domenica 28 luglio 2013

Masso che cola.





Gressoney, ore 15. 
Scarichiamo la bici di Dani e lui salta sull'impianto di risalita, direzione piste di downhill che è quanto di più vicino al suicidio si possa praticare usando una bici. lo vediamo salire verso il cielo come fosse Remedios e io resto giù che non è detto che debba spaccarmi un osso ogni mese che arriva. Ce ne andiamo al bar e prendo una fetta di torta di mirtilli con la panna. L'assaggia anche il cane che sta sotto il tavolo al fresco e non mi spaccate i coglioni con la dieta del cane che qui si muore di piacere ogni giorno e con impegno. Ste si lascia sfiorare dal sole anche se qua non fa per niente caldo. Siamo nel cuore della montagna. Non ci sono altri avventori se si esclude una coppia tuttosport, uno di quegli organismi complessi che si sviluppano in città, generate a partire dall'avvento dei megastore sportivi ai margini delle metropoli. Sono attrezzati per affrontare almeno sei discipline olimpioniche e anche un paio di attività in attesa di riconoscimento internazionale. Restano tutto il giorno seduti, impegnati nella sollecitazione clitoridea dei loro tablet che sfiorano con l'indice frenetico. Quando parlano tra loro si respira un velo d'astio a fior di sorrisi dipinti come in faccia alle bambole. Al tramonto li rivedremo caricare la pancia del cargo Subaru e ripartire alla volta della città. Torneranno a essere magifici animali da dehor, avendo belle storie d'avventura da spendere. Farà fede l'abbronzatura stesa a più mani nella lampaderia gestita dai cinesi proprio in corso qualcosa, angolo corso qualche altra cosa. Di solito ci vanno in pausa pranzo. Ottimizzano.
Ci alziamo insieme al vento che si fa teso sul filo dell'acqua portata giù d'impeto dal ghiacciaio. Prendiamo la via dei boschi, che è sempre un bel segno di resistenza.

ore 19.45
Nella piazzetta di Gressoney c'è una festa western e tutti sono vestiti come fossimo sul seti di Hazzard, in un territorio riferibile all'immaginario condiviso, nutrito da film e fumetti. Forse per riuscire a immaginare come può essere una festa western a Gressoney facciamo prima a immaginare una festa napoletana in un paesotto del Kansas. C'è l'rchestra dal vivo e sono bravi sul serio. Gente di mestiere che mi ricorda la scena dei fratelli Blues quando arrivano al locale country. Suonano anche Johnny Cash, grazie a dio, e la gente si muove all'unisono in una sorta di danza macabra di bella derivazione medievale. Anziani e affini ballano con i cappelli da cowboy. La torta di mirtilli è molto più buona di quella del pomeriggio e la salsiccia con i fagioli costa davvero poco e fa la parte sua mentre il freddo comincia a farsi sentire. Da un megafono qualcuno invita la gente alle finali di toro meccanico. Lombardi e piemontesi con i vestiti elegantini si muovono per quelle strade in nome dell'aria frizzantina che fa tanto bene. Professionisti e mogli verniciate e lucidate passano portando con stile scarponcini e giacchette tecniche. Hanno la faccia da squali ma qui respirano corto sulla salita e sudano tutta la coca che si sono pippati. Emuli di quell'avvocato che tanto ci ha segnati tutti.
Il cane fa ii conti con la recente cicatrice, con quella bella indifferenza che ostentiamo tutti in famiglia per le cicatrici. Buona estate a tutti.




mercoledì 24 luglio 2013

Passarlo liscio







Ieri sera al parco. Ci andiamo spesso a cena, è davanti casa e quando verso le dieci di sera riusciamo a radunare i pezzi della nostra tribù sganghera non è più tempo di fornelli e per un pugno di euro ci sediamo davanti a un piatto di porco abbrustolito e a quell'ora il vecchio al bancone ci carica i piatti di plastica di porzioni mica da ridere. E ci piazziamo lì, su quei tavoli lunghi di legno e attorno a noi gente di tutte le parti del mondo che fa i conti con il tempo libero che è pur sempre il tempo che resta. I cani sotto il tavolo se la giocano con le ossa e i pezzi di pane. E c'è l'orchestra del palco grande che sarebbero due computer e un vecchio bavoso con i radi capelli tinti che costruiscono sul cranio scivoloso una struttura che dovrebbe essere un succedaneo seduttivo della capigliatura ma che più propriamente ricorda un'opera di Tatlin. Nella pista, con le basi registrate si agita una budrigona cotonatissima che negli anni sessanta s'era sognata d'essere una cantante e ora gorgheggia in un improbabile spagnolo canzoni d'amore e porta la pelle sblusata sui pantaloni a vita alta e il suo sudore si mischia al fumo della griglia e le collane le si appiccicano alla generosità dello scollo. In alternativa alla garrula brodosa c'è un bel tenebroso con un accento calabro che togliti ma che si gioca il vantaggio di averci trent'anni, che è un bel vantaggio in quella bolgia di vecchi, tutti vecchi, quasi tutti con una vita spesa nella fabbrica e pochi spiccioli d'esistenza da lasciare ancora sul bancone unto. Ieri sera stavamo lì e levavo la carne dall'osso delle coste con la lama fidata del mio Laguiole, un vecchio Maki per chi se ne intende, vedo che all'altro palco, quello dove di solito fanno danza western, stasera si balla occitano. Finiamo di mangiare e ce li andiamo a gardare quelli che si misurano col rigadon e davvero c'è una galleria lombrosiana che mi ricorda che un giorno o l'altro dovrò decidermi a controllare la data di scadenza all'umanità. E ballano e come nel palco del liscio ci son coppie di donne che danzano tra loro e non è traccia di emancipazione e negazione dell'omofobia ma piuttosto il retaggio di tutte le guerre possibili e maschi che dalla battaglia non sono mai tornati. Fateci caso, tutte le volte che c'è un'orchestrina, ci son sempre donne che ballano tra loro. è un indice meramente statistico, un dato biologico, nulla di antropologicamente significativo. Fanno con quello che hanno come in prigione. perchè questo parco li ha imprigionati all'aria aperta, a un passo dai cancelli di una fabbrica che è misura di tutte quelle vite. E l'orchestra suona e vanno fuori tempo. Un oltraggio al tempo è quello che ci vuole. Bravi
Un'altra birra e poi me ne torno a casa.


giovedì 11 luglio 2013

come una tigre a Pinerolo

A Pinerolo c'è una specie di zoo. Chiuso da tempo ma dentro ci sono ancora degli animali, avanzi di circhi orfei minori di cui s'è persa la memoria. Misteri orfeici. E ci sono tre tigri, forse originariamente in lizza contro altre tre, messe lì per sciogliere le lingue dei visitatori, messe lì perchè lo sa solo dio, che una tigre sta a Pinerolo come la dignità sta all'ufficiale giudiziario. Le tigri in realtà sono nove ma per questa storia mia già tre sono troppe. Sono anni che le tigri stanno lì, dietro le sbarre e la rete grossa, in un pollaio anabolizzato dove possono guardare il niente che ogni mattina gli compare quando aprono gli occhi e riescono a fuggire i maledetti sogni di foreste e prede e acqua fresca da lappare direttamente dal fiume e trappole e lotta e dolore e amore e morte e cazzo ne so io, che mica sono tigre. Tutte le mattine arriva il vecchio, anche lui avanzo di altri fasti, che è rimasto lì a guardia di quella fortezza Bastiani che fu eretta per vegliare sulla pericolosa prepotenza dell'esotico che insiste sull'immaginario dei bambini di Pinerolo e zone limitrofe. S'è ben rotto la ciola pure lui, il guardatigre, di portargli da mangiare la mattina senza soddisfazione alle belve e son mesi che non le degna di un sorriso, che ogni loro brontolio, parlare di ruggiti non me la sento, gli ricorda che lui nella vita porta da mangiare carne marcia alle tigri di Pinerolo tutti i giorni. per nessuno. Il vecchio vive con la moglie in una baracca lì allo zoo fantasma. Ieri le tigri lo hanno sbranato. Dopo anni di convivenza. Ora faranno una brutta fine ma se ne vanno con i conti in pari. E voi? Come ve ne andrete voi? E io? Io sono il vecchio che vi porta le storie tutte le mattine. sono già morto e senza il brivido della zanna. Grazie davvero.