giovedì 16 febbraio 2012

I fatti che contano.

Fai andare la canzone mentre leggi





Vanni nella Udine degli anni Sessanta e Settanta si muove come padrone delle strade e della follia del suo branco. Vanni quei giorni in bilico su un terremoto che spazzerà via tutto, portando con la ricostruzione una ricchezza che nessuno sapeva spendere, li vive con una macchina fotografica in mano e le vene che giocano spade mentre tutti chiamano denari. Vanni comincia da ragazzo con quelli del borgo suo, che la città è divisa in piccoli microcosmi avvitati sul tempo battuto dai bicchieri sul bancone. Coi primi soldi da aiutante fotografo si compra una Gilera 125,  in una stagione in cui gli altri a stento potevano permettersi le scarpe, e per tre giorni fa il giro dell’isolato, giorno e notte, sempre in prima, che lui la moto non la sa guidare. Il terzo giorno il motore sbrodola e si fonde e la moto finisce chissà dove. Restano le rate ma Vanni ha già un’altra idea delle sue, insieme all’altro compare suo che chiameremo Gorilla perché ora, col cervello frullato dai trattamenti obbligatori, ancora se la gira per le strade ma il suo nome vero l’ha inchiodato alla porta della memoria da un pezzo. Comprano un registratore marca Gelosino e vanno in chiesa, a un tiro di sputo da casa loro, e si confessano col registratore acceso. Raccontano di efferatissimi delitti, riti satanici e orgiastici, cannibalismo parentale e canone della televisione mai pagato. La sera poi tutti insieme riascoltano le registrazioni e lo sgomento dei fraticelli e ridono con quelle fottute bocche spalancate e le facce come in un quadro di Ensor. Il lunedi vanno al cineforum che c’è il film horror e portano catene e campanacci e mantelli neri e urlano e si alzano in piedi quando la tensione della pellicola è allo spasmo e ballano e la voce si sparge e la gente va a vedere loro invece del film. Gorilla si infila i pomeriggi in un’edicola votiva ricavata in un muro del centro e quando passa la gente coi vestiti buoni allunga un braccio con la mano tesa, facendolo uscire all’improvviso dal muro, e fa un grido da belva morente. La chiama “richiesta cibo”. Vanni fotografa le facce inorridite. E ridono. Vanni intanto comincia a lavorare per i giornali importanti e fa il fotografo di cronaca. L’estate vanno in piazza e Gorilla si tuffa in mutande nella fontana. Il giorno dopo la foto pubblicata recita “ondata di caldo in città. I turisti cercano refrigerio”. Poi c’è la serie di “giovani eleganti in centro” e il protagonista è sempre Gorilla e il giornale non è mai stato consapevole che il soggetto di mille racconti fotografici era sempre lo stesso. Intanto Vanni insiste a farsi pulsare la roba nelle vene e all’inizio è una delle tante cose, poi rischia di diventare la cosa e basta. Continua a fare foto e a dipingere e vende le sue opere alla gente per strada, nei bar, agli amici. Ha una fottuta mano magica quando scatta e anche l’occhio non lo perde nemmeno quando i pensieri si ingolfano nei giorni di magra. Vanni rinasce mille volte. Trova una miliardaria vecchia e parecchio miliardaria, che lo ripeto così si capisce che è roba consistente, che si innammora di quel suo modo da principe della strada, lui che sta tra gli altri fattoni con un loden e gli occhialetti tondi. Se lo porta via in Svizzera e lo mette a capo di un hotel di lusso. Torna ogni tanto coi vestiti buoni e le valigie firmate e ridiamo e mentre cammina e mi racconta si spara un intera boccia di sciroppo per la tosse a canna, mi guarda e dice, a me mica a uno incontrato sul treno, di essere un po’ raffreddato. Non mi ricordo nemmeno se ho reagito in qualche modo. Poi i suoi ritorni dall’estero si fanno sempre più strampalati. Arriva ancora con i vestiti di pregio ma se li vende tra gli amici. La vecchia pare sia morta o comunque l’ha messo alla porta. Lo diamo per spacciato, che nel caso suo è una definizione parecchio sfaccettata. Poi un giorno a quello che gli è più amico, un altro che ora è sparito nel nulla inseguito dai debiti e per fortuna noi nel nulla ci muoviamo bene e un bicchiere insieme ogni tanto ce lo permettiamo, arriva una cartolna. Vanni ha vinto una cifra pazzesca al casinò di una città europea che non ricordo.  Manda regali assurdi. Torna e davvero gli gira bene. Poi lo beccano in Francia con una valigia di rischio e si fa qualche anno dentro. E non è finita. Lo aspettano anche da noi per presentargli un conto di condanne sparse mica da ridere. Noi lo sapevamo che avevano stritolato lui che era solo il fattorino mentre gli altri continuavano a camminarsela per strada con la faccia pulita e il locale avviato ma quella è la storia sua di sempre. Un giorno lo vediamo arrivare e nessuno ci crede che sia venuto a farsi prendere e gli diciamo levati dal cazzo subito. Non ci potrebbe proprio stare lì al bar, per strada, al cinema. Non è la cosa più salutare per lui ma in quel momento scopriamo che quello è il problema minore. Ha una bestia nei polmoni che se lo sta mangiando e vuole tornare qui a morire. Quello che succede nei mesi successivi non me lo ricordo. Non chiedetemi dove vive, chi lo aiuta, chi lo cura. Non ho nessuna notizia in merito, non sono persona informata sui fatti, come avrebbe detto lui ridendo sul gioco di parole. O forse non ricordo ma non è importante. Può essere che se ne sia stato in campagna a casa di qualcuno, può essere che scorazzasse tra una chemio e l’altra con un motorino trovato chissà dove per le strade, può essere che qualche medico non gli abbia mai chiesto la tessera sanitaria, può essere che qualcuno si sia venduto la tuta da motociclista per pagare certe spese. Vai a sapere. Tutto può essere. Una mattina sento uno strepitio di freni e è lui che a bordo del motorino mi grida “ti ho trovato una vecchia Harley militare in un granaio abbandonata ma non mi ricordo dov’è”. Un motivo per volergli bene ficcato a cuneo tra i mille vaffanculo di cui l’abbiamo caricato. Poi un giorno se lo sono bevuto. L’hanno fermato che era piuttosto fuori forma per via di quella sfiga che gli aveva cambiato il segno da sagittario in cancro e l’hanno messo in gabbia. Nel giro di tre giorni, era un finesettimana, è morto.  Può essere.

Fatti e persone descritti in questa storia sono frutto di invenzione e non esistono nella vita reale. Soprattutto i fatti.

Può essere. Tutto può essere.




5 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mi cancella anche i commenti ... Roba da pazzi!

      Elimina
    2. E devo anche dimostrargli di non essere un robot!!! Ma dove siamo arrivati?

      Elimina
  2. ora lo faccio per tigna!
    il tuo blog mi rifiuta, è antipatico.
    e poi lo vedo che cancelli i commenti del senia!

    RispondiElimina
  3. non ho capito come ho fatto a cancellarlo. ma è la cosa giusta da fare.

    RispondiElimina