata caricata sulle navi e sfollata in Calabria e in Sicilia. La famiglia di mio padre era stata mandata a Bova Marina. E nel racconto a più voci di quei giorni si diceva che a mio padre e alle sorelle gli avessero fatto un film gli americani sulla nave. Dice che mio padre aveva un passamontagna rosso di lana e sudava e quando l'aereo tedesco li ha mitragliati tutti credevano l'avessero colpito e invece era solo il berretto che stingeva. Insomma mio padre ha passato la vita a cercarsi nei documentari e chiedeva a me che di mestiere frugo negli archivi di trovare quelle immagini sulla nave. Nel 2016 mio padre è andato avanti e non le ha mai riviste quelle immagini, abbiamo anche dubitato fossero mai state girate. Però ci aveva raccontato la sua vita passo passo, dandogli una notazione salgariana che ce la rendeva imperdibile. E l'altra notte mio fratello l'ha trovato. Ho lo spezzone del video e mi sono fatto i fermo immagine perchè ho subito attivato la mia macchina tecnica di mestiere. E lo guardo mio padre e ci sono le sorelle e alle spalle anche mio nonno. Hanno perso tutto. Non sanno dove li stanno portando. E di colpo ho capito che la faccia di mio padre era quella del bambino che racconto in questa puntata del podcast. Era successo tutto pochi giorni prima. Io quasi non riesco più a guardarla quella faccia. Ma ho capito un sacco di cose di me e di tutta la mia vita. Mi dessero solo il tempo di una spaghettata di notte con lui e mio fratello per rivederci quelle immagini insieme. Però abbiamo chiuso il cerchio. Grazie soprattutto a mio fratello Andrea, grazie a tutti e scusate l'impaccio.</span></span></p><p><span style="font-size: large;"><span style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif;">Buon ascolto.</span><br style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif;" /><br style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif;" /><span style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif;">Ah già, stavolta Elisabetta ha suonato da strapparmi l'anima</span></span></p><p><span style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 15px;"><br /></span></p><p><br /></p><p><span style="background-color: white; font-size: 15px;"><span style="color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, .SFNSText-Regular, sans-serif;"><a href="https://open.spotify.com/episode/1AroHE6GvnLXGNw1nEYjPx?fbclid=IwAR0eyx0oZKxxTbkGddG3U2VGWXWPw7ZOhGfWwXsSVLooEoFCXMcXzoOmdpQ">https://open.spotify.com/episode/1AroHE6GvnLXGNw1nEYjPx?fbclid=IwAR0eyx0oZKxxTbkGddG3U2VGWXWPw7ZOhGfWwXsSVLooEoFCXMcXzoOmdpQ</a><br /></span></span></p><p><span style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 15px;"><br /></span></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjMyRBbZLDxoygf37RZKJofP5H-nc7D13hWE_TYms1hdfQY9EZjiaKDXR0Zpb20y4t50NWGVGeb6P54PeKsRTP83yX71flZrej1gVwZe5vEGnN-Kel0HED5_Pi-EMUU0XqiKJR8J3Gqxw0gc5plbKj6_C8iXUHvGJ_SOmTmdP2VsL2hBxmeSt38OeoD8w=s1978" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1192" data-original-width="1978" height="274" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjMyRBbZLDxoygf37RZKJofP5H-nc7D13hWE_TYms1hdfQY9EZjiaKDXR0Zpb20y4t50NWGVGeb6P54PeKsRTP83yX71flZrej1gVwZe5vEGnN-Kel0HED5_Pi-EMUU0XqiKJR8J3Gqxw0gc5plbKj6_C8iXUHvGJ_SOmTmdP2VsL2hBxmeSt38OeoD8w=w454-h274" width="454" /></a></div><br /><span style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 15px;"><br /></span><p></p><p><span style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 15px;"><br /></span></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.blogger.com/video.g?token=AD6v5dwEH5gcwOFNqLcXi49kmXNKQHnwd-N7Kjksgy_KicGqOwi2aHkCdqcdnwVelAlCCwWaVtFFkvyJaKStqyRn6A' class='b-hbp-video b-uploaded' frameborder='0'></iframe></div><p><br /></p><p><br /></p><p><br /></p><p><br /></p><p><br /></p><p><br /></p><p><br /></p><br /><span style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 15px;"><br /></span><p></p>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-64938843811214500432021-10-21T18:36:00.003+02:002021-10-21T18:36:19.393+02:00CANZONE PER L'AUTUNNO<p> </p><p><br /></p><p><br /></p><div dir="auto" style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; white-space: pre-wrap;"><span style="font-size: medium;">Con il tuo schierarti deciso e la certezza della storia che non hai studiato mai. Con i tuoi gerarchi che ora, sui social, puoi fare eroi senza quella vergogna che era un sospetto quando stavi da solo nella tua stanzetta e già pensavi che dove c'era la morte di milioni c'era ordine e quindi era buono. Con la tua stanzetta da riordinare e tua mamma a darti del briccone e a farlo per te. Con il tuo lavoro sicuro e le strade che son sempre meno sicure e la sicura della Beretta da accarezzare. Con i tuoi colpi partiti accidentalmente e un figlio di sei anni morto nel tinello con un buco in fronte. Con la tua palestra per essere forte e non riuscire nemmeno a sollevare la pagina di un libro. Con i tuoi stupri cattivi e stupri buoni. Con il tuo credere che si stava meglio quando tu non c'eri ma ti pare di saperlo pari pari perché quell'ordine di prima ti fa una gola pazzesca e ti regala un brivido che è già sesso. Con quell'impaccio di non riuscire a far l'amore e a spingere e a guizzare e a mordere e a sorridere e a perderti nella carne e la carne, e dici che è colpa di questo tempo avvelenato. Con la paura della morte che ti fa tenere d'occhio i passi sulla app e le calorie e elimino questo e eliminare è buono. Con la paura dei negri. con la paura degli zingari.con la deferenza con cui saluti quello della banca. Con tuo padre meridionale, che vi sentite ogni tanto ma loro son venuti per una vita nuova. Con la tua bella militanza di sinistra oggi, quella roba lì di essere democristiani ma vestiti casual. Con la tua bella forza ideologica che spendi sul social e poi basta, che quando mi hanno licenziato stavano tutti zitti. Con i poveri, i ricchi e quegli altri. Con le vacanze che finiscono e vivere undici mesi sentendoti quella roba lì che sei solo per tre settimane se togli natale e pasqua. Con la tua maglietta dell'Italia agli italiani e le tare che ti porti addosso, che te lo immagini da solo che ci fosse davvero la selezione della razza tu saresti già nell'umido. Con la fede e la preghiera e appena uscito dalla messa odiare e odiare e sospettare e accogliere un cazzo. Con la macchina dei tuoi sogni. con la casa dei tuoi sogni. con questa maledizione che la mattina ti svegli e non ti ricordi mai cosa hai sognato.</span></div><div dir="auto" style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; white-space: pre-wrap;"><span style="font-size: medium;">Com'è che non riesci più a volare?</span></div><div dir="auto" style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; white-space: pre-wrap;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div dir="auto" style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; white-space: pre-wrap;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div dir="auto" style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; white-space: pre-wrap;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div dir="auto" style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, "system-ui", ".SFNSText-Regular", sans-serif; white-space: pre-wrap;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-68793026049542936412021-10-01T19:47:00.002+02:002021-10-01T19:47:23.144+02:00Lui camminava ed io correvo<p> </p><p><br /></p><p>Lui camminava ed io correvo. </p><p>Era tutto il giorno che giravamo con mio padre i boschi alla ricerca di funghi. Il bottino era davvero magro e io avevo riempito lo zaino di tela di mele di qualche albero abbandonato al suo destino da decenni e che ancora si ostinava a buttar fuori certi frutti butterati. Ma per me era comunque una soddisfazione e mia madre di sicuro il giorno dopo avrebbe fatto una torta recuperando al palato quei frutti vaiolosi. </p><p>Scendiamo in una valle verso un gruppo di betulle, lo stesso posto dove anni dopo, durante una scossa fortissima di terremoto, vedemmo i cinghiali correre impazziti gridando. E non potevamo credere ai nostri occhi. Solo se vai a funghi puoi capire il senso di vertigine che può prenderti quando all'improvviso ti imbatti in un campo riempito di mazze di tamburo o in una zona dove trovi porcini sparsi dovunque provi a guardare. </p><p>Porcini e ancora porcini. Grossi, vellutati. Sembravano finti. Li raccogliamo e riempiamo tutto quello che abbiamo con noi e che può contenerli. Siamo felicissimi. Arriviamo alla macchina e mio padre dice "Però mi è venuta fame, facciamoci due porcini alla brace". Mia madre obietta che non abbiamo niente per cucinarli e se lo dice lei che riusciva a fare il sartù sul fornello della roulotte quando eravamo assediati dal sisma. Ma mio padre m'ha insegnato a improvvisare, a inventare, a viaggiare, a scoprire, a cercare nei libri e negli occhi delle persone e nella terra e nell'aria e nell'acqua. Apre il cofano della Fiat 124. Tira fuori le catene da neve, che all'epoca erano catenazze degne di una nave negriera. Accende un fuoco, che in macchina sua e anche nella mia non manca mai qualcosa per accendere un fuoco e un sacchetto di sale. La fiamma si alza tra i rami secchi e sta diventando buio. Tutta la famiglia attorno a quel fuoco bordato di pietre. Ridiamo. Poi mio padre butta le catene dell'auto sulla brace viva e le fa arroventare. Ci appoggia le più succulente tra le cappelle dei porcini e ci mette un pizzico di sale. Usiamo dei bastoncini a cui abbiamo fatto la punta come posate. Io funghi buoni così non ne ho più mangiati in vita mia.</p><p>Mio padre sapeva il nome di tutte le piante e sapeva seguire le tracce degli animali e sapeva prendere le trote con le mani e ora un po' queste cose le so fare anche io e un po' anche mio figlio. Mio padre è morto esattamente cinque anni fa. Mentre moriva io ero lì e lui mi diceva che quelli della casa editrice erano stati gentili a darmi tre mesi di ferie per stare con lui. Gli ho mentito mentre moriva e non gli ho detto che quelli della casa editrice se n'erano fottuti di lui, della sua morte imminente e anche di me che in quel momento non avevo nessuna difesa. E ero lì con lui mentre moriva e e lui m'ha consigliato di leggere "Viaggio al termine della notte". Io l'avevo già letto ma ho capito cosa mi voleva dire. Ciao, forse ci si rivedrà dall'altra parte e se non c'è nulla non importa. Il sapore di quei funghi è valso tutto.</p>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-89808189540604928512021-03-26T19:35:00.002+01:002021-03-26T19:35:57.037+01:00Non ci ricordiamo e non ci ricordano<p> </p><p><br /></p><p><span style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 15px; white-space: pre-wrap;">Qualche mese prima della grande peste. Un pugno di giorni appena. Lo scampolo di quel 2020 in cui si sussurrava già della morte nera che arriva nell'alito pesante di chi si nutre di pipistrelli e sembravano storie di viaggiatori del Catai tornati a raccontarci del Gran Cane piuttosto che la realtà che ci mordeva ai garretti e ci inseguiva per farci chiudere in casa da lì a qualche settimana. Eravamo partiti come facciamo da tutta la vita nostra. Da Torino a Milano per una serata in teatro a raccontare il nostro "Moby Dick e altre ballate del mare". Io e Ste, Federico e Matteo. Gente che a dirla amica gli farei un torto, che piuttosto la famiglia è quel pugno di persone che scegli perchè ti somigliano e sono diverse, ridono con te e di te e tu per loro fai lo stesso, e loro sono la mia famiglia, la mia razza senza pedigree. Tutti stipati come è capitato milioni di volte in una macchina, andando piano per non consumare troppo, fermandoci a mille bar e consumando noi molto più di una macchina potente e di prestigio. Ma è la vita che ci siamo scelti e non abbiamo mai preteso niente da nessuno. Arriviamo al teatro e c'è un cancello e una vecchina che fa la portinaia e vive in una stanzetta che ci viene voglia di chiederle se ci fa un risotto con l'ossobuco e siamo già pronti a andare a farle la spesa e ci siamo dimenticati dello spettacolo. Ma la scaletta scritta a matita e le prove fatte in macchina per quei sedici secondi di attenzione condivisa sono un obbligo che ci richiama alla realtà. Il teatro è piccolo e defilato, fosse la prima volta, ma è bello. A riceverci un personaggio che definirò con vaghezza enigmatico, perché per tutta la sera ci guarda come se fossimo noi quelli strani e quasi non ci rivolge la parola. Montiamo tutto e come da prassi ce ne usciamo a cercare un bar. Niente, siamo in un quartiere di gente per bene e stanno facendo il coprifuoco con largo anticipo sui decreti che verranno e che, li avessimo solo sospettati, non saremmo mai più tornati a casa la notte per i giorni che restavano. E ridevamo come ridiamo sempre tra noi. Ma è la vita che ci siamo scelti e non abbiamo mai preteso niente da nessuno. Arriviamo davanti a una pizzeria. Le luci accese. Ci affacciamo alla porta e chiediamo quattro bicchieri di vino. "Non possiamo farvi entrare solo per un bicchiere di vino, se volete vi diamo quattro bicchieri e lo bevete lì fuori" "Ma piove" "Non possiamo". Ridiamo e ci diciamo che Milano è troppo raffinata per noi se una pizzeria, che fa schifo a guardarla ma ha i tavoli disegnati da un geometra del catasto che si crede un artista, può tirarsela al punto da tener fuori noi che a Torino, a Napoli e a Udine veniamo accolti dagli osti come fossimo gli unti del signore. Restiamo con i calici sul marciapiede e piove e non sappiamo che ci stanno versando un anticipo sul disagio che verrà a tenerci fuori dal locale con la consumazione da asporto, che per me l'asporto è una roba che riguarda la milza o la cistifellea quando stai inguaiato. Buttiamo il vino nel tombino. Ma è la vita che ci siamo scelti e non abbiamo mai preteso niente da nessuno. Poi torniamo dentro, l'uomo del teatro pare non abbia mai visto prima l'impianto audio che è il suo e ci arrangiamo, lui guarda verso punti lontani, mette a fuoco all'infinito ogni volta che ingombriamo in suo campo visivo. Infastidito. Ci dice che abbiamo lasciato l'auto in un posto che non c'è problema se non fosse per il vicino che rompe i coglioni e danneggia le auto. Ci guardiamo. La macchina è la mia, una Lexus con trecentomila chilometri e rotti che mi ha lasciato in eredità mio padre e che ci sta accompagnando in giro ma che durante il lockdown mi verrà completamente distrutta da un camion o qualcosa di simile, non lo sappiamo perchè è scappato ma ha lasciato la macchina disintegrata sotto casa. La Lexus era una macchina prestigiosa con gli interni in pelle chiara e il computer di bordo e lo stereo figo e un motore potente ma ha fatto un mucchio di strada e però mi ricorda mio padre e la riaggiusto sempre. Ma quando me l'hanno sbriciolata durante il primo lockdown l'ho buttata via e m'è rimasto solo il pick up che mi hanno rubato durante il secondo lockdown. Ma è la vita che ci siamo scelti e non abbiamo mai preteso niente da nessuno. Insomma ci ficchiamo in uno stanzino che lì chiamano camerino e potrei fare un catalogo dei camerini della mia vita degno di Breton e dei vertici creativi del surrealismo. Facciamo lo spettacolo. C'è pubblico e ci siamo noi e siamo felici. Raccontiamo le nostre storie. Siamo felici così. Ma è la vita che ci siamo scelti e non abbiamo mai preteso niente da nessuno. A fine spettacolo la gente si ferma a parlare e sorridono tutto tranne l'uomo del teatro che resta serio e accigliato. La notte ripartiamo e mentre entriamo in tangenziale la macchina buca una gomma. Gli altri scendono su una rampa e io procedo piano verso un autogrill. Scendo e comincio a darmi da fare con il cric e poi realizzo che le gomme bucate sono due. Sullo stesso lato. Una cosa incredibile a cui non crede nemmeno l'uomo del carro attrezzi. Ci carica e dice che di notte nessuno può aggiustarci la macchina. Ci può portare nel piazzale di un gommista e la mattina ci sistemeranno tutto. Decido di restare io. Gli altri riusciranno a prendere un taxi e a tornare con il treno, l'ultimo, ma io resterò lì con la macchina. I soldi quello del teatro a fine serata non ce li ha dati e, capita raramente ma capita, non ce li ha ancora dati se vogliamo essere precisi. Lo benedico spesso. E penso che forse il vicino dispettoso o forse la sfiga o forse vai a sapere. Ma è la vita che ci siamo scelti e non abbiamo mai preteso niente da nessuno. Mi lasciano in uno spiazzo tra un campo nomadi, un Macdonald aperto tutta la notte dove i barboni per stare al caldo dormono appoggiati ai tavoli e avvolti nell'odore di Macnugget che fa quasi casa. Resto nel buio delle fabbriche. Provo a dormire nell'auto di notte, tutta la notte. Gli amici mi scrivono. Ogni tanto passeggio, piscio contro il buio e vado a farmi un caffè con la ciambella rosa che odio. Ho uno spyderco sul cruscotto e la macchina accanto alla mia ha la targa francese e l'hanno sfondata portando via tutto. Un enorme gufo vola su quel buio. Alle tre si spengono le luci del piazzale e resta sullo sfondo solo il Mac illuminato e sembra un quadro di Hopper. Lo sai chi è Hopper? Non sai mai un cazzo, non importa. Viene l'alba e la fotografo e la mando agli altri e sono vivo e poi aprono l'officina e cambio le gomme e spendo i soldi che non ci hanno mai dato per quella data. Torno a casa per pranzo. Ma è la vita che ci siamo scelti e non abbiamo mai preteso niente da nessuno. Ecco, noi non abbiamo mai chiesto niente a nessuno e ora, a distanza di un anno e mezzo dubitiamo tra noi di averla mai vissuta quella vita e muoriamo davvero inghiottiti dall'assenza.</span></p><p><span style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 15px; white-space: pre-wrap;"><br /></span></p><p><span style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 15px; white-space: pre-wrap;"><br /></span></p><p><span style="background-color: white; color: #050505; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 15px; white-space: pre-wrap;"><a href="https://www.youtube.com/watch?v=gGMyWztRk2k">https://www.youtube.com/watch?v=gGMyWztRk2k</a><br /></span></p><p><br /></p><p><br /></p><p><br /></p>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-16086610257869742020-09-22T18:23:00.005+02:002020-09-22T19:30:05.702+02:00ERAVAMO IN GAMBA<p> </p><p><span style="background-color: white; color: #16191f; font-family: "Times New Roman"; text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></span></p><p><span style="background-color: white; color: #16191f; font-family: "Times New Roman"; text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></span></p><span style="font-size: large;">Per arrivare stavolta ho preso il 4. Una corsa di fine pomeriggio. Sono sceso alla fermata di quando tornavo da scuola. Il palazzo è ormeggiato al bordo del vialone a sei corsie. Viale Venezia. 398. Ci sono delle immagini dei giorni in cui i tedeschi, durante la seconda guerra mondiale, lasciano la città. Un po’ a piedi, un po’ sui camion, un po’ con carri tirati da bestie, un po’ in bici. Marciano guardando avanti verso Pasian di Prato e Venezia e tutto l’occidente possibile. Attraversano quel viale lì e io mi danno ogni volta a riconoscere i portoni e le tracce di quello che ancora resta di quel bianco e nero in ritirata. Poi ci sono altre immagini che mostrano i partigiani che entrano in città. Un po’ a piedi, un po’ sui camion, un po’ con carri tirati da bestie, un po’ in bici. Entrano in città e ridono e sventolano e credono che il mondo sarà un po’ loro. Si ripetono che ora saremo tutti migliori. L’umanità ha questo vizio di dirsi le bugie per tirare avanti. Sempre le stesse bugie. </span><div><span style="font-size: large;"><br />Ma, dopo un po’ che eravamo arrivati noi a vivere lì in Viale Venezia, hanno fatto lo spartitraffico. Prima le auto piombavano in città dall’autostrada col rombo di aerei che atterrano carichi di turisti tutto compreso. E era pericoloso quel viale. In velocità ne abbiamo visti fare a brandelli parecchi. Arrivavano le ambulanze e la polizia e si mettevano dei lenzuoli sui miseri resti sparsi. Ogni vita spezzata almeno quattro sudari lontani tra loro anche distanze considerevoli. Dipendeva dalla velocità. Le auto erano bolidi ferrosi e i corpi erano meno avvezzi all’urto perchè, da allora, non ricordo di aver visto ancora un uomo morire spargendosi lungo metri di agonia di asfalto. Una volta un tizio era alla fermata del bus ed è stato colpito con violenza dalla gamba di un altro investito. Cose che credi di aver dimenticato fino a quando non ti ritornano al gozzo mentre attraversi in quella roulette russa di traffico e alberi. Il trucco è passare la prima metà, fermarsi al centro e aspettare il momento buono per andare ancora dall’altra parte. Il momento pericoloso è quando stai lì fermo al centro e calcoli i tempi dei veicoli che arrivano. Soprattutto al buio. Me lo ripeto mentre attraverso e quasi sento lo spostamento d’aria di una gamba tranciata e roteante che mi passa alle spalle. Benedetta suggestione.</span><p><span style="background-color: white; color: #16191f; font-family: "Times New Roman"; font-size: 14px; text-align: justify;"><br /></span></p><blockquote style="border: none; margin: 0px 0px 0px 40px; padding: 0px; text-align: left;"><br /></blockquote><p class="p1" style="background-color: white; color: #16191f; font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="background-color: white; color: #16191f; font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><br /></span><span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: large;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-2AuxC-BtbVQ/X2okoyTXdBI/AAAAAAAABbw/j4NHCaauoy4bdu7ivkgr4VdOluYRcdiIACLcBGAsYHQ/s650/redim.jpeg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="365" data-original-width="650" height="360" src="https://1.bp.blogspot.com/-2AuxC-BtbVQ/X2okoyTXdBI/AAAAAAAABbw/j4NHCaauoy4bdu7ivkgr4VdOluYRcdiIACLcBGAsYHQ/w640-h360/redim.jpeg" width="640" /></a></span></div><span style="font-size: large;"><div><span style="font-size: large;"><br /></span></div><div><span style="font-size: large;"><br /></span></div><div><span style="font-size: large;"><br /></span></div><br /></span><p></p><p class="p1" style="background-color: white; color: #16191f; font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></p><p class="p1" style="background-color: white; color: #16191f; font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></p><p class="p1" style="background-color: white; color: #16191f; font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></p><p class="p1" style="background-color: white; color: #16191f; font-family: "Times New Roman"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></p></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-23112949530112278472020-05-13T12:30:00.002+02:002020-05-13T12:30:36.341+02:00treni<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span>
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span>
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;">In treno. Partiamo da Torino a Udine. Siamo stanchissimi e fa freddo. Di fronte si siede un vecchio signore distintissimo. Siciliano. Dice di essere un dirigente di una squadra di calcio importante. Parla con voce roca e mi spiega che sta andando a Padova per una visita. Mi racconta la sua vita ma intanto chiede parecchio di me. Passiamo Padova e resta sul treno. Prosegue fino a Udine. Io a dirgli ma come e lui vabbè, sto ancora un po' con voi, sete bravi ragazzi. Lo accompagniamo in un albergo di fronte alla stazione. Notte e freddo. Abbiamo la moto parcheggiata e dobbiamo proseguire per Povoletto dove vivevamo allora. A questo punto il tipo è evidente che è uno strano. Ci invita a cena ma diciamo che abbiamo fretta di tornare a casa. La mattina mi chiama dall'albergo. Gli ho dato il mio numero che non dico di solito nemmeno se mi torturano i nazisti, ma ero curioso di sapere dove andavamo a finire. Dice che ha bisogno di vedermi. Telefono a Franchino e gli dico che vado a ficcarmi in un cazzo di guaio. Lui è un amico vero e ne abbiamo viste tante insieme e ora è andato avanti e mi manca. Si fa trovare davanti all'albergo con la moto. Non chiede nulla e non entra. Resta fuori sulla sua xt 500 e rido pensando che se dobbiamo scappare quella moto di sicuro non partirà al primo colpo di pedalina. Io sono arrivato con la mia Guzzi. Siamo messi bene. Il vecchio è in camera. In pigiama. Si è fatto portare la colazione in camera. Vuole vendermi pietre preziose. Gli dico che ha sbagliato tutto. Gli prendo l'agendina e tolgo la pagina con il mio numero. Ci guardiamo senza parlare. Sorrido e me ne vado e non ne saprò più niente. Per sempre. Train de vie</span><br />
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span>
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span>
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-34814982629462881962020-04-17T13:25:00.000+02:002020-04-17T13:25:05.155+02:00didattica di stanza<br />
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<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif;">Del virus non mi sono mai azzardato a parlare in termini scientifici, non ho mai comparato dati e fatto ipotesi. Piuttosto per il mio mestiere la produzione di quei dati mi è sembrata surreale, priva di parametri plausibili che qua la differenza la fanno solo i vivi e i morti a ben vedere ma pure ho evitato di entrare nel merito. Ora però il ministero di tutte le scuole dice che grazie alla didattica a distanza si sono colmati i vuoti creati dalla logistica paralizzata dalla cattività domestica e siamo riusciti a rimetterci in bolla e siamo nel mio territorio e qualcosa vorrei dirla. Non sono un docente, faccio formazione ai docenti, lavoro da trent'anni sulla didattica e il digitale è una frontiera che ho iniziato a esplorare professionalmente all'inizio di questo millennio. Le opportunità della rete, i problemi metodologici, gli strumenti e la nuova gestione dei contenuti sono problematiche ciclopiche su cui ci si misura. In questi mesi la didattica a distanza è stato un'organizzarsi per bande come nella guerra di liberazione. Spunti partiti dal cuore e dalla necessità e ricollocati in ambiti dove c'erano competenze diverse, a volte fantastiche a volte imbarazzanti. Tutto riferibile a iniziative diverse, fossimo in editoria e quest'esperienza fosse un volume, dovremmo fare un lavoro di uniformità pazzesco. Avrebbe dovuto farlo il ministero. Le famiglie si sono misurate con questo alieno che è la didattica a distanza e che ha riempito per ore lo schermo dell'unico device di casa, quando c'era. Piattaforme diverse, utilizzo delle tecnologie a volte surreale ma un maledetto sforzo sostenuto da moltissimi e operazioni di raccordo formidabili da parte di enti e fondazioni e strutture didattiche di frontiera. E i ragazzi investiti da questo vento forte di tempesta digitale con il pericolo di confondere docenti e genitori in un'unica creatura mutante che chiedeva tabelline e vietava di stare in pigiama davanti a Zoom. Il ministero non ha fornito linee e nessuna sicurezza nemmeno sullo svolgimento eventuale delle attività. Ma ora dice che siamo in pari grazie alla didattica a distanza. Sembra di rivedere il film del Boom economico, con l'Italia che saliva a due a due i gradini della produzione e della ricollocazione sui mercati internazionali e la politica che non sapeva tenere il passo ma si metteva le coccarde al bavero guidando verso il burrone. Sembra ma mi auguro non sia. Non vorrei che quelli che sono partiti spontaneamente per combattere questa guerra vengano poi dimenticati dal trionfo e gli si lasci solo lo spazio di un giorno per ricordare e in quel giorno sia vietato cantare i canti di quella lotta per rispetto a chi restò zitto. Già, il benedetto rispetto del velenosissimo nulla.</span><br />
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif;"><br /></span>
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif;"><br /></span>
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif;"><br /></span>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-27947216022441211952020-04-14T19:37:00.000+02:002020-04-14T19:37:03.868+02:00Noli me Tangeri<br />
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<div class="p1" style="font-family: Helvetica; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; text-align: justify;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><b><br /></b></span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-RRhxqCOOkCA/XpX0k8tW7VI/AAAAAAAABYQ/0LTEitXQ6RQsI_UgDlSKttDRYIuhnbxpQCLcBGAsYHQ/s1600/unnamed.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="384" data-original-width="512" height="300" src="https://1.bp.blogspot.com/-RRhxqCOOkCA/XpX0k8tW7VI/AAAAAAAABYQ/0LTEitXQ6RQsI_UgDlSKttDRYIuhnbxpQCLcBGAsYHQ/s400/unnamed.jpg" width="400" /></a></div>
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<br /></div>
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<div class="p1" style="font-family: Helvetica; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; text-align: justify;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><b>P</b>er strada se la presa comoda. Passeggiava senza grossi impacci. S'era ricordato di un suo amico che lo ospitava a Napoli e gli spiegava come camminare evitando d’essere importunato dai venditori di tutto. Bastava guardare avanti, senza consentire allo sguardo di posarsi sulle facce e sulle merci varie. E nessuno ti fermava, perché leggevano in faccia l'assenza di tracce di stupore. I segni di un avvezzo quotidiano tutelavano e ti confondevano tra gli indigeni. Nei vicoli di Tangeri, pareva che la cosa funzionasse davvero. Sempre escludendo i ragazzini che, a gruppi, lo circondavano. Per l'esotico che raccontava la sua faccia e per quel modo di portare in giro le ossa.<span class="Apple-converted-space"> </span></span></span></div>
<div class="p1" style="font-family: Helvetica; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; text-align: justify;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Poi li vide. Forse i vestiti, oppure ancora il modo di camminare. Anche senza distinguerne a distanza le parole, capì subito che erano turisti italiani. E si fermò a guardarli mentre arrivavano. Erano sei, vestiti perfetti con certa roba firmata e i colori studiati e l’aria da scopritori dell’arca perduta. Pantaloni finto militari e sahariane e occhiali da sole fantastici, scarponcini da attraversamento del cataclisma e certe bisacce in fibra di canapa, col marchietto della maria, che già era una bella dichiarazione di trasgressione. Culi rubati alla poltrona di una banca. In vacanza per poterlo raccontare per tutte le sere d’inverno caricando il diaproiettore con le loro emozioni di celluloide in trasparenza. Facevano casino, ridevano guardando la gente e fotografavano. I maschi avevano certi tatuaggetti tribali, sui bicipiti curati nell’inverno alla macchina della palestra. Le femmine avevano i braccialetti alla caviglia e la pelle carica di creme depositate per strati geologici e le collanine comprate nella spiaggia del villaggio turistico. Già, perché si capiva a distanza che erano in libera uscita da uno di quei lager ridenti del tutto compreso. Posti organizzati dove ti acchiappano all’aeroporto e ti scaricano su un piazzale col sole che picchia e ti assegnano la tua baracca fintafavela, che fa tanto caratteristico, e ti portano a fare i giochi in spiaggia e poi a pranzo c’è lo spezzatino con polenta tipico di quelle lande esotiche, perché al posto delle carote ci hanno messo dei tocchi di mango e poi la sera ci sono i balli che dovrebbero stimolarti all’accoppiamento notturno nella casupola ma tanto nella notte li senti tutti che ansimano con quelle pareti sottili e capisci che c’è una gara di rantolo erotico e, se hai conservato un briciolo di dignità dopo il buffet libero, ti giri dall’altra parte e ti metti a dormire. Odiando il mattino che ti porterà animatori e beveroni ghiacciati con la frutta e l’ombrellino.<span class="Apple-converted-space"> </span></span></span></div>
<div class="p1" style="font-family: Helvetica; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; text-align: justify;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">“Chiediamo a questo qui” sentì dire “Sarà un americano”. Ancora quella maledizione dello spettro dell’americano che gli alitava sul collo. Gli sorrisero. “Hi man”. “Ciao”, rispose lui. “Capire italiano”. “Solo se parlato correttamente”. “Sei un grande. Troppo figo, capisce l’italiano.” “Già.” disse lui che già si era rotto i coglioni. “Sei pratico di questo posto?” chiese quello che aveva l’aria del capogruppo. “Abbastanza.” “Siamo qui a zonzo e stiamo cercando un po’ di roba buona.” Gli altri ridacchiavano. “Che roba?” “Fumo.” “Ah, fumo.” “Si, siamo qui da tre giorni ma solo oggi siamo usciti dal villaggio e abbiamo deciso di metterci in caccia.” Come non detto, pensò Juri, abitanti di un villaggio turistico. Il villaggio duebale vaticinato da certi cervelli tritasperanze. “Forse posso darvi una mano.” Gli stava venendo un’idea. “Sei un grande.” Era già la seconda volta che il tipo gli diceva quella cazzata e nemmeno gli aveva chiesto altezza e peso e età. Parlava senza serie basi scientifiche a supporto delle sue tesi. “Quanto ve ne serve.” “In realtà pensavamo di farne una bella scorta perché al villaggio c’è un mucchio di amici che sarebbero contenti se tornassimo con un buon bottino.” “Prestami i tuoi occhiali da sole.” “Perché.” “Lo vuoi il fumo?” “Si.” Gli tolse gli occhiali fighi e se li infilò. “Quanto siete disposti a spendere.” “Questi bastano?” Il tipo gli aveva passato una manciata di banconote. Dollari. “Con un altro piccolo sforzo ve ne passo un panetto sano.” In realtà Juri non sapeva nemmeno quanto potesse pesare il panetto intonso ma sperò che gli altri non glielo chiedessero. Spaventati dalla solita paura di non sembrare gente di mondo. Infatti si frugarono nelle borse e gli allungarono qualche altra banconota. “Aspettatemi qui. La cosa è abbastanza semplice ma quella non è gente che si fida delle facce nuove.” “Vengo con te.” “Va bene, tieniti i tuoi soldi e lasciamo perdere. Se mi presento con te mi resta il tempo di sorridere appena e sono già morto. E uno che ride mentre stanno per fargli la festa, rischia di passare per coglione.” Gli altri parevano titubare. Poi il capobranco si fece risoluto. “Va bene, ti aspettiamo seduti a quei tavolini.” “Perfetto, quando arriverò mi siederò tra voi e faremo come se fossimo vecchi amici. Appoggerò la roba sul tavolo e tu” indicò una biondina con l’aria da segretaria tutta fotocopie e pompini “t’infilerai il panetto nella borsa.” “Intesi” rispose ora il leader, che pareva essere entrato nella parte della missione speciale e stava pure per sincronizzare gli orologi.<span class="Apple-converted-space"> </span></span></span></div>
<div class="p1" style="font-family: Helvetica; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; text-align: justify;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Juri s’infilò gli occhiali, “Non preoccuparti per questi, poi te li restituisco. Mi servono per il giochetto.” L’altro sorrise come se avesse capito. E non c’era niente da capire.<span class="Apple-converted-space"> </span></span></span></div>
<div class="p1" style="font-family: Helvetica; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; text-align: justify;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Un ultimo sorriso e Juri sparì tra i vicoli. In tasca aveva quello che avrebbe guadagnato in parecchi giorni di merci scaricate e caricate al porto. Sul naso un paio di lenti da sole griffatissime.</span></span></div>
<div class="p1" style="font-family: Helvetica; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; text-align: justify;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Nei giorni successivi Juri ci si mise di buzzo buono e fregò altri sei gruppi di connazionali. Sempre nello stesso modo. Con gli occhiali da sole sempre tra loro e lui. Lasciandosi invariabilmente inghiottire nel ventre dei vicoli, che ormai cominciava a considerare casa. Un drappello di turisti finto explorer li portò pure al negozio del vecchio a fare acquisti e poi li mollò senza truffa. Per non infierire.<span class="Apple-converted-space"> </span></span></span></div>
<div class="p1" style="font-family: Helvetica; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; text-align: justify;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Ora sotto la sella aveva un bel gruzzolo e cominciò a agganciare i turisti per portarli a zonzo davvero e il vecchio gli passava la percentuale e il gioco del fumo lo faceva solo ai più stupidi e a quelli che s’intestardivano e insistevano e allora te la cerchi e sia fatta la sua volontà.</span></span></div>
<div class="p1" style="font-family: Helvetica; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; text-align: justify;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></div>
<div class="p1" style="font-family: Helvetica; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; text-align: justify;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></div>
<div class="p1" style="font-family: Helvetica; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; text-align: justify;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></div>
<div class="p1" style="font-family: Helvetica; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; text-align: justify;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></div>
<div class="p1" style="font-family: Helvetica; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; text-align: justify;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></div>
<div class="p1" style="font-family: Helvetica; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; text-align: justify;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-38613569528370575822020-04-11T10:45:00.003+02:002020-04-11T11:41:38.306+02:00ho fatto un sogno<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-kQAEiUjizeQ/XpGDlmt9MOI/AAAAAAAABX0/WGwnQ6HBXUsYZDy_K92G3Rn-oRx86ZIuwCLcBGAsYHQ/s1600/Foto%2Bdel%2B15-10-19%2Balle%2B19.24.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1080" height="266" src="https://1.bp.blogspot.com/-kQAEiUjizeQ/XpGDlmt9MOI/AAAAAAAABX0/WGwnQ6HBXUsYZDy_K92G3Rn-oRx86ZIuwCLcBGAsYHQ/s400/Foto%2Bdel%2B15-10-19%2Balle%2B19.24.jpg" width="400" /></a></div>
<div class="p1" style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></div>
<div class="p1" style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></div>
<div class="p1" style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></div>
<div class="p1" style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Ho fatto un sogno e era uno di quei film che ti tolgono il respiro e ci finisci dentro e corri come fossi inseguito dai segugi di Tindalos e ti svegli sudato e nel corridoio senti i segugi di Tindalos che ti hanno trovato. Ho fatto un sogno e ero in una stanza di casa mia e ci invecchiavo e non rivedevo mai più i milioni di posti che ho chiamato casa in questi anni. Ho fatto un sogno e le strade erano svuotate come in un film postapocalittico fatto da un maestro del neorealismo. Ho fatto un sogno e c’era uno scheletro al bancone del bar che aspettava il resto nell’ombra di una bolletta non pagata e Hopper rideva e tu non sai chi è Hopper perché non sai mai un cazzo. Ho fatto un sogno e Bob Dylan era l’Omero di questo presente e Leonard Cohen il maestro di cerimonia e Nick Cave il ministro della cognizione del dolore. Ho fatto un sogno e gli amici miei artisti dopo il primo smarrimento erano quelli che avevano saputo ancora una volta trovare il modo, segno che in caso di disastro nucleare sopravviveranno le blatte e gli artisti e forse anche di me la morte non saprà che farsene. Ho fatto un sogno e la gente moriva da sola, senza saper posare sul comodino le ultime parole, morsa dal dubbio di non lasciare memoria, ignorando il dolore dei cari che non si vorrebbe sopportare ma che ci spetta e ci aspetta. Ho fatto un sogno e nelle case rimanevano cani e gatti a leggere l’odore di un mondo diverso che arrivava dalla finestra e quel vecchio se lo sono portato via e non torna il suo passo nelle stanze e la coperta sul divano dove lui e i suoi animali facevano i ricordi crociati. Ho fatto un sogno e c’era la più grande potenza del mondo, la culla della democrazia, che prendeva gli ultimi, la schiuma della terra, e li metteva in file ordinate ad occupare uno spazio pertinenziale di enormi parcheggi. Un rettangolo sotto il sole nel quale circoscrivere le tue coperte, i tuoi cartoni e il tuo odore. Piazzati come auto vecchie nei parcheggi vuoti dei centri commerciali. Una sintesi mostruosa di angoscia novecentesca sospesa tra fordismo e sterminio di massa, perché l’orrore parte sempre dalla disposizione ordinata dei letti a mille e mille. Ho fatto un sogno e in quello stesso paese c’erano le fosse comuni perché la morte di massa ha un senso come il consumo di massa. Ho fatto un sogno e ogni giorno si riscrivevano le pagine del Milione con il racconto dei pipistrelli mangiati golosamente da quelle genti così lontane e così pericolose. Ho fatto un sogno che da quel paese arrivavano notizie confuse e all’inizio sembrava fosse un racconto tra i tanti che riempiono la rete e dice che se esci di casa ti sparano in testa e dice che muoiono a migliaia e dice che è una cosa fatta in laboratorio e dice che hanno già il vaccino ma lo tireranno fuori per farci i soldi a pacchi quando al mondo gli si stringerà il culo dalla paura e dice che non muoiono mai i cinesi e non sai mai quanti sono e insomma io non mi sono mai fidato. Ho fatto un sogno e agli albori dell’ecatombe c’erano quelli illuminati e progressisti che consumavano tutto l’ardore dei loro pensieri precotti, buoni da spendere all’aperitivo, organizzando cene sfrontate nel ristorante cinese sotto casa. Si facevano i selfie e morta lì. Ho fatto un sogno e gli ottusi che sono il cemento dell’oggi, bardati delle loro armature di luoghi comuni e conoscenze comprate al discount della miseria umana, continuavano a dare la colpa a quelli che arrivavano con i gommoni e a spartirsi in gruppi ideologici imbarazzanti dove il senso delle loro idee era tutto nelle loro paure oscure. Ho fatto un sogno e quelli che parlavano di razza pura erano gravati dalle peggiori tare e quasi mai avevano figli. Ho fatto un sogno dove la gente da un pezzo aveva preso a confondere le opinioni con le conoscenze e ti sapevano spiegare tutto ma poi scoprivi che a quel tutto corrispondeva il solito nulla rassicurante del naufragio perenne che chiamiamo i nostri giorni. Ho fatto un sogno e la politica era sincronizzata con il mondo con la stessa nozione del tempo che ha un protozoo, immobile nella sua evoluzione da milioni di anni. Facevano decreti e litigavano ancora e prendevano tempo ma dicevano di prendere decisioni, nemmeno buoni a inventare un cazzo di modulo inutile per dichiarare che stai camminando verso il lattaio. Ho fatto un sogno e tutti stavano aggrappati alla rete e la gente faceva le videochiamate perché nelle settimane il dubbio si era insinuato e cominciavi a non credere al tuo mondo di prima come non t’ha mai convinto nemmeno dio. Ho fatto un sogno e c’era il pontefice massimo che benediceva la piazza vuota e una via crucis a galleggiare nel vuoto di tutto, forse la cosa più vera su cui abbiamo potuto contare in questo tempo rubato al tempo. Ho fatto un sogno e le pubblicità si erano tutte riposizionate sull’oggi e tutto quello che avresti potuto desiderare e consumare era buono per uscire vincitori da questo impaccio della morte di massa, che di questo si tratta diciamocelo. Ho fatto un sogno ed era un amico mio che prendeva un pugno di monete, le ultime, e andava a compraqrsi i vini migliori e un uovo di pasqua per guardare in faccia ai sogni. Anche al mio sogno. Ho fatto un sogno e erano le risate che mi faccio la notte rimanendo sul balcone a parlare con Ste mentre le finestre di fronte restano accese fino a tardi e i vicini hanno fortunatamente smesso di mettere le canzoni a tutto volume. Ho fatto un sogno e un runner inseguiva un proprietario di cane che inseguiva un anziano ribelle che inseguiva un bimbo con il monopattino che inseguiva un pusher che inseguiva un taxista che al mercato mio padre comprò. Ho fatto un sogno che i medici morivano e gli infermieri morivano e gli ambulanzieri morivano e certi si arricchivano vendendo milioni di mascherine ciucche che non sarebbero arrivate mai. Ho fatto un sogno che tutto il potere ai vigili e quello era l’incubo peggiore. Ho fatto un sogno che ho sognato dii nuovo che si muore soli e questo è il distillato di questi giorni che sono nostri come una scomoda eredità di un parente pazzo. Ho fatto un sogno e in quel sogno una’ombra era destinata a morire sola ogni giorno allo stesso modo, come muore Hattie Carroll, lasciando dieci figli a casa e un lavoro schifoso da cameriera in un posto lurido. Ho fatto un sogno e mio figlio sorrideva e era passata la tempesta e lui partiva in moto per il mondo e la moto non era la mia, quella la guidavo io.</span></span></div>
<div class="p1" style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></div>
<div class="p1" style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></div>
<div class="p1" style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></div>
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<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></div>
<div class="p1" style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal;">
<span class="s1" style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></div>
Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-21906535605529304492020-03-22T02:19:00.003+01:002020-03-22T03:22:57.291+01:00Di passaggio<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
<span class="s1"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
<span class="s1"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
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<span class="s1"><span style="font-size: large;">Nel 1987 tutta la mia famiglia se n’è andata da Udine, Mio padre è stato trasferito prima a Perugia e poi a Roma, a finire la carriera militare spiaggiato, come si usa in quel mestiere lì delle armi, in qualche corridoio del ministero. I giorni del trasloco sono stati un frenetico imballare e impilare e impacchettare e pennarelloni per scrivere sulle scatole. Tutto quel tira e molla del trasloco. Io e mio fratello, nel fiore di quella demenza che non ci avrebbe mai abbandonato, ci immaginavamo le facce dei traslocatori quando avrebbero letto “testa impagliata della nonna” o “peli, unghie, tazze della colazione”. In quei giorni lì abbiamo buttato tutti i giocattoli di quando eravamo piccoli varcando la soglia verso l’età adulta come in un rito di passaggio di qualche tribù africana. Buttammo i soldatini Atlantic, che erano una sorta di Lilliput della vita lavorativa di nostro padre e da bambino pensavo mi fossero assegnati d’ufficio dal Ministero dei Beni ludici e che i figli dei fruttivendoli giocassero con dei fruttivendolini e i figli dei medici con dei medicini. Furono eliminati anche i Big Jim, quegli ometti di silicone che dovevano essere la variante maschia della Barbie e<span class="Apple-converted-space"> </span>avevano un tasto sulla schiena che gli provocava un su e giù del braccio che avrebbe dovuto essere un colpo di karate, ma che più probabilmente era stato la nostra palestra didattica verso l’atavico gesto onanistico. Un natale me lo avevano regalato anche a me lo sportivissimo Big Jim, nella versione base, ovvero, un triste tarchiatello anabolizzato in mutande, senza accessori e vestiti e mezzi di trasporto. Nelle pubblicità su Topolino questo personaggio era un’arma potentissima di americanizzazione delle giovani menti europee. Vestiva con camicie a scacchi e ampi cappelli da cowboy e aveva sempre un fucile o un pistolone in mano e elicotteri, barche, camper, rifugi atomici e catene di fast food. Lontanissimo dalla nostra realtà. Era difficile pensarlo alle prese con un Garelli tre marce e una rosetta con il salame ungherese. Come quando ti serve una foto per illustrare una famiglia italiana a pranzo e l’agenzia ti manda dei sanissimi californiani che pasteggiano mangiando tacchino ai mirtilli bevendo latte. Tu lo sai che quella foto non è plaiusibile ma è come se riconoscessi in quei gesti che non ti appartengono il segreto della loro potenza mondiale. Siamo culturalmente sudditi del mondo di Big Jim. E i vestiti del muscoloso bambolotto erano carissimi e il mio si dovette adattare a certi pantaloni di velluto a coste, cuciti da mia nonna utilizzando indumenti frusti miei. Praticamente il mio Big Jim era inabile a qualsiasi movimento, ingessato in pesantissimo pantaloni stretti alla vita da un pezzo di elastico di mutanda che su di lui facevano un tragico effetto cinto d’ernia. Quando andavo in cortile a giocare con gli altri il mio Big Jim, con i pantaloni di velluto a coste grossissime e l’elasticone alla vita e una canotta ricavata dal tulle di una bomboniera azzurra sembrava uscito da una rivista per soli uomini che gli piacciono gli altri uomini. Una sorta di grottesca replica di un set di<span class="Apple-converted-space"> </span>Robert Mapperthorpe in scala. Senza contare che mia nonna aveva scarsa dimestichezza con la lavorazione dei pellami, per cui il mio amico di silicone e velluto a coste girava a piedi nudi. Il fucile lo aveva ricavato mio padre da uno stecchino del ghiacciolo di legno. Lo aveva sagomato ed era venuto anche bene, che mio padre passava l’estate a intagliare pugnali e kriss malesi per me e i miei amici e il suo era anche un talento. Sta di fatto che quando arrivavo dai miei amici con il mio Big Jim conciato in quel modo finiva sempre che dovevo fare a botte per difendere l’onore mio e del mio bambolocchio estroso. Fino a quando tornò mio zio da un viaggio a New York e mi portò in regalo la versione americana di quel gioco lì, che avevo abboffato la uallera a tutta la mia famiglia con la storia che ero un appassionato di quei personaggi avventurosi. Il postino un giorno mi recapitò una grossa scatola e lo zio poi confessò di averla rubata rischiando la sedia elettrica perché in America se ti beccano a rubare in un negozio di giocattoli è un attimo e ti friggono. Dentro c’era un capo indiano che quanto a altezza e muscoli gli dava la pastina a Big Jim che, sia detto per inciso, era il solito complessato bassotto che si bombava di sostanze per darsi un tono, ma era pure più tappo di quello sfigato di Ken, il fidanzato ufficiale di Barbie. Insomma il mio capo indiano era un colosso come quello che volava sul nido del cuculo e parimenti forte. Aveva un set pieno di accessori, ricostruzione fedelissima di tutto l’armamentario di un vero capo Cherokee. Sembrava che più che un giocattolo quel set fosse una sala dello Smithsonian Museum a cui avevano collaborato antropologi, storici e John Wayne in persona. Sta di fatto che ogni volta che scendevo in cortile con il mio gigante con le trecce sentivo il peso di essere diverso. Tutti prendevano in giro il mio pupazzo piumato e nulla valeva spiegare cos'era un wampum o come si accendeva un kalumet. Alla fine andò in fondo a un baule e perse le mani in qualche zuffa con i soldatini in quel mondo di plastica dei miei giochi che sarebbe piaciuto a Lemuel Gulliver. Poi venne il trasloco e il Big Jim nel suo sudario di velluto a coste e il capo indiano con le mani mozze, come un Guevara della rivoluzione dei giocattoli, e i soldatini e le biglie finirono nei bidoni della spazzatura. A dire il vero non me ne resi conto, credo che mio padre si occupò di sopprimere l’ombra dei miei passi di bambino senza dirmi niente. E così tutta la famiglia è partita e io sono rimasto solo a Udine e ho trovato un cane nero, il primo di quella razza nera e spettinata che ha fatto la guardia all’ombra dei passi da uomo.</span></span></div>
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<span class="s1"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></div>
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<div class="separator" style="-webkit-text-stroke-width: 0px; clear: both; color: black; font-family: Times; font-size: medium; font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-variant-ligatures: normal; font-weight: 400; letter-spacing: normal; margin: 0px; orphans: 2; text-align: center; text-decoration-color: initial; text-decoration-style: initial; text-indent: 0px; text-transform: none; white-space: normal; widows: 2; word-spacing: 0px;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-B8wAZgLT6O4/Xna798DxlSI/AAAAAAAABXU/tbf8P4S2qXU-1_0AgtSiw6pn6KiYXpEswCLcBGAsYHQ/s1600/b0f9ca63ad9b8f3882cf7bef1910e865.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1483" data-original-width="1600" height="592" src="https://1.bp.blogspot.com/-B8wAZgLT6O4/Xna798DxlSI/AAAAAAAABXU/tbf8P4S2qXU-1_0AgtSiw6pn6KiYXpEswCLcBGAsYHQ/s640/b0f9ca63ad9b8f3882cf7bef1910e865.jpg" width="640" /></a></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-8001574491074839622019-06-08T13:21:00.002+02:002019-06-08T13:21:35.309+02:00ESSERE OBIETTIVI<br />
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<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-Cof_xK9bBgE/XPuZ1mbODmI/AAAAAAAABTw/J1kMWXxYkCk3i2vPdMlLCYToHmELmqr5ACLcBGAs/s1600/62009842_10216333883173395_3490096390439174144_o.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="1440" height="480" src="https://1.bp.blogspot.com/-Cof_xK9bBgE/XPuZ1mbODmI/AAAAAAAABTw/J1kMWXxYkCk3i2vPdMlLCYToHmELmqr5ACLcBGAs/s640/62009842_10216333883173395_3490096390439174144_o.jpg" width="640" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Giorgio Olmoti, Frascati, Giugno 2019<br /><br /><br /><br /><div class="_1dwg _1w_m _q7o" style="font-family: inherit; padding: 12px 12px 0px;">
<div style="font-family: inherit;">
<div class="_5pbx userContent _3ds9 _3576" data-ft="{"tn":"K"}" data-testid="post_message" id="js_9" style="border-bottom: none; font-family: inherit; font-size: 14px; line-height: 1.38; margin-top: 6px; padding-bottom: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Per alcuni anni della mia vita ho catalogato beni culturali. Giravo per la penisola e scattavo centinaia di foto e compilavo schede. Prevalentemente il mio lavoro era la documentazione fotografica da affiancare alle schede di altri ma la straccia laurea che mi porto addosso e i corsi successivi mi abilitavano anche alla gestione della scheda ministeriale e non mi sono fatto mancare niente. Da solo o con i miei soci di allora, mi alzavo la mattina, caricavo la macchina con i valigioni pieni di obiettivi e pellicole e corpi macchina e cavalletti e lampade e stativi e filtri e pannelli riflettenti e cavi e prolunghe e ponteggi e tra battelli e panini e bibite. Piovesse o ci fosse il sole si partiva. Le norme ministeriali parlavano chiaro. Ogni scheda di un oggetto degno di menzione in seno al catalogo dei beni storico artistici, e già qui c’erano ampi margini di manovra e fantasia da impegnare, pretendeva le coordinate croniche e topiche, la descrizione e una stampa in bianco e nero grande, i provini a contatto e il negativo. Con le campagne di catalogazione ci ha campato per anni un’intera generazione di laureati in storia dell’arte, architettura e affini. A proposito del fatto che non mi sono fatto mancare niente io seguivo come fotografo anche le campagne di catalogazione di antropologi e assimilati, compilatori entusiasti delle formidabili schede FK e qualcosa concepite per la catalogazione dei beni demo-etnoantropologici. Quella parte del lavoro era davvero incredibile. Giravo le campagne a fotografare utensili da lavoro, pentole, qualche raro strumento musicale e ancora mi ricordo i tipici campanacci documentati in Carnia con la scritta all’interno “made in France” o la lunga teoria di zappe del Mugello che ha occupato più di una delle mie giornate. Ho lavorato prevalentemente nel Triveneto e in Toscana, ma m’è capitato di muovermi anche in altre zone, sempre carico all’inverosimile di tutta quella ferraglia che ogni giorno mi camallavo tra chiese, musei, case perdute e vicoli e scavi e catacombe per fare ancora la magia del fotografo. Già, quando arrivavamo nei paesini, nelle pievi di campagna, nei conventi sperduti d’appennino, era come mi immagino dovesse essere l’arrivo dei musici e dei saltimbanchi in epoca medievale. La gente veniva a vedere attratta dai mila watt delle nostre Janiro aggrappate ai barracuda Manfrotto. Una suggestione in bilico sull’idea che tutti si portavano addosso del racconto del cinema e della televisione visto dalla parte del narratore. Ti facevano le domande, ti si sedevano vicini in trattoria e ti trattavano come uno importante e ti offrivano un bicchiere, due bicchieri e tu bevevi e pensavi che dopo saresti rimasto quattro ore in bilico sui ponteggi a decine di metri da terra e speravi nella buona sorte. Poi c’erano i giorni in città e la gente e il traffico e scaricare e spiegare al vigile. Scoprivi presto che tutto s’aggiustava se dicevi “lavoriamo per il ministero”, e bada che noi si lavorava per ditte o enti che appaltavano da altre ditte più grosse che a loro volte redistribuivano lotti di lavoro ciclopici assegnati da ‘sto lontanissimo ministero, sorta di galassia centrale che a noi pianeti ai lembi dello spazio conosciuto era dato solo intuire. Ora in qualche corridoio delle segrete ministeriali giacciono migliaia di scatti miei, che si portano addosso il freddo di tutti quegli inverni che ho passato chiuso nelle chiese e nelle cripte e nelle tombe a fotografare e misurare. Il freddo, quello non smetto di ricordarlo, che a volte ci abbracciavamo alle lampade roventi per riprendere l’uso delle dita. E dicevamo delle città. Lì le cose cambiavano, non era più il paese con l’oste che era anche guardiano della pieve e ti apriva certi catenacci rugginosi e un po’ ti guardava sospettoso un po’ gli scappava, e quante volte è successo, di chiederti se la domenica che si sposava la figlia si poteva scattare due foto così in amicizia. A Firenze fotografavo in Santa Croce coi turisti che arrivati in prossimità del mio cavalletto e dei miei stativi smettevano di parlare e camminavano in punta di piedi, a rischio di sovraesporre col rumore le mie delicate pellicole. Un mondo recente, roba che ha meno di vent’anni da misurare sul ricordo e che pure è stato spazzato via. Come un mucchio di cose di questi tempi. Un mucchio di cose che sento mie. Nel silenzio spazzate via. Pagine, pellicole, vinili, e voci che spariscono dalle cornette dei telefoni e facce che di colpo smettono di dividere i giorni con te e se ne vanno senza parole e senza saluti e se ce ne fosse la possibilità di dirsi qualcosa resterebbe l’imbarazzo di chi rimane. Quasi una colpa mentre il tuo mondo muore e tu resisti perché hai imparato a resistere e sei fottutamente coriaceo e di morire non se ne parla nemmeno da morti. E a sopravvivere ero già bravo allora e mi sono trovato a mangiare con gente che non ho mai più rivisto e ho sorriso a femmine di passaggio con la distanza incolmabile tra noi che l’esposimetro Gossen mi confermava. Del resto l’esposimetro fornisce molte più informazioni di quello che si crede ed è un potente generatore di stati d’animo, da uno stop all’altro.. Ho dormito in auto e case che non saprei descrivere perché ci arrivavo al buio e me ne andavo all’alba. Ho comprato formaggi da pastori che mai più saprò ritrovare. Una volta a Sansepolcro, mentre lavoravo su Piero della Francesca e affini, ho mollato le attrezzature all’albergo del Cavaliere che era il nostro personale angolo delle meraviglie e che aveva nell’enorme titolare, giocoliere di piatti e sapori, la figura di riferimento e sono partito. Con la moto mi sono ficcato nelle curve d’appennino per stare con Ste una notte e ho messo una ricotta comprata lì per lì nel bauletto. Ancora calda. Quando sono arrivato, complice la maledetta vibra del monocilindrico della mia Yamaha XT Tenerè sempre sia lodata, la ricotta aveva invaso il bauletto e era montata a neve aumentando di sei volte il suo volume originario. Ste ha sentito la moto planare nel giardino, allora vivevamo a Sinalunga, s’è affacciata ridendo della mia follia, che è un po’ un marchio di fabbrica che mi porto addosso da sempre, e io fiero di me ho spalancato il bauletto. La ricotta è esplosa in giro e ho guardato Ste con l’aria stupita di chi ha inventato la bomba atomica mischiando detersivo per i piatti e marmellata.</span></div>
<div style="display: inline; font-family: inherit;">
</div>
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<span style="font-family: inherit;">Tornando alla catalogazione dei beni culturali. Musei e chiese delle contrade senesi, pievi sul carso triestino, ossari veneziani con la puzza di umido a tagliarti la gola, le location del mio campare erano sempre variabili e imprevedibili e mi arrampicavo su ponteggi montati con i pezzi del meccano e una volta ho visto precipitare la mia Pentax seisette da una trentina di metri e polverizzarsi sulla nuda roccia. Sono stato perseguitato da preti resi pazzi dall’astinenza, che mi facevano discorsi deliranti, ho fatto amicizia con incredibili frati di montagna che avevano le api e raccoglievano i funghi. Dalle parti di Montalcino ho conosciuto un prete cacciatore che aveva distrutto un maggiolino, la Volkswagen mica l’insetto, per investire di proposito i cinghiali che nella notte aveva trovato sulla sua strada. Ci rimasi a cena e mi diede la grappa fatta da lui e mi mostrò le cantine e il congelatore con i lacerti di cinghiale tutti ordinati che nemmeno nella più efficiente delle morgue. In una piccolissima pieve senesem a non vi dico quale, ho ritrovato in una madia la testa mummificata di una monaca, con la pelle rossa come lo sciroppo di amarene e quattro denti che sporgevano, ficcata in un reliquiario con le vetrinette polverose. Un reperto da film dell’orrore, lontano dalle altre migliaia di reliquie: Mi sono immaginato che la monaca, forse in odore di miracoli e guarigioni, forse strega o chissà cosa, morta sul letto era oggetto dell’attenzione di un segaccio o di una mannaia che s’occupava del suo collo così da poterla tramandare fino a me nella migliore tradizione dei daiaki del Borneo di memoria salgariana.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Ho interagito con catalogatrici che già respiravano il lezzo del precariato a oltranza e s’aggiravano per le navate e le sagrestie come bestie ferite. La mia non era una situazione migliore ma io vivo sempre le cose per quello che di curioso sanno offrire. Mi sono misurato sul senso del bene, del male e del peccato per vincere la solitudine di quelle giornate di fottuto freddo chiuso nei luoghi sacri. Ne ho tratto debite conclusioni. Sospeso sulle impalcature ho visto una donna ben vestita rubare le elemosine e se sai che effetto fa una lampada da mille che si surriscalda e ti esplode in faccia già lo immagini che anche la mia condotta e le mie invocazioni non hanno potuto tenere in debito conto i luoghi in cui mi trovavo. Un giorno, sul Trasimeno, la macchina, ah già era una incredibile Renault Fuego nera duemila a gas, m’ha lasciato. Il meccanico che è venuto a ridarle vita ha visto le attrezzature e mi ha chiesto se facevo il cinema “No, faccio le foto” “Che fai, le foto porno?””No, fotografo i monumenti e le chiese””Per fortuna, se facevi le foto porno a forza di vedere la cicalina spalancata ti veniva magari a noia, ma se ti vengono a noia le statue che te ne frega”. Aveva potentemente riassunto il senso della mia vita.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Obiettivi decentrabili, scatti flessibili e rullini da caricare nei magazzini e fissaggio e tank e pentaprisma. Tutte parole lavate via da questa pioggia che mi mangia a bocconi voraci i giorni, il tempo e l’esperienza. E in bocca il gusto al mentolo dei rullini Ilford medio formato, che quando li avvolgevi dovevi fissarli con la linguetta adesiva come un francobollo e s’erano pensati quel gusto acidulo per far sorridere. Mi sono inventato altri mille mestieri, che quella stagione lì m’è morta mentre la tenevo stretta al petto come il più amato dei miei cani. Uno dei miei compagni di allora, mille se ne sono andati e qualcuno è riuscito a farmi pure schifo ma è nella regola, lo conservo come un fratello particolare e il suo nome se lo porta addosso mio figlio. Poi sono arrivate le macchine digitali e ho continuato a misurare la mia vita sul ritmo dei tempi e diaframmi ma erano più spesso le foto d’altri a occupare il mio tempo. Già, il tempo e la verità che pare occupino il senso compiuto delle fotografie e io non ci ho mai creduto. Nelle foto la verità non esiste. Ma avremo modo di parlarne. Intanto quella stagione è passata. In un altro maledetto sudario di silenzio. Tutto si trasforma ma non sempre ci riguarda davvero. Ma in fondo non è così importante. Almeno immagino non lo sia per gli altri. E questo vi può bastare.</span></div>
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<span aria-label="Scopri chi ha aggiunto una reazione" class="_1n9r _66lh" role="toolbar" style="align-items: center; background-color: white; display: flex; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; margin-bottom: -2px; margin-right: 2px; margin-top: -2px; text-align: start;"><span class="_1n9k" data-hover="tooltip" data-testid="UFI2TopReactions/tooltip_LIKE" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial; border-radius: 12px; display: inline-block; font-family: inherit; font-size: 11px; line-height: 16px; margin: 0px 0px 0px -2px; outline: none; padding: 2px; position: relative; z-index: 3;" tabindex="-1"><a ajaxify="/ufi/reaction/profile/dialog/?ft_ent_identifier=ZmVlZGJhY2s6MTAyMTYzNjMyODc3ODg0OTI%3D&reaction_type=1&av=1643943829" aria-label="25 Mi piace" class="_1n9l" href="https://www.facebook.com/ufi/reaction/profile/browser/?ft_ent_identifier=ZmVlZGJhY2s6MTAyMTYzNjMyODc3ODg0OTI%3D&av=1643943829" rel="dialog" role="button" style="color: #385898; 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<br /><br />Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-49952585280214401262019-05-01T11:08:00.003+02:002019-05-01T11:13:10.458+02:00LABOR<br />
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<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: , , , ".sfnstext-regular" , sans-serif; font-size: 14px;">Buon primo maggio a quelli che il lavoro è un diritto ma è un pezzo che mi va tutto storto. Buon primo maggio a quelli che sono a tempo indetermimìnato fino a quando il responsabile delle risorse umane ti convoca e ha il buon gusto di non indossare la divisa regolamentare del kapo e ti dice che tu non lo sapevi ma ti sei stufato di fare quel lavoro e vuoi cambiare e l'azienda è in attivo ma non dipende da noi è la sede centrale che ce lo chiede, come nel peggiore dei romanzi di Asimov e tu hai un affitto da pagare e cinquant'anni e una famiglia da mantenere e hai lavorato lì vent'anni e la notte da lì a sempre non dormirai più. Buon primo maggio alle partite iva che se son partite ci sarà un motivo e noi lì ad aspettare un ritorno che al confronto Godot era Lassie. Buon primo maggio a quelli degli uffici preposti. Buon primo maggio a quelli che di lavoro aiutano gli altri a trovare lavoro e svegliandosi la mattina e pagandosi il caffè al bar sono già in attivo con la coscienza. Buon primo maggio a quelli che dice che hanno tirato le pietre e hanno fatto le barricate e ora portano ancora la barba lunga ma lavorano per una multinazionale e fingono di non capire e acchiappano tutto quello che possono. Buon primo maggio a quelli che dice che ci rubano il lavoro e fanno i figli e ci cancellano la razza e poi vai a guardare e più son convinti di 'ste minchiate più è probabile che non abbiano figli e non lavorino da un pezzo sul serio. Buon primo maggio a quelli che insegnano a scuola mica perché era quello che volevano fare ma solo perché era quello che c'era e non sanno un cazzo, non vogliono sapere un cazzo, si trascinano dall'aula insegnanti alla tonnara didattica e stanno lì a aspettare la morte e basta aggrappati al programma ministeriale, insensibili alle lusinghe della conoscenza, inabili al racconto e anche solo alla parola, lontanissimi dalla pratica minima tecnologica, contatori di mesi alla pensione e di scatti e ferie e supplenze ma vincitori di concorso., sulla pelle dei ragazzi. Buon primo maggio a quelli che Lolli gliele ha cantate e per non restare a fare i pastori ora fanno i cani da guardia. Buon primo maggio a quelli che sono politici in carriera e fingono di averci un'idea, una qualsiasi, non necessariamente sempre la stessa e si danno incarichi tra loro e si fingono imprenditori e mecenati e illuminati e campano di esercizi di potere costruiti secondo gerarchie complesse che passano dal caffè al bar alla carica ministeriale, generando a catena altri mostri in coda, come loro, figli loro e dei loro sodali, peggio di loro, che nemmeno nella peggiore delle apocalissi dei morti viventi. Buon primo maggio ai camerieri che la mancia gliela tolgono dalla retribuzione. Buon primo maggio ai fogli di dimissione firmati in bianco. Buon primo maggio a quelli che da un call center in Albania rompono i coglioni per otto ore alla gente che li manda a fare in culo al telefono e quello è il loro lavoro e sono certo che a fine giornata la fatica pesa pari alla vergogna ma c'è la spesa da pagare. Buon primo maggio a tutte quelle parole di merda per dare distanza al dolore e dire esodati, a progetto, stagista, cooperativa di servizi. Buon primo maggio a quelli che picchiano i vecchi nelle case di cura per lavoro. Buon primo maggio agli artisti che non fanno un cazzo e si lamentano sempre, qualcuno ogni tanto si ammazza ma è tutta scena. Buon primo maggio a quelli che il lavoro rende liberi e a quelli che il tempo oltre il lavoro lo dicono libero, non fateli mai incontrare. Buon primo maggio ai lavori socialmente utili che non servono a niente per definizione in un mondo socialmente inesistente. Buon primo maggio a me che sono il peggiore di tutti perché il derubato che sorride ruba qualcosa al ladro.</span><br />
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: , , , ".sfnstext-regular" , sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span>
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: , , , ".sfnstext-regular" , sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span>
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: , , , ".sfnstext-regular" , sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-18682212543117442342019-04-16T14:53:00.004+02:002019-04-16T14:53:53.985+02:00Ho un progetto<br />
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<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;">Scrivere un progetto non è lavorare, nel senso che è una sorta di preliminare, un rito iniziatico prima di essere ammesso alla fatica. Tutta la vita a proporre progetti, a farmi finanziare progetti, a progettare progetti progettabili. Chiuso in casa lavoro da tutta la mattina a un progetto. Spesso sono concordati questi progetti, ci si dice stendiamo un progetto, che è un po' come fare il bucato delle idee. A volte però il maledetto progetto è una cosa d'azzardo, che ti viene in mente la notte e pensi che è un'idea imperdibile e irrinunciabile. Non dormi più, perchè tra i progettanti c'è la credenza che se chiudi gli occhi e ti riaddormenti dimentichi tutto quel bel fortino concettuale che ti eri costruito nella notte e che ti convinceva, lo sa dio quanto ti convinceva. Quando fai progetti così, senza un concreto committente, ti senti un po' perduto nel mar del niente e devi averci una fiducia smisurata nelle tue possibilità e alcune bollette in scadenza. Sta di fatto che questo progetto di oggi è davvero bello, mi convince già dal titolo. Però non vengo meno ai miei obblighi di squadra e a metà mattina sono sceso al supermercato e ho comprato quello che serve per allestire un pranzetto a Dani che torna da scuola. Dovevo essere travolto da questa idea del progetto, una sorta di cantiere della Sagrada Familia sempre attivo, che prendeva quota e impalcature nella mia anima da geometra improbabile. Ho fattola spesa immaginando sei pietanze diverse da cucinare e prendendo a casaccio gli ingredienti di alcune. Arrivato a casa ho realizzato che avevo ingombrato il tavolo di cose spesso fresche e deperibili e che tra due giorni partiamo tutti e vai a capire quando torniamo. A quel punto mi sono rimboccato le maniche e son partito sparato con le pentole e ho deciso di fare una lasagna incredibile con il ragù di salsiccia e la provola e poi hamburger con bacon e toma e di contorno cuori di carciofi saltati con la 'nduja. Ste è a Pesaro, almeno credo di aver capito che sia lì a lavorare, e io ho sulle spalle l'onere di essere padre ma anche madre. Cucino con un sorriso fisso che è più un sospetto di paresi. Intanto guardo un film d'amore al computer messo lì sul tavolo della cucina e i cani predano le chilate di cibo che mi cadono in terra mentre procedo spedito verso il pranzo per il mio ragazzo che tornerà stanco dalla fatica scolastica. Ore ai fornelli, vapore che invade la casa, sugo anche nel cassetto della biancheria in camera da letto e non capisco come. Si avvicina il bot, l'una per i non nordestini. Squilla il telefono. Mio figlio mi sta annunciando il suo ritorno. Rispondo cercando di contenere l'entusiasmo per non rovinare la sorpresa di quel pranzo meraviglioso che lo attende. Sono andato a comprare anche le cassatine al forno siciliano. Ci sono andato in bici e quasi mi uccide un tram. La voce di mio figlio e calorosamente accogliente e confidenziale. Anni di addestramento fanno la loro parte. Sto in guardia. Sta per dirmi qualcosa che potrebbe non piacermi. "Giò, io resto a pranzo in centro con gli amici... è un problema?" "Figurati... Tutto bene..." "Tutto benissimo... tu?" "...Progetto... " "Ah, ok, dai ci sentiamo dopo così ti dico cosa faccio" </span><br style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;" /><span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;">"... 'getto..." "Cià, se vai al parco con i cani tranqui, ho le chiavi" "pranzo... progetto... vabbè... non importa... non sto piangendo". Resto seduto sulla sedia della cucina e dentro una voce intona prepotente un inspiegabile "sono una donna non sono una santa...". Stasera chiamerà Ste e mi chiederà come sempre "Che hai fatto?" "Niente, niente, un progetto". Ah già, a pensarci il progetto era una cazzata tremenda. Lascio tutto nel forno per stasera e vado in strada. Mi prenderò un gelato e camminerò facendo come se fosse normale.</span><br />
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span>
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-12862439365867221182019-04-08T13:33:00.002+02:002019-04-08T13:38:14.582+02:00BLACK OUT<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-S15Oq7BOlnw/XKsxIQ6AnmI/AAAAAAAABS8/IXQsZn9DSDMIstTERsXMGenEZICzG6Z9ACLcBGAs/s1600/1048585_10200694259032566_1654688149_o.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1600" height="480" src="https://4.bp.blogspot.com/-S15Oq7BOlnw/XKsxIQ6AnmI/AAAAAAAABS8/IXQsZn9DSDMIstTERsXMGenEZICzG6Z9ACLcBGAs/s640/1048585_10200694259032566_1654688149_o.jpg" width="640" /></a></div>
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<!--StartFragment-->
<br />
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Ultimo spot.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Cassetta smagnetizzata e voce tremula<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“...fermati, dove corri così in fretta...”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Il pezzo d’apertura è già puntato sull’altra piastra.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“...troverai un ambiente accogliente e rilassante...”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Ancora uno sguardo alla scaletta, preparata due ore
prima, sicuro che anche questa volta non verrà rispettata.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Sempre la solita musichetta, sono ormai troppi anni, a
chiudere lo spazio pubblicità.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Piccola pausa, pochi secondi per differenziare la sua
voce da pizzerie e fabbriche di materassi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">L’orologione bianco, rassicuranti lancette trafittrici
di cristalli liquidi e giapani, gli fa segno di partire</span><br />
“Radio Etere presenta.”<br />
Attacco di <i>Downbound Train</i>
a volume sparato.<br />
Sfuma.</div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Babel.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Risale.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Sfuma.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Programma di musica, prosa e poesia.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Risale e si attesta su un volume corposo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyTextIndent2" style="line-height: 150%; tab-stops: 35.4pt;">
<div style="text-align: justify;">
I leds
danzano dal basso verso l’alto. Un’occhiata ai livelli e via, a puntare il
prossimo pezzo. <o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Le cuffie gli spaccano i timpani con il preascolto a
volume stellare. Quando gli parlano spesso Milo non capisce ed è un mistero se è
perché e più scemo o più sordo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Il pezzo d’apertura viene sfumato. Sono anni che lo
accompagna e certe confidenze se le può anche prendere.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Bentrovati a tutti sulle doppie frequenze dei
centottocento e dei novanta megahertz di Radio Etere. Ancora una volta
cercheremo di aprire insieme i cancelli di questa notte che vi auguro
fantastica, lasciandoci portare dalla corrente di suoni e parole.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Sale il volume del sottofondo, sempre con il cursore
manuale. Il tossicchiare dell’automatica gli ha sempre fatto girare i coglioni.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyTextIndent2" style="line-height: 150%; tab-stops: 35.4pt;">
<div style="text-align: justify;">
“<i>Romeo
is bleeding</i>.”<o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Parla di questa notte che deve cominciare, che tocca
accompagnare aggrappandosi alla più triste retorica radiofonica.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyTextIndent2" style="line-height: 150%; tab-stops: 35.4pt;">
<div style="text-align: justify;">
Romeo
continua a perdere sangue ma tutti hanno fatto il callo a questi drammi da
vicolo.<o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Il tema della serata non esiste anche se la scaletta
viene preparata cercando di concatenare i pezzi tra loro. Il metodo è quello
delle associazioni, come dallo psicanalista e bisogna essere dei maghi perché
Guccini possa venire prima di Lou Reed e dopo i Napalm Beach. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“</span><span style="line-height: 150%;">...il gioco è tutto sulle sensazioni,
sugli odori dei suoni.” Dio quante stronzate mentre aspetta che la luce rossa
si accenda.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“ Se comunque volete togliermi da questa morsa di
solitudine, vi ricordo i numeri di telefono...” Come un nastro preregistrato.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyTextIndent2" style="line-height: 150%; tab-stops: 35.4pt;">
<div style="text-align: justify;">
<i>All along
the Watchtower</i>.<o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">La versione è quella di Michael Hedges e parte di
botto, senza presentazione, lasciando il moncherino delle sue parole a
penzolare nell’etere.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Clip Clop Zanzà<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Cicadùm Bà Zanzà.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Chitarra acustica e mano veloce.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Colpi a mano aperta sulla cassa dello strumento.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Colpi di tacco sul palco.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Ancora uno sguardo alla luce rossa del telefono. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Sfuma sul pubblico che applaude.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Cosa vedete dalla vostra torre di guardia, qual è il
nemico che continuate ad aspettare mentre dal deserto arriva sempre la stessa
sabbia sugli spalti. A combattere il tartaro siete rimasti voi e un paio di
dentifrici.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Se fosse in loro, negli ascoltatori, cambierebbe
sintonia.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Per quel che mi riguarda dalla mia fortezza ho il
pieno controllo della situazione perché da qui, signore, si domina la valle.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Banco del Mutuo Soccorso in crescendo sul suo
sproloquiare.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Si accende la luce rossa.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Radio Etere.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Attesa.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Milo, sono Fausto, ci raggiungi dopo ?”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Dove ?”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Siamo tutti da Marcella.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Sente già l’aria densa degli spini, delle cazzate, del
vino e delle cazzate ancora.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Se ne ho voglia, vi raggiungo.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Con che stai ?”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Motorino.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Se vuoi passiamo a prenderti.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Restiamo liberi, se mi gira passo io.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Se andiamo da qualche parte ti lasciamo un biglietto
sul cancello.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Così se lo mangiano i cani come l’altra volta.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Ma no, è colpa di quella fulminata di Laura che ha
scritto il messaggio sulla carta del prosciutto.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“C’è pure Laura ?”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Si, ma tu vieni lo stesso.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Vedrò se mi riesce.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Il brano è finito e non ha fatto in tempo a prepararne
un altro.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Acchiappa al volo un nastro e lo infila nella piastra,
che si punta sul primo brano in automatico.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Continuo a lasciare le mie briciole, camminando verso
la notte, calco il passo nella sabbia e faccio di tutto per permettervi di
seguirmi, di rintracciarmi.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Parla senza pensare, mentre cerca di leggere almeno il
titolo del pezzo che tra pochi secondi si libererà nell’etere.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Che schifo di calligrafia e come fare a inserirlo nel
contesto.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“E se cercherete di seguirmi ancora sarà bene che mi
preoccupi di intrattenervi.” <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Cosa cazzo si potrà inventare. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Ovviamente il tutto è commisurato ai miei esigui
mezzi e tutto quello che posso offrirvi è un modestissimo ma divertentissimo
hula-hop. Lui è T-Bone Burnett.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Roba da darsi un morso nei coglioni. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Il pezzo parte e Milo non ha nemmeno le cuffie in
testa, che col caldo che c’è lì dentro gli si sciolgono i padiglioni
auricolari.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Comincia a cercare tra gli scaffali dei dischi, nella
borsa, tra le cassette sparse. Niente che gli venga in mente.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Il pezzo ondeggia con il suo carico di percussioni e
coretti.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Bum-Tabùm Bum-Tatàbum.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Cerca di raccapezzarsi in quella bolgia infernale.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Sta per finire.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyTextIndent2" style="line-height: 150%; tab-stops: 35.4pt;">
<div style="text-align: justify;">
“Era
T-Bone Burnett, dall’album <i>Proof through the night</i>. Il pezzo si intitolava
<i>Hula-hop</i> e a sentire questo brano me ne è venuto in mente un altro che
era diverso tempo che volevo farvi ascoltare.”<o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Sale la musica.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“<i>Hefner and Disney</i>. Il disco è sempre lo
stesso, lui è ancora T-Bone Burnett” e se la cava.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyTextIndent2" style="line-height: 150%; tab-stops: 35.4pt;">
<div style="text-align: justify;">
Non ha
mai capito perché questa canzone gli richiami alla mente <i>L’oro di McKenna</i>,
un western americano che sembra l’imitazione triste di una produzione
italo-spagnola, con Gregory Peck, Omar Sharif e Telly “Bellicapelli” Savalas.
C’è un tesoro da trovare, seguendo un’antica mappa indiana. Di tanto in tanto
nel film compare un particolare della mappa con sottofondo di nenia tamburosa
che dovrebbe fare tanto atmosfera amerindiana e il brano che sta trasmettendo
ora richiama la colonna sonora più per le sospensioni che per la struttura
compositiva. Forse è solo lo scherzo della sua memoria rintronata e affogata
nelle coperte del letto grande della nonna, che aveva la televisione in camera
e quando toccava stare per lungo tempo a respirare l’aria buona del sud era
tutta una giostra di pizze, frullati e film western. Forse nemmeno la pellicola
è proprio quella ma non c’è da preoccuparsi, tanto al microfono si guarderà
bene dal coinvolgere gli ascoltatori nei suoi frappé cerebrali.<o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Per fortuna è riuscito a riprendere le redini della
scaletta e punta il brano in preascolto.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Piano piano ci stiamo infilando in questa nuova
notte.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Parte un sottofondo che dev’essere roba tipo Miles
Davis. Uno degli ultimi dischi prima di cacciarsi nella notte lunga. Lui per
davvero.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Stasera il telefono non suona, o forse dovrei dire
non lampeggia, visto che qui in regia l’unica cosa che segnala l’arrivo di una
telefonata è una lucina rossa vicino al mixer. Se devo dirvi la verità, meglio
così. Non ho voglia di parlare con una voce che mi risponda. Preferisco farmi
quattro passi in mezzo ai solchi di qualche disco polveroso.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Mixa con il sottofondo e il pezzo parte.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyTextIndent2" style="line-height: 150%; tab-stops: 35.4pt;">
<div style="text-align: justify;">
“Willie
Dixon. <i>Walkin’the blues</i>.”<o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoBodyTextIndent2" style="line-height: 150%; tab-stops: 35.4pt;">
<div style="text-align: justify;">
Di solito
nel corso del programma legge o fa leggere poesie e brani vari ma stasera non
gli gira.<o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Di colpo le luci saltano, le spie hanno un singulto,
la puntina sgomma in frenata su quei vecchi, preziosi solchi. Toglie le cuffie
e le sbatte sul mixer. Che succede adesso. Il generatore d’emergenza non è
partito e dalle finestre alcune luci accese danno l’idea che, più che di una
cosa generale, si tratti di un casino circoscritto alla radio. Al condominio o
forse solo al loro appartamento. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Ripensa a tutte le volte che in riunione si sono detti
che così non si può andare avanti, le apparecchiature sono vecchie e gli impianti
fanno schifo. E adesso? <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Chissà le radio accese nelle case, nelle macchine,
nelle teste, come lo faranno sentire questo vuoto di ora.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Rimane alcuni lunghi minuti seduto al buio, credendo
al miracolo, poi prova a telefonare a Paolo ma, quando si dice troppo, pare che
anche il telefono sia inchiodato. Tira un calcio alla poltroncina che corre
sulle sue rotelle e finisce contro il mobiletto della classica. Al semibuio
Milo cerca di raccattare la sua roba, sapendo che tutto quello che dimenticherà
troverà triste sorte in questo covo di ladri di dischi, maestri del melopresti
e devoti della madonna del mancato ritorno. Bestemmiando infila le cose alla
rinfusa nella borsa. Esce dalla stanza che lì, pomposamente chiamano regia e
inciampa nel buio, rischiando di finire con gli incisivi sulla moquette, in
qualcosa di vagamente somigliante a un portaombrelli che non ricorda di avere
mai notato prima. Sale il volume delle bestemmie. Raggiunge la porta con le
mani protese in avanti, come i sonnambuli dei fumetti, apre ed è finalmente
fuori.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Sul pianerottolo cerca, con le mani che lisciano sulla
parete, l’interruttore della luce delle scale, crede di averlo trovato e, dopo
qualche minuto di titubanza, sperando non sia il campanello della porta
accanto, preme.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Niente. Fanculo a questo palazzo marcio. Con quello
che costa di condominio, potrebbero anche sostituire le lampadine fulminate.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Scende le scale, guidato dal corrimano in legno e una
volta nel portone cerca di stare attento a schivare la Vespa di quello del
secondo che, per paura che gli fottano il rottame, la lascia sempre dentro,
sotto le cassette della posta. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Quando il suo ginocchio impatta con il portapacchi
dello scooter si piega in avanti, rischiando di sfregiarsi con lo specchietto
tetanico. Le bestemmie vanno in distorsione e tocca riequalizzare la madonna e,
inavvertitamente, gli parte un calcio di punta che va a piantarsi nella chiappa
larga e lamierosa di quel simbolo del miracolo economico che fu.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Fuori, in strada, Milo ci arriva con il labbro serrato
tra i denti e un ringhio sordo che sale dallo stomaco al paradiso. I lampioni
che illuminano questo schifo di posto, prima qui davanti c’era il mercato
ortofrutticolo, vanno a intermittenza ma la cosa non lo stupisce più di tanto.
Visto e considerato che in genere sono proprio spenti. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Passa una volante a sirena spiegata ma neanche di
questo c’è da stupirsi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Milo arriva al motorino, lontanamente imparentato con
la bastarda Vespa nascosta nel portone, Fissa la borsa al portapacchi, stando
attento a non piegare i dischi e, con il solito borbottio, il motore parte alla
prima mezza pedalata. Accende il faro e scende giù dal cavalletto. Deve
ricordarsi di stringere i bulloni dello specchietto che penzola inutile,
aggrappato al manubrio. Lascia scaldare e parte con un velo d’olio superfluo
nella miscela che marca il territorio.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Mentre corre per le strade vuotate dalla sera canta,
anzi urla, il ritornello di <i>Born to be Wild</i>, sempre con il rischio che
qualche corpo estraneo, insetto o chissà cosa, prenda la via della sua bocca
spalancata a forno.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyTextIndent2" style="line-height: 150%; tab-stops: 35.4pt;">
<div style="text-align: justify;">
Al
semaforo di via Ranni si mette in coda a una Lancia familiare. Scatta il verde,
la macchina fa per partire e si pianta. Si pianta anche lui, potenza del
variatore, con la ruota sul paraurti e precipita in avanti, finendo con la
faccia sul lunotto posteriore.<o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Cazzo fai ?”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Ma non lo vedi che mi si è fermata.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Se non sai guidare resta a casa.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Ma vaffanculo.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Il tipo non è neanche sceso e grida guardando nello
specchietto. Come urlare insulti all’arbitro davanti alla tele. Crede di
cavarsela con un insulto a mano tesa e una sgommata ma è qui che sbaglia. Gira
la chiavetta e cerca di ripartire ma la macchina non accenna a riavviarsi.
Morta.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">A sua volta, Milo lancia un occhio al parafango storto
del motorino, raccoglie i suoi pezzi sparsi e dando sul gas, è giusto
sottolineare che il prodigio su due ruote non si è neanche spento, si affianca
allo stronzo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">“Vaffanculo tu.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Parte tirando un calcio, santa serata dell’anfibio,
allo sportello.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Di nuovo <i>Born to be Wild</i> a squarciagola.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; tab-stops: 446.55pt; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">In viale Marchetti i semafori sono
spenti e passa tronfio. Non ha nessuna voglia di raggiungere gli altri, con il
rischio che la notte pieghi in peggio, e infila sparato la strada di casa.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Nel vialetto del cortile c’è il ghiaino per la solita
derapata, alla bella età di ventisei anni, ed è nel garage.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Chiude la saracinesca, Milo si pulisce le mani, nere
di polvere e scarichi assassini, sulle tasche posteriori dei jeans.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Una spinta ed è nel portone. Qui non ha bisogno di
accendere la luce, che queste scale le ha fatte in tutte le condizioni, sulle
gambe, sulle mani, sul culo, sulle ginocchia, sulla lingua, combinando talvolta
le singole tecniche.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Arriva alla porta di casa e, dopo l’autoperquisa
di prassi per trovare le chiavi, apre mandando il battente a sbattere sulla
parete, giusto per aggiornare la tacca in corrispondenza con la maniglia.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">In cucina si dirige subito verso il frigo con la
spiacevole sensazione di camminare in una pozzanghera. Avesse almeno la sua
fida mantellina gialla e la sua cartella rossa della prima elementare, quella
con scritto El Pachito, che non ha mai saputo cosa volesse dire, potrebbe
mettersi a saltare, schizzando acqua tutto attorno. Invece è lì, ad un passo
dalla laurea, e ha l’obbligo di bestemmiare ancora. Si sta giocando il paradiso
in una serata e non gli sembra di avere chissà che carte.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyTextIndent2" style="line-height: 150%; tab-stops: 35.4pt;">
<div style="text-align: justify;">
Non ci
vuole molto a capire che il frigorifero si è sbrinato e che il ghiaccio
accumulato nella cella da anni di incuria si è sciolto con esiti nefasti. La
luce funziona e c’è da credere che il frigo sia stato interessato dallo stesso
black-out che ha stoppato la radio stasera. E lui che si era pure incazzato con
gli impianti troppo vecchi. Probabilmente, se non si fosse lasciato prendere
dalla rabbia e avesse aspettato qualche altro minuto, ora le cose sarebbero
tornate a posto e avrebbe potuto riprendere a trasmettere, scusandosi per il
contrattempo e seghe varie.<o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoBodyTextIndent2" style="line-height: 150%; tab-stops: 35.4pt;">
<div style="text-align: justify;">
Di più,
in questa zona della città il black out dev’essere durato un pezzo se è
riuscito a squagliargli il ghiaccio nel frigo. Lui era in giro già dalla
mattina.<o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Prende un pezzo di formaggio dal frigo, che rimane
spento mostrandosi coerente con le posizioni prese stasera. Probabilmente la
stanchezza di vent’anni di onorato servizio gli è pesata inesorabile sul
compressore e quando la luce è tornata non se l’è sentita di ripartire.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 150%;">Chissà domani.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 150%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 150%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-right: 42.45pt; mso-pagination: widow-orphan; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 150%;"><br /></span></div>
<div style="mso-element: comment-list;">
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<br />
<hr align="left" class="msocomoff" size="1" width="33%" />
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<br />
<div style="mso-element: comment;">
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<br />
<div class="msocomtxt" id="_com_1" language="JavaScript">
<!--[endif]--><span style="mso-comment-author: "Packard Bell NEC";"><!--[if !supportAnnotations]--><a href="https://www.blogger.com/u/2/null" name="_msocom_1"></a><!--[endif]--></span>
<br />
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</div>
<!--EndFragment--><br />Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-51135897147957950312019-02-12T12:16:00.001+01:002019-02-12T12:16:17.906+01:00TEMPO DEBITO<br />
<br />
<br />
<br />
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://2.bp.blogspot.com/-ZF8kRKG6xWw/XGKq14ObmtI/AAAAAAAABR8/89WefWxAcGI967qsMFhy4kgIoT5bH6_8QCLcBGAs/s1600/41039198_10214537690029689_1119355995886190592_o.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="886" data-original-width="1440" height="392" src="https://2.bp.blogspot.com/-ZF8kRKG6xWw/XGKq14ObmtI/AAAAAAAABR8/89WefWxAcGI967qsMFhy4kgIoT5bH6_8QCLcBGAs/s640/41039198_10214537690029689_1119355995886190592_o.jpg" width="640" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">ph. Giorgio Olmoti</td></tr>
</tbody></table>
<br />
<br />
<br />
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span>
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span>
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;">Son tempi che fuggono. La velocità. Alla televisione, sui muri, alla radio è un moltiplicarsi di spot per sensibilizzare la gente rispetto al problema dell'eiaculazione precoce. Mica roba da ridere. Ma come cazzo fai con l'aria che tira attorno. Ci son fior di pubblicitari che studiano strategie della comunicazione efficace per rivenderti il tempo che ti spetterebbe di diritto e che ti sei fatto mangiare da questi giorni in cui l'ansia corre su fibra ottica. E vedo uomini desolati che si guardano attorno e hanno in tasca un telefono che trasporta parole e immagini a velocità fo</span><span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #1d2129; display: inline; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;">tonica, e sono bombardati da notizie che arrivano prima che i fatti avvengano, e hanno cablaggi e bande larghe che corrono per i muri e sotto il pavimento, e macchine con i tachimetri che sussurrano al muro del suono e treni che ti potrebbero portare da Torino a Lione, che tu prima non ci avevi mai pensato quanto ci tenevi a andare da Torino a Lione, in diciotto minuti e infatti non ti danno nemmeno il giornale da leggere che in quel tempo lì a stento ti puoi leggere l'etichetta del flacone del bagnoschiuma, come al cesso quando hai letto tutti i Topolino disponibili. Vedo uomini pallidi aspettare ascensori che li proiettano ai piani alti che nemmeno a Cape Canaveral. Vedo uomini fiduciosi nello Stato, che quando possono godersi le manganellate che gli sbirri adorati calano sul cranio di quegli altri brutti sporchi e liberi, che ansia la libertà, si ritrovano a fare il tifo per la Celere e questa per capirla devi leggerla un paio di volte. Vedo uomini che quando vogliono rilassarsi vanno a correre. Vedo uomini che la domenica assistono al gran premio e che vibrano nell'enfasi di quei rombi aspettando come corvi la morte e lo schianto appollaiati al digitale terrestre. Poi di colpo si sente una voce perentoria e c'è uno che sciorina dati e statistiche e ti spiega che oggi milioni di uomini concludono i giochi troppo presto e quelli lì sbarrano gli occhi, che forse il dubbio gli era pure venuto, pure quello in largo anticipo, ma ora col dato statistico alla mano c'è la certezza. E allora vanno al supermercato, la madre di tutte le soluzioni, e si guardano intorno perduti, sospettando negli occhi di femmina attorno il disprezzo statistico di competenza. E cercano negli scaffali ma tutto quello che vedono si chiama Slim Fast o, peggio, "Svelto, l'amico delle casalinghe". Escono passando dalla cassa, rapida pure lei, e le lacrime che gli rigano le guance, quelle davvero scendono giù con impietosa lentezza. Ora è ben chiaro perché ho fatto un viaggio con il Ciao. Mastica e sputa.</span>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-77474153162956182502019-02-12T11:32:00.001+01:002019-02-12T11:32:50.773+01:00SENZA AVERE SETE<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://2.bp.blogspot.com/-pdP09YUVXls/XGKgaSVau4I/AAAAAAAABRw/oHmYeTp0NUIo4_k6AOswUjjqejvJ9LNtwCEwYBhgL/s1600/37362844_10214197880734669_4306964913479221248_o.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="1440" height="480" src="https://2.bp.blogspot.com/-pdP09YUVXls/XGKgaSVau4I/AAAAAAAABRw/oHmYeTp0NUIo4_k6AOswUjjqejvJ9LNtwCEwYBhgL/s640/37362844_10214197880734669_4306964913479221248_o.jpg" width="640" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">cimitero di Halki. ph. Giorgio Olmoti</td></tr>
</tbody></table>
<br />
<br />
<br />
<br />
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span>
<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;">Ma cosa cazzo c'è da dire, da specificare, da fare i dovuti distinguo, da stabilire incredibili catene di causa e effetto, degne dell'esercizio di associazione di idee fatto fare a un serial killer. L'umanità è imbarazzante, a volte temo che, da ogni parte politica, le venga anche il dubbio di esserlo e lli vedi questi e sono inguardabili e basta ma ormai sono prigionieri della loro narrazione, non possono mettere in crisi la loro identità costruita a colpi di niente imbottit</span><span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #1d2129; display: inline; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;">o di merda sui social. La chiamano "le mie idee" e questo è il lasciapassare per tutto quello che non ha conferme, che non esiste. Basterebbe solo distinguere il bene dal male, gli stronzi dalla brava gente senza un incredibile castello di principi etici. state nello stesso gioco, siete al servizio dei vostri carnefici ma pensate di saperla lunga e la storia, la memoria, ormai ve la raccontate come cazzo vi pare perché vale tutto, da qualsiasi parte voi crediate di stare, state dalla parte della carne trita e vi sentite destrieri galoppanti che vanno incontro all'onore, vi piace l'onore, un'altra balla che vi hanno raccontato, al pari dei peccati, per darvi il servofreno alla fatica di essere uomini, al maledetto mestiere di vivere. Nulla vi giustificherà mai se non vostra mamma, che sorride a vedervi così appassionati nella vostra stanzetta. siete le vittime e, come un'orda di zombie, girate per la Rete a ridurre altri nel vostro stato, perché a essere massa mugghiante pare d'essere nel giusto. studiare dovete, leggere, confrontare, accendere un benedetto motore critico e invece vi ingozzate di luoghi comuni e la vostra fonte è sempre uno che ha fatto il militare a Cuneo. E non avete più vincolo morale e sapete pensare la morte atroce di qualcun altro come prima pensavate a che contorno prendere, a versare l'acqua nel bicchiere anche senza avere sete.</span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-25392819119492991202019-01-12T15:17:00.001+01:002019-01-12T15:21:58.573+01:00Fabrizio De Andrè e i piedi che piangono<br />
<br />
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<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-1Iuho1v7Xvk/XDn2jv5U6AI/AAAAAAAABQs/egzzlaERkiMP3bOemMseTIshlVTd4nnUwCLcBGAs/s1600/olmoti-sirianni-%25E2%2580%25A6.e-FdA.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="899" data-original-width="1600" height="356" src="https://1.bp.blogspot.com/-1Iuho1v7Xvk/XDn2jv5U6AI/AAAAAAAABQs/egzzlaERkiMP3bOemMseTIshlVTd4nnUwCLcBGAs/s640/olmoti-sirianni-%25E2%2580%25A6.e-FdA.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<br />
<br />
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<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">Fabrizio De Andrè e qualcosa di personale<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">“<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Mille anni al mondo mille ancora<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">che bell’inganno sei anima mia<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">e che bello il tuo tempo<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">che bella compagnia”<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">Cominciare dalla
fine.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">A Venezia faceva
freddo e non c’è meraviglia, che da quel mese lì abbiamo da aspettarci giusto
gelo frequente e rare preghiere. Di speciale quel gennaio aveva che era la
porta dell’ultima stanza. Ancora pochi passi lungo i corridoi di questa casa al
civico Novecento e poi via. Trasloco. Altro millennio, altra strada, altre
facce e tempo per riadeguarsi e sperare. E mai a sfiorarmi il dubbio che i
pochi sguardi concessi a noi, reduci d’un secolo che non è di moda e d’orgoglio
portarsi addosso, in quest’era nuova, con la cilindrata portata a Duemila per
darti accelerazione da strappare il cuore, li avremmo fatti senza certe parole
scritte taglienti e offerte a voce calda. In quell’undici gennaio Fabrizio De
Andrè è morto. L’avevo saputo già dal mattino. Rientrato coi cani da un lungo
giro in riva al Torre, allora vivevo nella campagna friulana, tentavo di dare
un senso a fogli e appunti e files che sarebbero diventati oggetti di
discussione nel mio pomeriggio veneziano e la notizia s’è piantata come un
cuneo nei miei affanni domestici. La radio, con un imbarazzo che mai avevo
saputo scoprirle in anni di convivenza, me l’ha confidato d’un soffio. Morto.
Sono rimasto lì, col gesto fermato a mezzo. Ho chiesto posto ai cani sul divano
e ho lasciato che le mie dita goffe finissero dove in qualche modo cominciava
una chitarra. Cullandomi su un arpeggio suo, un paio di accordi facili e
fragili. Da amico. E s’è fatta l’ora di partire e ho raccolto le mie cose e ho
lasciato che la moto mi portasse fino al treno.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText2">
La stazione di Venezia Santa Lucia se ne rimane proprio
sul bordo del canale e, appena fuori, sai da subito che sei in quella città lì
e in nessun’altra. La meraviglia, a distanza di anni, mi si rinnova tutte le
volte. Quel giorno non ricordo nemmeno d’esserci arrivato. So solo che decisi
di farmela al passo, e di piedi, uno davanti all’altro, c’era da metterne
parecchi fino alla meta. Una volta a destinazione avrei ostentato sicurezza e
disinvoltura, pregando in cuor mio che mi confermassero margini di
sopravvivenza con l’ennesimo contratto a tempo. Tempo rubato, tempo debito.
Pioveva. Indossavo scarpe che avevano la suola in cuoio, le uniche di questi
miei anni, regalo paterno recuperato in qualche svendita <i style="mso-bidi-font-style: normal;">fuori tutto</i>. Scarpe doverose nello sforzo di rendermi credibile in
quell’incontro dove mi giocavo la sopravvivenza con le solite tre carte sul
tavolo. E sperare che il trucco riuscisse ancora. La pioggia fredda s’era stesa
a velo insidioso sul lastricato veneziano e le suole lisce minavano pure la mia
sicurezza minima di riuscire a stare in piedi. Con la borsa, caricata a fogli,
che mordeva la mia spalla destra. Sempre nello stesso punto, che in quegli anni
precari mi si era scavato nella carne un solco ergonomico reggicinghia. Le
stimmate laiche di una generazione trentenne, obbligata a mostrarsi flessibile
nel lavoro e nello stomaco. Questi nostri sono gli anni del “boom ergonomico” e
ridisegniamo ogni giorno le nostre attitudini su quello che accettiamo di fare
perché è tutto quello che c’è. L’Italia dei Sessanta, industriosa e
industriale, culla dei cambiamenti e delle contraddizioni che proprio Fabrizio
aveva guardato senza stupore, sorridendo a volte amaro e lasciandosi scappare
qualche maledizione, ce la siamo persa e ora, orfani della campagna e negati
all’industria, nel nostro mondo prevalgono i servizi, che nella memoria di
scolaro bambino erano i cessi e forse ci sarà un motivo. E ancora mi ripetevo
ch’era morto, credendoci da subito, perché solo nei film ci si risveglia
chiedendo “dove sono” dopo una botta in testa. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">Le scarpe, dicevamo.
Roba da poche lire e, a dichiarare il conio di quel tempo ancora spargo tracce
di memoria storica, che a partire dal 2001 il caffè si pagherà in euro e negli
occhi e nelle tasche degli italiani ci sarà da leggere smarrimento. E allora
vale la pena ricordare che a qualche mese di distanza dall’introduzione della
moneta unica qualche politico aveva rimproverato gli italiani perché
continuavano a pensare in lire spendendo in euro e di conseguenza i conti già
tentennanti si asciugavano(1). Popolo distrattone. Meno male che a redarguirlo
c’erano loro, la classe dirigente, gente abituata a parlare <i style="mso-bidi-font-style: normal;">con la tovaglia sulle mani e le mani sui
coglioni</i>. Fabrizio aveva nutrito certe sue invettive anche di questi
personaggi imbrattati di governo e non si sarebbe certo meravigliato quando i
dati sul potere d’acquisto della famiglia media italiana, giusto qualche mese
dopo, avrebbero dimostrato che a voler dare la colpa alla distrazione di chi
spendeva c’era da essere o fini umoristi o tragici incompetenti(2). Ma forse a
lui, a De Andrè, gli sarebbe interessata di più la frenesia dei falsari che
negli ultimi giorni della lira immisero sul mercato tutti i fondi di magazzino,
migliaia di banconote stampate con attenzione maniacale, certe più belle di
quelle vere(3). <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">Insomma procedevo per
le calli con queste scarpe mie di cuoio rosso macchiato pioggia e passando
l’ennesimo ponte sento sotto le piante del piede un’insistenza d’acqua che va
oltre quello che ero disposto a sopportare. Sollevo il piede, sbircio e scopro
che la suola di millantato cuoio doveva essere fatta in realtà con i cartoni
delle pizze per asporto. Con la pioggia la suola s’era sciolta. Camminavo col
calzino a contatto col selciato. E dovevo andare che mi aspettavano. E la testa
era ingombra di quell’unico fatto, di quella morte inattesa. Fabrizio. Avrei
voluto mi vedesse in quel momento, così degno della mia età e del mio tempo,
con i miei dischi, i miei libri e i miei film a corrermi dentro con le
piastrine e i globuli. Chissà come l’avrebbe raccontato Fabrizio uno come me
che si portava sulle spalle il suo mestiere per le calli veneziane, che l’odore
salso e l’antica memoria di potenza marinara facevano vicine ai suoi carrugi.
M’avrebbe cantato divertendosi mentre campavo credendo normale quella vita
incerta, piangevo un lutto immenso e le scarpe si scioglievano sotto la
pioggia. Sempre perché i politici tromboni, che accennavamo prima, s’erano
imperlati la fronte a gridare che era il tempo del lavoro flessibile. E lo
dicevano muovendo appena la benedetta tovaglia.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">Acqua che non si aspetta, altro che benedetta</span></i><span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">.
<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">Sono arrivato in
Campo qualcosa e m’attendevano. Salendo le scale il mio passo faceva uno
sciaguattio, che rimbombava in quell’edificio illustre precedendomi. Altro che
“archivi fotografici e didattica”, pareva andassi a dare dimostrazione di pratica
circense, trascinandomi dietro un’otaria pinnante per le scale. Mi accolse una
segretaria e le scrutai gli occhi per leggerle lo sgomento che ritengo
d’obbligo il giorno della morte di Fabrizio De Andrè. Non dovevano averla
ancora avvertita, a giudicare dall’efficienza fredda del suo ricevermi e io,
che non so trovar parole mai, lascio ad altri il compito. Il dubbio che la
cosa, il lutto intendo, la sollecasse poco non mi sfiorava. La seguii lungo il
corridoio e lasciai un’impronta umidiccia, che null’era se non il mio calzino
intriso d’acqua, che ora lascia giù anche venature blu. Entrai in una sala col
tavolone enorme e troppe ne ho viste in questi anni e non avrei avuto
soggezione alcuna se non fosse stato per questo mio avanzare incerto sui piedi
zuppi e nudi. Quando ci si fa parecchio male il cervello stacca la connessione,
dando agio al corpo di riprendersi senza restituirci memoria e misura del
dolore. Si sviene e si va in coma per difendersi. Credo di essermi ridotto in
quello stato deplorevole con l’intento inconscio d’avere altri pensieri a
colmare quell’insistenza di vuoto che mi stordiva. Per ubriacare il dolore. Per
non pensare Fabrizio morto. Poi si accese il proiettore alle mie spalle,
preparai i materiali nell’ordine in cui andavano esposti e guardai le facce,
tutte rivolte verso di me. Già, le facce, non m’ero nemmeno accorto ci fossero
e erano tanti. A me capita a volte di fare e dire cose mentre dentro c’è una
voce che mi sussurra “non avrai mica intenzione di farlo”. “Avete sentito che è
morto De Andrè”. Perplessità negli astanti. Alcuni accennarono a chiedere di
chi stessi parlando, perché tutti o quasi ce l’avevano in testa che c’era uno
che cantava da quarant’anni e si chiamava così ma io sono lì per parlare di
progetti didattici e siamo nell’era delle specializzazioni. Roba che per sua
natura nega l’emozione. Secondo quelli attorno al tavolo, questo dolore, in
quel momento, a me non competeva. Altro sarebbe stato se fosse morto il
proiettore. Allora sicuro m’avrebbero accordato le lacrime. Poi qualcuno disse
qualcosa sul fatto che lo ascoltavano da ragazzi e chissà ora e quanti anni
aveva ma si vede che non c’era gran coinvolgimento. Attaccai la parte mia e
tenni botta per un paio d’ore di show. Il piede, per tutto il tempo, non smise
mai di far correre lacrime, perfetta succursale del mio dolore. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">A giornata finita, a
lavoro preso, in treno mi aggiustai il passo con un pezzo di plastica
trasparente ficcato nella scarpa. Nello scompartimento trovai una ragazza con
la faccia di una che condivideva certo mio smarrimento. Le due ore di viaggio
volarono.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">Poi, a casa e tra gli
amici, ci siamo rincorsi col telefono e qualcuno è partito per Genova, qualcuno
s’è trovato a suonare e a bere. Qualcuno ha pianto. Io avevo i cani e una vigna
dietro casa. Tra le altre cose.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">A De Andrè ci sono
arrivato per gradi. Piano e senza folgorazioni. Piuttosto sedotto da certo
frequentarsi che faceva quasi abitudine. Io ero quello nella stanzetta, lui
quello che raccontava dal registratore. A dire il vero l’apparecchio per musica
domestica lo chiamavamo “gelosino” anche se la marca non era quella. La Geloso
era stata un riferimento industriale significativo nel panorama nazionale,
contribuendo a dotare le case degli italiani di radio e televisori. Al punto che
nel nostro lessico familiare qualsiasi registratore era stato promosso al rango
di “gelosino”. Archetipo di tutti i riproduttori sonori. Le cassette le tenevo
sul mobiletto vicino al letto e sotto, nello scaffale grande, c’erano i dischi.
Già i dischi, il vinile, con quelle copertine che si prestavano a diventare
arte a loro volta, per non parlare dei titoli e delle note e dei nomi dei
suonatori che si leggevano chiari, ben altra cosa rispetto alla fiducia nelle
diottrie dell’utente di cui sono portatrici le confezioni dei CD. Il primo
trentatre giri che mi sono permesso è stato “Radici” di Francesco Guccini. De
Andrè ce l’avevo in cassetta. Avevo quasi tutto su nastro perché il vinile a
usarlo sul mio giradischi mono da poche lire, roba recuperata col fiato corto
di qualche tredicesima paterna che troppi buchi avrebbe dovuto tappare, si
rovinava presto. E allora, per ovviare all’usura, registravamo i dischi con un
microfonino esterno piazzato nei pressi dell’altoparlante e la qualità del
suono ne risultava agghiacciante anche per le possibilità limitate del
“gelosino” di riprodurre. C’erano delle cassette che me le facevo registrando,
sempre coi medesimi ridotti mezzi tecnici, direttamente dalla radio e i generi
si mischiavano e toccava schiacciare STOP in fretta che altrimenti chi
trasmetteva riattaccava a parlare e se ne conservava imperitura memoria nei
miei archivi domestici. La radio, a pile, era in cucina e nelle registrazioni
in sottofondo si sentivano le padelle che friggevano, il telefono che squillava
con quel trillo che i telefoni tutti avevano, lontani da certe agghiaccianti
personalizzazioni modernissime. Un tappeto sonoro che è già fonte storica per
la descrizione di una famiglia media alle prese con la morsa dei Settanta. Allo
storico l’arduo compito di filtrare la traccia sonora per riuscire ad ascoltare
certi rumori di fondo. In barba alla trentesima generazione del Dolby. E i
nostri strumenti di fruizione musicale ci hanno già obbligato in un ambito
ristretto, superati dalle nuove tecnologie che non hanno avuto pietà per le
nostre abitudini e le nostre emozioni(4). <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">De Andrè ce l’avevo
su nastri originali, piccolo irrinunciabile lusso, e le custodie mi pare di
ricordare fossero per lo più rosse, ma qui l’oltraggio della memoria mi
potrebbe ingannare, anche se un paio di quelle che mi restano corrispondono
alla descrizione. A dire il vero, fino al ginnasio le canzoni di Fabrizio me le
ritrovavo nelle orecchie quasi sempre senza cercarle, come molti nati insieme a
me nella prima metà dei Sessanta, e nel disperato tentativo di gridare al mondo
la mia decisione di esserci quasi mi sembrava poco efficace servirmi dei suoi
arpeggi e di quella voce che raccontava di puttane delicate mentre a un tiro di
sguardo, nello scaffale accanto del negozio di dischi, certi scalmanati
gridavano rabbia in distorsione e in inglese. In un modo che mi pareva buono
per essere vivi. E a quell’età, nel subbuglio di emozioni, ormoni e attenzioni
nuove, la voce, che va pur’essa cambiando, la si cerca forte negli altri, perché
ci pare che anche la nostra trarrebbe giovamento da quell’amplificazione e
qualcuno si potrebbe accorgere che è il turno nostro di diventare uomini. E
Fabrizio quasi ci faceva timidi delle nostre emozioni e dentro ci confessavamo
che ci piaceva da morire ma in branco avevamo da sventolare altre bandiere. Del
resto certe canzoni parevano mostrare la corda, portatrici di ingenuità che
erano solo di superficie ma che non sapevamo sopportare. Fabrizio, che s’era
preso l’onere di traghettare la musica popolare verso un’esperienza poetica
complessa, con una connotazione letteraria senza precedenti, a tutt’oggi, nel
panorama nazionale, pareva gettarci nell’imbarazzo di doverlo ascoltare
assecondando valzerini e ballate che ci facevano sentire poco in sincrono col
pulsare frenetico di quella nostra stagione adolescenziale. Al punto da
dividermi tra la musica che ascoltavo a casa e quella che condividevo col
branco. E questo capitava con De Andrè, Guccini, De Gregori e l’esperienza si
perde in infiniti rivoli che, negli anni, mi hanno fatto incontrare Lolli,
Ciampi e Conte. Citando a caso e sempre con lo stesso gusto. Poi verso i
quattordici anni scoprii che altri ce n’erano come me, incantati dalle parole e
da quelle voci e fu quella l’epoca di certe condivisioni che erano già segni
d’appartenenza incancellabile, amicizia solida a cui non saprai mai più voltare
le spalle. Fratelli di sangue e di musica. Quegli amici di allora non li ho più
persi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">Negli anni a seguire
l’anima, che pure sostengo di portarmi nello zaino di tela blu, l’ho corredata
di quelle canzoni e di quelle voci, con De Andrè sempre tra i privilegiati
dalla mia attenzione. La mia aspirazione libertaria si nutriva inizialmente di
fiaccole dell’anarchia lanciate a sasso sulla strada e insulti biechi gridati
alla regina d’Inghilterra, in un inquietante frullato che mi metteva egualmente
a mio agio in un osteria o sotto un palco a pogare. Intanto De Andrè
s’insinuava, restava, mentre gli altri andavano. A distanza d’anni certe cose,
che avevo pure imparato a suonare con la chitarra, acquistavano ancora nuova
luce e alla fine ho scoperto che nel mio vizio della scrittura non riesco a
cucire una parola sull’altra se non ho De Andrè a cantare in sottofondo.
Qualche tempo fa ho dato alle stampe un libro che è un diario sconclusionato
dei miei giorni e soprattutto delle mie notti(5). E ho scritto, sempre con
quell’accordo insistente che picchiava nel cuore e le parole che mi davano
urgenza. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Voglio vivere in una città dove
all’ora dell’aperitivo non ci siano spargimenti di sangue e di detersivo… .</i>
L’ho usata come incipit. Quello che è giusto è giusto. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">Quando è nato Orso,
mio figlio, Stefania era ancora sotto anestesia e mi hanno piazzato il nanetto
in braccio e ci hanno lasciati da soli, me e lui, a cercare di capire in che
guaio eravamo finiti entrambi. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">Lo
porto alla finestra e scosto la tenda. Fuori c’è un cielo meraviglioso e io
voglio rubare al mondo questo momento irripetibile del suo primo cielo. Poi lo
troverà normale e smetterà la meraviglia ma ora è ora. Comincio a cantargli
piano Hotel Supramonte di De Andrè, che per fare bella figura mi piacerebbe
buttare giù una scaletta meravigliosa di pezzi selezionati per vantarmi di
averglieli cantati tutti con la voce calda e invece ripeto come un ebete le uniche
due strofe di quella canzone. E se vai all’Hotel Supramonte e guardi il cielo
tu vedrai… .</span></i><span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;">(6)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<br /></div>
<div class="MsoBodyText">
A De Andrè il merito, in questi anni, d’avermi irrobustito
i pensieri. D’avermi insegnato un po’ come si cammina per le strade strette e
come anche le cose minime necessitino di massime attenzioni.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "new york" , "serif";">1
“Euro, un anno dopo tra rincari e inflazione”, in Repubblica, 22 dicembre 2002.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "new york" , "serif";">2<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Le indagini dell’Eurispes, di concerto con le
associazioni della Coalizione dei consumatori, sul rincaro dei prezzi
registrano tra il novembre 2001 e il novembre 2002 un incremento dei costi sui
generi alimentari pari al 29 per cento, I dati sono in contrasto con i calcoli
Istat che invece per lo stesso periodo segnalano un aumento del 3,8 per cento.
La discrepanza dei dati tiene conto di un metodo di conteggio diverso
utilizzato dall’Eurispes rispetto all’Istat ma anche volendo adottare la
formula di calcolo tradizionale la variazione risulterebbe del 13 per cento,
tre volte superiore a quella denunciata dall’Istat che come ribadirà agli
organi d’informazione in quei giorni il ministro<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>delle Attività produttive Antonio Marzano
“resta l’unica fonte ufficiale per la rilevazione dei prezzi”. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "new york" , "serif";">3<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Sulla frenetica attività di spaccio delle
lire false negli ultimi mesi prima dell’avvento dell’euro confronta tra gli
altri Enzo Gallotta, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Euro in arrivo, </i>occhio<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> alle lire false,</i> “Il Giornale di
Brescia”, 13 dicembre 2001.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoEndnoteText">
<span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 12.0pt;">4<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>“<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Tramontato ormai l’antico disco in vinile,
vero e proprio oggetto rivoluzionario nell’immediato secondo dopoguerra, il consumo
avviene attraverso forme tecnologizzate: alla radio e alle musicassette si sono
affiancati mezzi di ascolto come i compact disc, il walkman e lo stesso
computer. Accanto all’elemento sonoro si è poi affiancato quello iconico: dalle
trasmissioni televisive, musicalli e di varietà si è passati al videoclip,
strumento di una comunicazione musicale che oggi è anche visiva</i>.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "new york" , "serif";">Stefano
Pivato, La storia leggera, IL Mulino, Bologna, 2002, pag 30.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 18.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 18.0pt; text-align: justify; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: "new york" , "serif"; mso-bidi-font-family: "New York"; mso-fareast-font-family: "New York";"><span style="mso-list: Ignore;">5<span style="font: 7.0pt "Times New Roman";"> </span></span></span><!--[endif]--><span style="font-family: "new york" , "serif";">Giorgio Olmoti, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Torino da bere</i>, Stampa Alternativa, Viterbo, 2002.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 18.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 18.0pt; text-align: justify; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;"><span style="mso-list: Ignore;">6<span style="font: 7.0pt "Times New Roman";">
</span></span></span><!--[endif]--><span style="font-family: "new york" , "serif";">Giorgio
Olmoti, op. cit., pag. 43.</span><span style="font-family: "new york" , "serif"; font-size: 14.0pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 18.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 18.0pt; text-align: justify; text-indent: -18.0pt;">
<span style="font-family: "new york" , "serif";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 18.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 18.0pt; text-align: justify; text-indent: -18.0pt;">
<span style="font-family: "new york" , "serif";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 18.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 18.0pt; text-align: justify; text-indent: -18.0pt;">
<span style="font-family: "new york" , "serif";"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 18.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 18.0pt; text-align: justify; text-indent: -18.0pt;">
<span style="font-family: "new york" , "serif";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-pZ37h4-v-eE/XDn38WhqDWI/AAAAAAAABRA/VIYktHHDx00lS-pdgN9McYoYSTvXI6SOwCLcBGAs/s1600/61jqxagTvWL.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1151" data-original-width="841" height="640" src="https://2.bp.blogspot.com/-pZ37h4-v-eE/XDn38WhqDWI/AAAAAAAABRA/VIYktHHDx00lS-pdgN9McYoYSTvXI6SOwCLcBGAs/s640/61jqxagTvWL.jpg" width="466" /></a></div>
<br /></div>
<!--EndFragment--><br />
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<br />Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-60658527038591495202018-11-02T20:00:00.004+01:002018-11-02T20:00:53.026+01:00mastica e guarda<br />
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<span style="font-size: large;"><span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif;">Dei primi giorni di scuola alle medie, ero alla Ellero di Udine, mi ricordo le prove di evacuazione. Niente di tecnologico, che la cosa più all’avanguardia di quell’istituto lì era la preside che si chiamava Fannì e era una signora avanti negli anni e con un continuo fremito di sopracciglia foltissime che facevan tutt’uno con la montatura tartarugata degli occhiali a lente spessa. Insomma, reduci di recentissimo sisma, certi dicono sismo, ci addestravamo a fuggire con ordine.</span><span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #1d2129; display: inline; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif;"> Un bidello mezzo sciancato passava dall’aula e diceva “uscire” o altra frase concordata. che per quei tempi lì deliranti avrebbe potuto essere anche “uomo in mare” o “tora, tora tora”. Noi ci alzavamo e in fila vociante scendevamo le scale. In cortile c’erano gli altri alunni, almeno quelli raggiunti fino a quel momento dal segnale di evacuazione. Si giocava col frisbee che a quel tempo era una novità sconcertante e c’erano quelli veri comprati al negozio di giocattoli di via Paolo Sarpi o all’Upim, ma la maggior parte erano ricavati dal coperchio del fustino di una certa marca. Questi succedanei del frisbee erano in plastica blu e erano a ben guardare più pesanti e quando ti arrivavano in testa era una manganellata da non scherzarci. Del resto in quello stesso cortile, giocando a calcio con la parabola di un vecchio maggiolone, a me m’hanno tranciato il naso e sarà per questo che a tutt’oggi distinguo solo certi specifici odori tra cui spiccano la pizza, la passera, il cacao, le pagine stampate di fresco, le fragole, la moto, la pelle anche quella dei giubbotti.E con questo mi sono risparmiato di rivelarvi più avanti i miei gusti e il senso ultimo della vita a mio giudizio. Sia come sia in quei giorni era scoppiata la moda delle Big Babol e in classe era un continuo PAF di palloni che esplodevano sulle facce nostre ottuse. si sentiva l' odore di quelle gomme, tipo fragola sintetica, misto agli afrori della nostra età di transito, con le voci che passavano dal falsetto al baritono e un' ombra di baffo che ai più svelti già compariva sul labbro superiore. Poi si è sparsa la voce che il bambino che cantava "Mi scappa la pipì papà", una canzone che all'epoca furoreggiava, era morto per aver masticato un inverosimile bolo di gomme Big Babol e per molti della mia generazione è iniziata l'epoca della prudenza. Abbiamo imparato a guardare il presente virare in storia continuando a masticare piano, come mucche a bordo strada. Ed è stato l'inizio della fine.</span></span>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-6556124766727324572018-11-02T19:39:00.002+01:002018-11-02T19:45:53.564+01:00la domenica delle salme<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-_ZqMjjdthT0/W9yZ7bTj7oI/AAAAAAAAAhY/fevSEI3B4s8e4cQ8U-XjmFUpwhdPc717gCLcBGAs/s1600/saluto-hitler-ok-2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="280" data-original-width="610" src="https://2.bp.blogspot.com/-_ZqMjjdthT0/W9yZ7bTj7oI/AAAAAAAAAhY/fevSEI3B4s8e4cQ8U-XjmFUpwhdPc717gCLcBGAs/s1600/saluto-hitler-ok-2.jpg" /></a></div>
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<a href="https://www.youtube.com/watch?v=-IYXROBDLdE">https://www.youtube.com/watch?v=-IYXROBDLdE</a><br />
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<h3 style="text-align: justify;">
</h3>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<h1 style="text-align: justify;">
La canzone nella storia<o:p></o:p></h1>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">Nel 1984 De Andrè, affiancato
da Mauro Pagani, realizza un album, <i>Creuza de mä</i>, che gioca d’anticipo
rispetto ai tempi e che risulterà essere una perla significativa della
produzione del cantautore ma anche una pietra miliare della storia della musica
italiana(1). Il disco, cantato in genovese, accoglie nei suoi solchi i suoni
del Mediterraneo, frutto di una lunga ricerca di Pagani, poi condivisa con De
Andrè. La conferma di questa ricercata unità culturale del Mediterraneo arriva
proprio dal risultato finale raccolto nel disco, in cui l’uso del genovese
conferisce a quei suoni, prodotti da strumenti difficili e a volte rarissimi,
una musicalità che trasporta l’ascoltatore come poche volte accade. In altre
parole un capolavoro. Riproporsi dopo un gioiello simile al pubblico e ai
critici che attendono la prossima mossa non è cosa facile. Infatti passano
degli anni, spesi in giro in barca con Pagani, a raccogliere altre suggestioni
per quella storia che avevano iniziato a raccontare con <i>Creuza de mä</i>, e
ancora consumati in un progetto mai portato a buon fine sui suoni della
Mongolia, che doveva vedere anche la partecipazione di Vasco Rossi. In buona
sostanza, anni passati da De Andrè a fare il contadino nella sua tenuta
all’Agnata, lasciando che l’idea prendesse forma. Guardando il pascolo e il
cielo e le nuvole.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">Proprio le nuvole. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">Vanno vengono<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">per una vera <o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">mille sono finte<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">e si mettono lì tra noi e
il cielo<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><i>per lasciarci soltanto una
voglia di pioggia. </i>(2)<i> </i><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">Aristofane (3) aveva usato la
metafora delle nuvole per parlare dei sofisti, mettendo Socrate nella stessa schiera,
considerati come cattivi consiglieri, che indicavano ai giovani un modello di
comportamento in antitesi col governo conservatore ateniese. Del resto
Aristofane era un aristocratico e si serviva della sua scrittura, della sua
arte, anche per difendere i suoi privilegi. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">Per De Andrè le nuvole sono il
presagio ombroso sui nostri tempi, il dilagante malcostume che fa della cosa
pubblica la palestra in cui si anabolizzano l’arroganza, l’illegalità e la
sopraffazione. Su questo palpito d’angoscia il cantautore costruisce <i>Le
nuvole</i>, l’album del 1990 che vede ancora la collaborazione con Pagani,
musicologo e polistrumentista. Il disco è diviso in due parti, la prima in
italiano, la seconda in dialetto, a proseguire il racconto affrontato con <i>Creuza
de mä </i>e utilizzando l’italiano come l’ennesimo dialetto, mischiato agli
altri dell’incrocio salmastro del Mediterraneo. Fulcro del disco è <i>La
Domenica delle Salme</i>, una canzone scarna dal punto di vista musicale, con
una chitarra insistente, quasi inchiodata su un unico accordo ossessivo, e
interventi brevi e lancinanti con il violino, il kazoo e una sirena. Già dal
titolo il riferimento è alla Domenica delle Palme, ovvero alla breve euforia
prima della tragica croce e vi si può leggere una metafora del Sessantotto e
delle speranze di quegli anni. Nei giorni in cui De Andrè scrive i versi di
questa canzone molti di quelli che erano negli anni Sessanta sulle barricate,
si proteggono adesso dietro porte blindate e l’occasione persa di far emergere
i valori nuovi sostenuti dalla contestazione ispira al cantautore questa
corrosiva e impietosa canzone. Carica anche di una affilata autocritica, perché
De Andrè si aggiunge alla schiera compatta di quelli che si negano ormai
l’incazzatura, la rabbia per i temi alti e si concedono il ringhio solo quando
direttamente toccati in quelle sicurezze d’abitudine a cui non sanno più
rinunciare. Lo Stato è però il principale obiettivo dei versi taglienti di
questa canzone, in quanto portatore di una subdola dittatura che chiama
democrazia ma che s’è comprata col sorriso delle pubblicità le cellule reattive
della sua gente. Lasciando a regnare su tutto <i>una pace terrificante.</i> <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><i>La domenica delle salme</i>
diventerà anche un video, per la regia di Gabriele Salvatores. Il disco, solo
nel 1990 vende oltre 330.000 copie. Segue una serie trionfale di date nel tour
che promuove il disco, che troveranno testimonianza nell’album <i>1991
Concerti.</i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">La storia nella
canzone<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><i>La Domenica
delle Salme </i>nasce come un’invettiva, come una rasoiata sul
volto della nostra politica peggiore, in barba alla traccia sapiente dei
chirurghi plastici che spianano rughe ma non sanno celare opportunamente certa
voglia di potere. Ancora, <i>La domenica delle salme</i> è il canto allucinato
irrigidito in uno stato di trance indotta, la rivelazione. Perché se questa
canzone voleva essere una riflessione sull’Italia degli anni Ottanta, grondante
arroganza e stilismo e onnipotenza partitica, e sul sogno utopico inghiottito
nel buco nero della memoria dei Settanta, alla fine risulta essere l’impietoso
specchio dove un intero secolo, alla chiusura delle sue stagioni, potrebbe
guardarsi per un’ultima sistemata alla maschera rossa della morte che indosserà
al gran ballo finale. Questa canzone è una delle composizioni più marcatamente
segnate dal senso della storia, e sulla spettrale passerella costruita sul
vuoto degli ideali dei nostri giorni sfilano, agghiaccianti, le ombre della
memoria oscura del Novecento. Rivelazione dicevamo e, nel rispetto della
profonda spiritualità laica di De Andrè, non pochi scrupoli si sono fatti
avanti tra i nostri appunti nel definirla tale, ma quell’incipit con la fuga
del poeta della Baggina non può non lasciare attoniti nella sua coincidenza. La
Baggina è la denominazione popolare del Pio Albergo Trivulzio, una casa di
riposo milanese passata agli onori della cronaca, perché da un’indagine su
tangenti e appalti in quella struttura, gestita dal socialista Mario Chiesa,
parte l’azione della magistratura milanese, che colpisce pesantemente la rete
clientelare e di finanziamento illecito alle strutture partitiche.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">Le circostanze dell’arresto di Chiesa sono di estremo
interesse anche sotto il profilo simbolico. I magistrati milanesi erano stati
messi al corrente dei suoi maneggi da Luca Magni, titolare di una piccola
impresa che aveva ottenuto l’appalto delle pulizie del Pio Albergo Trivulzio,
la casa di riposo di cui Chiesa era presidente. Come altri imprenditori e
fornitori nella sua stessa situazione, Magni si racava abitualmente a pagare le
tangenti in contanti nell’ufficio di Chiesa presso il Pio Albergo.<span style="font-style: normal;">(…) </span>Il magistrato Antonio Di Pietro ne fu
informato, e Magni andò a pagare la tangente successiva con un microfono
nascosto nella sua persona e i carabinieri a due passi. <span style="font-style: normal;">(4)<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><span style="font-style: normal;">In poco
tempo, con un effetto valanga, l’operazione </span>Mani
Pulite<span style="font-style: normal;"> fa cadere nella
sua rete politici e imprenditori. Le comunicazioni giudiziarie partono ogni
giorno a decine dal Palazzo di Giustizia milanese (5). I partiti più colpiti da
questa offensiva sono la Democrazia cristiana e il Partito socialista (6). <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large; font-style: normal;">Da Milano
l’indagine si estende nel corso del 1993 all’intero territorio nazionale,
rivelando mille piaghe purulente nelle amministrazioni locali e la connivenza
tra apparati politici e grande industria.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">L’ammontare delle tangenti versate nelle casse dei partiti
e finite nelle tasche dei mediatori, nei conti svizzeri e nei paradisi fiscali
di mezzo mondo diventava sempre più cospicuo; si parlava ormai di centinaia di
miliardi e la maxitangente pagata per il riacquisto da parte dello Stato delle
azioni della famiglia Ferruzzi dopo il fallimento della fusione ENI-Montedison
veniva valutata addirittura attorno ai mille miliardi. <span style="font-style: normal;">(7)</span><span style="font-style: normal;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">Ai tempi della stesura de <i>La
Domenica delle Salme</i> lo scandalo della Baggina e il successivo sollevamento
del coperchio sul calderone ribollente di Tangentopoli, ancora non aveva
riempito le pagine dei giornali e le aule dei palazzi di giustizia. Eppure, se
anche non vogliamo parlare di rivelazione, dobbiamo convenire che De Andrè, con
un istinto forse affinato anche da certe travagliate esperienze personali (8),
annusa nell’aria il pericolo corso dalla libertà individuale. Mentre il letto
del poeta in fuga, brucia sulla strada di Trento, e già a nominarla quella città
evoca altri fantasmi (9) che poi prenderanno forme definite con lo scorrere dei
versi. E il presentimento, all’evocazione di Trento, trova conferma nei versi
successivi, quando Renato Curcio, nei passi obbligati della sua cella, viene
esplicitamente citato. De Andrè lo evoca per parlare dell’uso della giustizia
che obbliga al carcere un uomo, certamente ideologicamente coinvolto nella
lotta armata, ma a cui non sono ascritti delitti e che porta su di sé la colpa
di non essersi dissociato. E per la Gallura circolano liberi i sequestratori
del cantautore, beneficiari di quella legge che confonde la delazione col
ravvedimento. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><i>Il riferimento a Curcio è preciso. Io dicevo semplicemente che non si
capiva come mai si vedevano circolare per le nostre strade e per le nostre
piazze, piazza Fontana compresa, delle persone che avevano sulla schiena
assassinii plurimi e, appunto, come mai il signor Renato Curcio, che non ha mai
ammazzato nessuno, era in galera da più lustri e nessuno si occupava di tirarlo
fuori. Direi solamente per il fatto che non si era pentito, non si era
dissociato, non aveva usufruito di quella nuova legge che, certamente, non fa
parte del mio mondo morale… Il riferimento poi all’amputazione della gamba,
voleva essere un richiamo alla condizione sanitaria delle nostre carceri. </i>(10)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">Curcio il carbonaro, è quindi
pretesto per parlare anche delle condizioni delle prigioni italiane, ancora
piene di detenuti politici di destra e di sinistra. Il nesso tra carcere e
società è sempre stretto. Il meccanismo detentivo si propone da sempre due
scopi: il recupero dei soggetti devianti e l’allontanamento dei pericolosi dal
consesso civile. Dunque allontanamento e recupero sono due aspetti racchiusi in
una stessa funzione, con evidenti problemi di gestione, considerata la
contraddizione insita nelle due finalità. Per questo il sistema detentivo
necessita di essere continuamente riformato. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">Se nei primi decenni
dell’industrializzazione il carcere è una struttura di adeguamento alla
fabbrica, in cui i detenuti vengono avviati alla produzione progressivamente,
con l’avvento della società del benessere e con la richiesta di
specializzazioni del sistema produttivo, questo criterio viene progressivamente
abbandonato e il carcere diventa lo strumento del controllo sociale. Nelle
società avanzate la detenzione serve a disciplinare le irrequietezze, le
insofferenze, le aspettative che esse stesse hanno generato; le celle si
riempiono prevalentemente di individui che vivono ai margini della società
opulenta o la rifiutano. A raccontare quelle ore di cella e le passeggiate e
l’isolamento ci si prova con successo Giuliano Naria, costretto a passare in
carcere nove anni e sedici mesi della sua vita perché sospettato d’essere un
brigatista rosso e in seguito prosciolto da ogni accusa. Il suo libro, <i>I duri</i>,
più di ogni dato statistico restituisce la situazione carceraria degli “anni di
piombo”, fatti non solo di detenuti politici ma anche di comuni legati ai
diversi clan e autori di eclatanti gesta criminose, e per lo stile con cui è
scritto e anche, a tratti, per l’ironia che traspare nel raccontare certi
episodi, si rivela anche una prova letteraria di ottimo livello.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText2" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">Ho alzato la testa e ho visto un’eternità di giorni assenti, una
sfilata di solitudini senza termine. Ho aperto la scatola di salsa di pomodoro
che mi ero portato dall’Asinara facendola in barba alle guardie e ai caramba,
ho montato il cannone e sono andato in cerca dell’assoluto”, così ha raccontato
Piero Montecchio al giudice istruttore di Brescia che gli aveva chiesto perché
avesse sequestrato quattro agenti e tre infermieri.<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">Il carcere recide sistematicamente tutti i tuoi rapporti,
vuole imperativamente diventare il tuo unico interlocutore. Annebbia e confonde
la tua fantasia e la sostituisce con il nulla di un’eternità destinata a guardare
verso il vuoto. Si può resistere soltanto avendo chiara consapevolezza, o
credendo di averla, di ciò che si cerca e di ciò che si è disposti a rischiare.<span style="font-style: normal;">(11)<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">La Domenica delle Salme <span style="font-style: normal;">viene celebrata per quelli nelle
celle e per quelli fuori, che contano sulla sicurezza della loro libertà e che
invece vengono lentamente schiacciati dal potere invadente che scandisce i suoi
tempi non sulle stagioni ma sull’ora dell’aperitivo. Un’Italia da bere,
assistendo alla tragedia col bicchiere sospeso tra due dita e i salatini lì,
accanto al modulo per accendere l’ennesimo finanziamento alla vita. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large; font-style: normal;">E non
solo il nostro Paese. Il senso della storia che scandisce l’accordo insistente
della canzone allarga la visione oltre l’Italietta a un passo dalla Seconda
repubblica, anch’essa ampiamente prevista in questi versi. I Polacchi ai
semafori lustrano gli occhi al loro sogno d’occidente mentre i nostri
imprenditori d’assalto colonizzano l’Est europeo e i nuovi mercati dove la
manodopera è a costi bassissimi e si può produrre con significativi guadagni
merci che poi vengono reintrodotte sui mercati occidentali. Nel giugno del 1989
in Polonia si svolgono le prime elezioni libere dell’Est europeo. Il Partito
comunista polacco viene prepotentemente sconfitto, mentre trionfa Solidarnosc
(12). Di li a poco anche in tutti gli altri stati dell’Est, quasi sempre in
maniera pacifica (13), con un effetto domino, passano dal regime comunista alla
democrazia. Prima tocca all’Ungheria e poi è la volta della Germania dell’Est,
col simbolico crollo del muro che divideva in due la città di Berlino (14). E i
fantasmi del Novecento più nero, con la scimmia del quarto Reich che balla la
polka sopra il muro, sembrano riproporsi nelle notti di quegli anni Ottanta,
respirate coi polmoni pieni del gas esilarante che un apposito Ministero del
sorriso si occupa di liberare nelle strade. Perché le fucilate d’un tempo sono
imbarazzantemente fuori moda nell’Europa degli anni Ottanta. E allora si può
pensare anche alla piramide di Cheope, tutta da ricostruire<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large; mso-bidi-font-family: "New York";">masso per masso<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large; mso-bidi-font-family: "New York";">schiavo per schiavo<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">comunista per comunista.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large; font-style: normal;">Il crollo
del muro segna anche la fine della guerra fredda, ovvero del confronto tra Stati
Uniti e Unione Sovietica, giocato sullo scenario internazionale. A risentirne,
tra i paesi occidentali, è, insieme alla Germania che si riunifica, soprattutto
l’Italia, il paese del blocco occidentale con il più forte partito comunista,
che si era giovata di speciali attenzioni da parte dei paesi membri
dell’alleanza occidentale. In contropartita il nostro paese doveva garantire
lealtà all’alleanza e l’accettazione di una condizione di particolare tutela da
parte degli Stati Uniti, in relazione ai rapporti tra i governi della
repubblica e il Partito comunista.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">Con la fine della guerra fredda e il crollo del comunismo,
veniva meno quella rete di protezione che era stata stesa per rafforzare la
democrazia italiana. Ne rimanevano indeboliti i partiti di governo che se ne
servivano per consolidare il loro sistema di potere e che dai rapporti speciali
con gli Stati Uniti derivavano una particolare legittimazione, mentre sul
versante dell’opposizione il crollo del comunismo internazionale provocava la
profonda crisi di quello italiano. <span style="font-style: normal;">(15)<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><span style="font-style: normal;">Sarà a
partire da questa crisi di baluardi ideologici ma anche dalla paralisi della
politica tradizionale di fronte all’assalto della magistratura di </span>Mani pulite<span style="font-style: normal;"> che si costruirà la parabola politica del trionfatore della
Seconda Repubblica, Silvio Berlusconi. Proprietario di un gruppo considerevole
che poggia le sue fondamenta nell’edilizia e nell’editoria, il futuro
presidente del consiglio, si incorona salvatore della patria, che considera
scempiamente governata per quarant’anni per colpa dei comunisti. E chi meglio
di lui, proprietario delle televisioni più viste e dei giornali più letti e
della pubblicità più efficace e dei comici più salaci e dei tragici più
commoventi può rapire le coscienze che trovano sollievo in quel già citato gas
esilarante.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">Ora, dentro una situazione di questo tipo, pericolosamente
vicina allo sfascio dell’Impero, mi sembrava giusto intervenire: con la satira,
con l’ironia, con la “denuncia sociale”. Un po’ come avevano fatto, certo
meglio di me, Apuleio con L’asino d’oro e Petronio col Satyricon. <span style="font-style: normal;">(16)<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large; font-style: normal;">Mentre
nelle strade si celebra il funerale di Utopia e l’atmosfera richiama certe
pellicole da sopravvissuti al dopobomba, De Andrè non risparmia le sferzate
agli stessi cantautori<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large; mso-bidi-font-family: "New York";">voi che avete cantato sui trampoli e in
ginocchio<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large; mso-bidi-font-family: "New York";">con i pianoforti a tracolla vestiti da
Pinocchio<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large; mso-bidi-font-family: "New York";">voi che avete cantato per i longobardi e per i
centralisti<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large; mso-bidi-font-family: "New York";">per l'Amazzonia e per la pecunia<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large; mso-bidi-font-family: "New York";">nei palastilisti<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large; mso-bidi-font-family: "New York";">e dai padri Maristi<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large; mso-bidi-font-family: "New York";">voi avevate voci potenti<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large; mso-bidi-font-family: "New York";">lingue allenate a battere il tamburo<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large; mso-bidi-font-family: "New York";">voi avevate voci potenti<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">adatte per il vaffanculo<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">La Domenica delle Salme,<span style="font-style: normal;"> la canzone, che ha attraversato la
memoria del Novecento, per riferimenti precisi e per atmosfere accennate, si
chiude con un frinire di cicale, inutile vibrante protesta senza seguito,
ultima voce di dissenso assenso.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 36.0pt; text-indent: -36.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><span style="mso-list: Ignore;">(1)<span style="font-stretch: normal; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal;">
</span></span><!--[endif]--><span style="font-style: normal;">Creuza</span> de
mä<span style="font-style: normal;"> riceve moltissimi riconoscimenti anche
internazionali. Tra i più significativi ricordiamo il premio assegnato all’undicesima
edizione del Club Tenco, come miglior album e migliore canzone in dialetto
dell’anno. La rivista “Musica e dischi” alla fine del 1984 interpella cento
critici musicali per un referendum che elegge miglior disco della categoria
leggera e della categoria rock. A coronamento di questi successi, arriva la
dichiarazione di David Byrne, già leader dei Talking Heads e grande esploratore
delle contaminazioni sonore, dichiara che </span>Creuza de mä<span style="font-style: normal;"> è uno dei suoi dischi preferiti in assoluto.</span><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 36.0pt; text-indent: -36.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><span style="mso-list: Ignore;">(2)<span style="font-stretch: normal; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal;">
</span></span><!--[endif]--><span style="font-style: normal;">Versi tratti dal
brano </span>Le nuvole, <span style="font-style: normal;">contenuto nell’omonimo
album.</span><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 36.0pt; text-indent: -36.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><span style="mso-list: Ignore;">(3)<span style="font-stretch: normal; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal;">
</span></span><!--[endif]--><span style="font-style: normal;">L’ateniese
Aristofane,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>(445 ca. –385 ca. a.C.) è il
più celebre commediografo dell’antichità. La sua produzione è particolarmente
testimoniata perché ci sono pervenute ben undici commedie intere della sua
produzione che ne doveva comprendere circa una quarantina. Le sue commedie, in
cui si mischiano l’osservazione finissima della realtà, la buffoneria
caricaturale e un delicato lirismo, sono dominate da una conduzione letteraria
brillante e da un’inesauribile </span>vis comica<span style="font-style: normal;">,
che a volte può apparire grossolana ma che sa utilizzare anche un’ironia
sottile e allusiva.</span><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 36.0pt; text-indent: -36.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><span style="font-style: normal;"><span style="mso-list: Ignore;">(4)<span style="font-stretch: normal; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal;">
</span></span></span><!--[endif]--><span style="font-style: normal;">Paul Ginsborg, </span>L’Italia
del tempo presente<span style="font-style: normal;">, Einaudi, Torino, 1998, pag.
478.</span> <span style="font-style: normal;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 36.0pt; text-indent: -36.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><span style="font-style: normal;"><span style="mso-list: Ignore;">(5)<span style="font-stretch: normal; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal;">
</span></span></span><!--[endif]--><span style="font-style: normal;">Alla fine del
1992 si calcola che il numero dei parlamentari inquisiti aveva superato il 15%
del totale.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 36.0pt; text-indent: -36.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><span style="font-style: normal;"><span style="mso-list: Ignore;">(6)<span style="font-stretch: normal; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal;">
</span></span></span><!--[endif]--><span style="font-style: normal;">Nel febbraio del
’93 il ministro della Giustizia Claudio Martelli, raggiunto da un avviso di
garanzia, per concorso in bancarotta del Banco Ambrosiano, è costretto a
dimettersi. A distanza di pochi giorni tocca anche al segretario del PSI,
Bettino Craxi, che abbandona la segreteria del partito, dopo diciassette anni
in cui ha mantenuto incontrastato il vertice. In marzo e aprile dello stesso
anno i democristiani Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani sono raggiunti da
comunicazioni giudiziarie. Il processo ad Andreotti, accusato di associazione
mafiosa, si protrae per anni e rappresenta, in un certo senso, il processo alla
Prima Repubblica di cui questo politico era, nel bene e nel male, figura iconica.
Alla fine Andreotti viene prosciolto da ogni accusa.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 36.0pt; text-indent: -36.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><span style="font-style: normal;"><span style="mso-list: Ignore;">(7)<span style="font-stretch: normal; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal;">
</span></span></span><!--[endif]--><span style="font-style: normal;">Giuseppe
Mammarella, </span>L’Italia contemporanea 1943-1998<span style="font-style: normal;">, Il Mulino, Bologna, 1998, pag. 570.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 36.0pt; text-indent: -36.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><span style="font-style: normal;"><span style="mso-list: Ignore;">(8)<span style="font-stretch: normal; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal;">
</span></span></span><!--[endif]--><span style="font-style: normal;">Dal 27 agosto al
22 dicembre del 1979 De Andrè e la moglie Dori Ghezzi rimangono nelle mani dei
sequestratori che li prelevano dalla loro azienda agricola in Sardegna e li
costringono a rimanere incatenati nei boschi fino al pagamento del riscatto,
che ammonta a seicento milioni di lire e che fu versato dal padre del
cantautore. Da questa esperienza De Andrè trasse ulteriori conferme alla sua
tesi sulle persone costrette ai margini della storia e l’album che compose con
Massimo Bubola e con il quale si ripresentò al suo pubblico dopo la brutta
esperienza sarda (il disco, senza titolo, viene anche detto </span>L’indiano, <span style="font-style: normal;">a ragione di un pellerossa a cavallo disegnato sulla
copertina) è un parallelo tra gli indiani d’america e i pastori sardi, due
realtà schiacciate sotto il peso del nuovo che avanza e trita identità. Siamo
nel 1981 e ancora sono in pochi a parlare dei pericoli di un sistema
globalizzante.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 36.0pt; text-indent: -36.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><span style="font-style: normal;"><span style="mso-list: Ignore;">(9)<span style="font-stretch: normal; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal;">
</span></span></span><!--[endif]--><span style="font-style: normal;">Nel 1968 a
Trento la facoltà di sociologia che aveva fatto arrivare nella cittadina
ragazzi da tutte le parti d’Italia, vede nascere uno dei focolai della protesta
più accesi, che successivamente da stimolo alla formazione delle Brigate Rosse,
il gruppo eversivo di sinistra più noto e agguerrito. Da Trento parte
l’esperienza politica e umana di Renato Curcio e Margherita Cagol. Il primo lo
ritroveremo ancora nel corso dell’analisi de </span>La domenica delle salme<span style="font-style: normal;">, mentre per quanto riguarda la Cagol, compagna di
vita di Curcio, passata alla lotta armata, viene uccisa in un violento scontro
a fuoco in un cascinale, presso Acqui Terme.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 36.0pt; text-indent: -36.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><span style="font-style: normal;"><span style="mso-list: Ignore;">(10)<span style="font-stretch: normal; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal;">
</span></span></span><!--[endif]--><span style="font-style: normal;">Doriano Fasoli, </span>Fabrizio
De Andrè. Passaggi di tempo<span style="font-style: normal;">, pagg. 68, 69.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 36.0pt; text-indent: -36.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><span style="font-style: normal;"><span style="mso-list: Ignore;">(11)<span style="font-stretch: normal; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal;">
</span></span></span><!--[endif]--><span style="font-style: normal;">Giuliano Naria, </span>I
duri, <span style="font-style: normal;">Baldini & Castoldi, Milano, 1997,
pag. 37. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 36.0pt; text-indent: -36.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><span style="font-style: normal;"><span style="mso-list: Ignore;">(12)<span style="font-stretch: normal; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal;">
</span></span></span><!--[endif]--><span style="font-style: normal;">Solidarnosc era
un sindacato indipentdente sorto in Polonia nell’agosto del 1980, sull’onda
degli scioperi dei cantieri Lenin a Danzica. Il suo principale esponente Lech
Walesa fu incarcerato nel dicembre del 1981 e fino al 1989 l’organizzazione agì
in clandestinità. Nel 1989, con la caduta del regime comunista Solidarnosc
ottenne grandi consensi ma negli anni a venire la sua spinta propulsiva andò
esaurendosi fino quasi a fa scomparire l’intera organizzazione.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 36.0pt; text-indent: -36.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><span style="font-style: normal;"><span style="mso-list: Ignore;">(13)<span style="font-stretch: normal; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal;">
</span></span></span><!--[endif]--><span style="font-style: normal;">Dei paesi
europei del blocco comunista, solo la Romania ebbe un passaggio al sistema
democratico violento, che culminò con la condanna a morte del dittatore
Ceausescu.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 36.0pt; text-indent: -36.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><span style="font-style: normal;"><span style="mso-list: Ignore;">(14)<span style="font-stretch: normal; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal;">
</span></span></span><!--[endif]--><span style="font-style: normal;">Nel 1961, ad
opera della RDT, fu eretto un muro che impediva il passaggio e quasi il
contatto visivo tra il settore Est e quello Ovest della città. Il 9 novembre
una folla festante assaliva il muro con arnesi più o meno improvvisati. In
pochi giorni il muro veniva demolito e i suoi resti diventavano merce da
vendere ai turisti, con tanto di certificato che ne attestava l’originalità.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 36.0pt; text-indent: -36.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;"><span style="font-style: normal;"><span style="mso-list: Ignore;">(15)<span style="font-stretch: normal; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal;">
</span></span></span><!--[endif]--><span style="font-style: normal;">Giuseppe
Mammarella, </span>L’Italia contemporanea 1943-1998<span style="font-style: normal;">, Il Mulino, Bologna, 1998, pag. 543.<o:p></o:p></span></span></div>
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<i><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif; font-size: large;">Cesare G. Romana, Fabrizio De Andrè, amico fragile,
Sperling & Kupfer, Milano, 1991, pag. 145.</span></i><!--EndFragment-->
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-23152793598254502902018-10-10T18:43:00.000+02:002018-10-10T18:43:02.508+02:00l'ultimo treno<br />
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<span style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;">Sono su Italo, direzione Torino. Quella sensazione d'essere Garabombo che si impossessa di me nelle giornate romane gradualmente svanisce e già a Settebagni riprendo nozione dei miei contorni, per quanto imprecisi all'origine. Viaggio in prima grazie alle offerte e aspetto con ansia le ragazze di "qualcosa da bere? Da mangiare dolce o salato?". A pranzo ero felice per aver trovato una data a Venezia, ora mi hanno comunicato che s'erano sbagliati. Vabbè, sarà per la prossima e</span><span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #1d2129; display: inline; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;"> quando dico cosí guardo a questo vetro appannato che da decenni chiamo pomposamente futuro. Che cazzo di fatica e chilometri e misurarsi con l'estinzione dell'umano necessario Ho cambiato case e lavori e letti e passi e a sentirmi addosso i loro "beato te" ho cercato di vendere in saldo la bella immagine d'arte e passione che tanto piace in cambio di una cena per me e i miei. Mi capita di incontrare gente che dice che mi legge e ride tantissimo e tutte le volte sorrido e quello che sta dentro ficcato tra l'aorta e l'intenzione ringhia "Ridi in faccia a questo e paga un giro".<br />Davanti a me c'è una carina, sui quaranta Le scappa la vita dalle mani e conosco amici che campano di carne frodata a quell'urgenza che prende le femmine e i maschi nella stagione di mezzo. Come farsi chiamare chef quando distribuiscono l'ultima zuppa ai condannati a morte.<br />L'agro romano sfila dal finestrino in un tramonto che non fotograferò perché l'egoismo può essere una possibilità che mi mette in pari con le risate.</span><br />
<span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #1d2129; display: inline; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span>
<span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #1d2129; display: inline; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span>
<span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #1d2129; display: inline; font-family: system-ui, -apple-system, system-ui, ".SFNSText-Regular", sans-serif; font-size: 14px;"><br /></span>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5628778795071232787.post-293758146642340152018-08-18T19:12:00.003+02:002018-08-18T20:06:29.094+02:00Di me e di Claudio Lolli e delle strade vuote<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-1ZetnynU26w/W3hPaoG1nTI/AAAAAAAAAgw/lDRUdOFhnBQH4vdI6urz5s0GQjmccIXQwCLcBGAs/s1600/la-rivoluzione-ci-ha-delusi-la-storia-di-disoccupate-le-strade-dai-sogni-di-claudio-lolli.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="697" data-original-width="700" height="397" src="https://3.bp.blogspot.com/-1ZetnynU26w/W3hPaoG1nTI/AAAAAAAAAgw/lDRUdOFhnBQH4vdI6urz5s0GQjmccIXQwCLcBGAs/s400/la-rivoluzione-ci-ha-delusi-la-storia-di-disoccupate-le-strade-dai-sogni-di-claudio-lolli.jpg" width="400" /></a></div>
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Un sogno di tutta la vita. Una grammatica nuova da inventare a martellate, verbi da coniugare come fossero sposi e sostantivi da declinare come fossero le generalità davanti alla sbirraglia e il verbo essere che guizza nei lombi e diventa copula. Ancora, preposizioni come fossero la teoria di una raffinatissima arte amatoria, accenti come se ognuno fosse portatore di un dialetto da far insistere sulla lingua di stato e poi una madre da chiamare sasso e gli amici da chiamare piedi. Il mio sogno di tutta una vita, e lo sanno bene quelli che mi frequentano, è parlare con parole impastate di suono ma senza un senso recuperabile da un dizionario e gli spigoli sono Takete e le curve Maluma. Cammino per strada e parlo lingue aliene, mai esistite, rubate a un bestiario medievale scritto in un carattere perduto. Le regole sovvertite del linguaggio sono la mia ossessione. E io lo so bene da dove arriva questo vizio dell'alfabeto fantastico. Dentro ci sono Borges, e i diari scritti da Darwin sul Beagle e i graffiti per strada e nei cessi degli autogrill e tutte le lingue minime, i codici dei contrabbandieri e le grammatiche di confine, i tatuaggi veri e i commenti nei social. E la tua analfabetizzazione come pratica della rivolta.<br />
<br />
Oggi sei morto e lo vengo a sapere mentre sto qui, seduto nel portico di una masseria alle porte di Matera, una città che mi ha accolto per trent'anni e che adesso non riesco quasi a guardare, che non è più alla portata del mio respiro. Chissà per te Bologna. Sono qui, con il cane sotto il tavolo e questo odore di terra maledetta e sudore e la salita su cui arrancano convogli di turisti da tutto l'universo, attratti dall'attrazione, dalla voglia di esserci come si vede in televisione. Sei morto e a leggerlo resto con il gesto fermato a mezzo di un bicchiere da portare alla bocca. Chissà tu ora e chissà il tuo bicchiere ultimo se è già stato lavato. Alla fine degli anni settanta son cresciuto nel lembo ultimo della città, con i palazzi appoggiati al bordo dell'autostrada. Conciavamo le nostre pelli giovani con quei suoni d'oltre manica duri e rabbiosi che stavano diventando il nostro fortilizio, la linea difensiva che mettevamo tra noi e il mondo tutto. Avevamo pesanti cappottoni neri e anfibi e capelli che ci tagliavamo tra noi come in un rito di socializzazione tra primati. E a casa avevo un giradischi mono che era servito per certi vinili con le favole che c'era una voce che ti raccontava Pinocchio e ti ricordava di girare la pagina del libro a ogni trillo di campanello. Dopo anni di abbandono quel giradischi lo avevo recuperato all'uso e ci avevo attaccato le casse che originariamente erano sul bauletto di una vespa px, al tempo le vespe avevano pure lo stereo se volevi e sognare era ancora un esercizio di ridefinizione cromatica del presente e una possibilità. Chissà se già si stavano disoccupando le strade dai sogni. A dire il vero appeso alla parete della mia stanza c'era tutto il bauletto della vespa, nemmeno lo sforzo di smontarlo, con le casse e lo stereo e due fili accroccati per alimentarlo con la presa ma i dischi dovevo sentirli con quel piatto di quando ero piccolo, regalo di qualche natale dai parenti, che era così povero che per anni ho pensato che l'espressione "il piatto piange" fosse riferito alla misera tecnologia che potevo permettermi per sentire i miei dischi. Chissà come sentivi i dischi tu. Poi con i soldi che mettevo via, in bilico sulle monete di resto quando mi mandavano a comprare il pane e il latte, che prima una famiglia poteva sentirsi immortale fino alla data di scadenza del cartone del latte, sono andato alla Discotex. Allora stavamo ore a darci ragione dell'utilità del pollice sovrapponibile, facendo scorrete rapidi i dischi e i dischi e ancora i dischi dentro lo scaffale e sapevamo tutte le copertine e tutti i titoli e chi suonava perchè tutto era compreso in quel linguaggio complesso e partecipato che era la musica. Chissà se ti piaceva davvero quella copertina che non mi ha mai convinto. E ho comprato "Aspettando Godot" e quel pugno di anni che avevo s'è lasciato cullare da quelle tue canzoni che erano diventate per me una cosa intima, personalissima e incondivisibile. Certo, alla fine gli altri avevano trovato conferma ai loro sospetti e quello che sembrava un peccato inconfessabile nell'era del suono duro e sporco e dei cappottoni e degli anfibi è diventato il mio segno distintivo. Ascoltavo Claudio Lolli e ero pronto a difendere la mia scelta contro tutti. E mi facevo fare le cassette e le mandavo avanti e indietro a riempire la mia stanza tutte le volte che mi capitava di stare in casa. C'erano mille altre canzoni ma le tue erano un privilegio, un' esclusiva irrinunciabile al mio mondo pesato sulle rinunce. Chissà a cosa hai rinunciato tu, che tutti abbiamo una quota di no da regalarci. Insomma, sei diventato parte della mia vita con le tue canzoni.<br />
<br />
Ora son questo qui, dice che faccio un lavoro che non si capisce, in bilico sulle parole scritte e dette ma un fatto è certo, i miei compagni di viaggio sono raramente storici dell'arte e esperti di linguaggi mediatici e didattica, come ci si aspetterebbe dal mio mestiere, ma piuttosto negli anni ho imparato a farmela con i musicisti e i cantastorie e a calcare con loro palchi portandomi addosso le parole mie inventate e non e pure quelle che ti ho rubato e ho copiato alle pagine degli appunti del mondo. Tiro a Campari insomma. Con te ci siamo incrociati un paio di volte. Il circo premiante della canzone autoriale a marchio d'origine t'aveva a lungo ostracizzato e poi riguadagnato, nel comodo di un segnale da dare per il rinnovamento e per un disco che, perdonami, non era certo dei migliori, decretandoti recentemente cantautore dell'anno. Chissà da quanti anni speravi non capitasse. Ma io di queste cose me ne son sempre fregato e me ne son battuto le palle di quel turbine di vocine che oggi hanno diritto di esistere perchè la voce non conta nulla e tutti confondono l'opinione con la conoscenza e si sentono portatori di sacre verità. Chissà che ne pensavi tu. Qualsiasi cosa succederà giuro che, questo è il culto mio della morte, non mi permetterò mai di azzardare che tu avresti detto così e fatto colà. Da adesso a sempre. Non si parla mai e mai e mai per bocca dei morti. Ora troverai mille amici che non sospettavi da vivo ma l'amicizia oggi si misura su lunghi elenchi digitali di persone che non hai visto mai e quindi tutto ha il peso del nulla. Fottitene e fottiamocene. Di te mi resta una canzone scritta sul muro e parafrasando Mutis se ci sarà qualcosa d'altro ci rivedremo altrimenti non importa. Io credo che non importerà. Ne sono quasi certo ma la vita si pesa con le incertezze. E ti regalo il dispiacere di oggi, qui, davanti a questa terra invasa dal sole e con questo gesto del portare il bicchiere alle labbra che concludo come fosse un saluto. Io alla fine ho trovato la mia Anna di Francia. Questo solo da anni volevo dirti.<br />
<br />
Grazie.<br />
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<br />Unknownnoreply@blogger.com0