Da solo a casa. Me ne vado al parco a far correre i cani,
che sguazzano in quella putrida polenta di neve fango e sale e merda e resti
umani che è il nostro suolo d’abitudine in questo inizio di glaciazione. Ormai
l’asfalto o i cubetti di porfido del marciapiede sono un’ipotesi, una
possibilità, una antica credenza popolare, che qui è un pezzo che si cammina in
un indistinto pastone. Sotto casa mia una signora è scivolata in terra di muso
e hanno chiamato l’ambulanza e dal naso le zampillava in sangue alla spina che
s’è impastato al sale e al ghiaccio e sono ormai sei giorni che quella memoria
di sgozzo si conserva all’ingiuria del tempo grazie al gelo e al sale in un
equilibrio perfetto. L’emocromo della vecchia verrà trovato pari pari tra
seimila anni, come un mammuth siberiano ma coi trigliceridi più alti. Il parco
è a un passo da casa ma io ci vado col magico picàp e non per pigrizia ma per
far sgranchire il mezzo, che altrimenti resta spiaggiato sotto casa in attesa
dei nostri viaggi, delle nostre partenze in cui ci portiamo giusto il
necessario e in quella nozione comprendiamo canoe, chitarre e amplificatori,
biciclette, affettatrici, infradito e anfibi, cappelli in numero minimo di
duecentosei e di tutte le fogge. Di solito ci portiamo dietro anche
l’asciugacapelli che di suo non sarebbe niente ma se dico che è il mio
personale la cosa acquista un’altra luce. Ma come al solito state divagando e
mi portate fuori tema. Insomma eravamo rimasti che andavo al parco coi cani. Ce
li porto non perché abbiano bisogno di muoversi, che è cosa nota che me li
porto in giro in ogni dove, ma per fargli ritrovare i loro amici e anche
qualche bel nemico che averci dei nemici è sempre un bel vivere. Infatti appena
arrivati scoppia una rissa che a dire il vero non viene innescata dai miei. Un
grosso cane tardo va ad annusare Jack che per completezza dell’informazione è
un cagnetto nero di una decina di chili col pelo tutto arruffato e la tendenza
a fare sempre come dice lui. Il cane grosso preso da raptus s’avventa su Jack
che non ha paura di nulla mai e che usa una tecnica ormai raffinata nel tempo.
Si chiude a palla, scatta a molla e si aggancia alla gola dell’avversario
enorme senza più mollare. Stiamo parlando di una cosa impari, un botolino e un
enorme pastore tedesco coglione. Nulla di sanguinario ma tanto strepito. Per
cui Sciumi che è decisamente più grosso e che di solito si occupa delle cose
sue senza tanti penseri, sentendo l’amico gridare parte, e Sciumi che con le
persone è timido e schivo coi suoi simili problemi non se ne fa per nulla. Parte
una zuffa a dieci cani, tutti i padroni urlano ma senza convinzione. Lo sappiamo
tutti che non sta accadendo nulla di grave e si ride. Infatti dopo un po’
ognuno ritorna a annusare l’albero di competenza e Jack cerca disperatamente di
trombarsi una cagnetta screziata. La padrona è una ragazza simpatica che mi
sorride e dice “quasi quasi le faccio prendere la pillola e che si divertano”.
Il chiosco è chiuso e non posso offrire il caffè ma giuro che ci ho pensato.
Vabbè, stiamo lì un’ora, mi leggo il giornale e gioco con Lucio che è un enorme
schnauzer, stessa razza del mio ma con cinquanta chili di più. La padrona mi racconta dell’allevamento
dove hanno preso il loro schnauzerr gigante e io non mi soffermo su come uno
schnauzer nano è entrato un giorno di inverno nel letto di mio figlio
piccolissimo decidendo che quella era casa sua e di conseguenza noi i suoi
sudditi. Il mio cane ha un concetto preciso del potere. Più sei grosso e meno
vali nella sua piramide feudale. Io sono il più grosso di casa. Risaliamo in
macchina e siamo tutto uno schifo di neve e fango e chissà cosa. Entriamo in
casa e Sciumi nella foga di bere rovescia la ciotola. Me ne vado in studio e mi metto a lavorare su un video che
devo montare da un mese. Ogni giorno mi sveglio e dico “oggi devo montare quel
video” e di conseguenza le sequenze giacciono in una cartella del computer in
abbandono. Dopo un paio d’ore vado in cucina per farmi un panino, che è un modo
lieve di raccontare come in queste circostanze mi regolo col frigo e con le
cose varie, e inutili che contiene d’abitudine. Ed è allora, nel tragitto verso la cucina, che detto così
sembra che abito a Versailles e invece son due passi, tre se sei stanco, mi
rendo conto che abbiamo ridotto il pavimento una merda. Come uomo domestico io
sono un disastro e non vi conviene pensare che ci pensi la femmina domestica,
che noi si vive come ci piace ma non necessariamente come piace a voi. Sta di
fatto che quando è troppo è troppo. Quando vivevo nella campagna senese un
giorno ho pulito con buona lena tutti i marmi della casa, eravamo come sempre
in affitto, con un anticalcare riducendo i pavimenti a una sedimentazione di
guano di gabbiani. Ora ho imparato la lezione e decido che ci vuole
l’attrezzatura. Vado al supermercato solito e comincio a leggere le etichette,
a soppesare spazzoloni e secchi e strofinacci. A casa ho già tutto ma decido di
rinnovare l’attrezzatura di rigoverno. Compro un mocio enorme con il ricambio e
un asta assurda, un secchio dedicato con rullo strizzastraccio e sgocciolatoio,
cinque sei bottiglioni di qualcosa con la dicitura “non ingerire e tenere
lontano dalla portata dei bambini”.
Chiedo lumi alle signore che si fanno intenerire da questo omone casalingo
e sono prodighe di consigli e sorrisi e mi rimbambiscono e mi caricano di
prodotti e mi ritrovo anche un bombolotto di qualcosa per lucidare i mobili.
Balbetto e queste mi continuano a seguire verso le casse e si sono aggiunte un
paio di addette del supermarket che già mi conoscono e ridono e mi chiedono
come mai. Arrivo alla cassa con
passo dondolo che sembro le truppe cammellate alla conquista delle colonie. Non
saprei dire esattamente qual è la dinamica ma sta di fatto che arrivato al
corridoio della cassa mi intrigo con le attrezzature e i flaconi e le spugne e
il secchio e cado rovinosamente a terra. Mi faccio un male cane alla spalla ma
son troppo umiliato per lamentarmi e ripeto meccanicamente “non è niente, non è
niente” mentre tutte le signore mi radunano le merci sparse e mi toccano le
braccia e il collo e insomma mi toccano tutto, che qualcuna anche se non sono
un pezzo di pregio coglie la palla al balzo per ripassare la materia. Pago e
esco con le cassiere che ancora ridono e si raccomandano. Arrivo a casa e Ste è
tornata. Quando mi vede e soprattutto quando vede il conto che m’ha asciugato
il budget della settimana, vitto e alloggio e piccole spese compresi, lei che
non si incazza mai e di solito ride stavolta non la prende benissimo. Allora le
racconto la disavventura e dico che mi son fatto molto male a una spalla e a
quel punto pare proprio che si stia incazzando e anche Jack va a ficcarsi sotto
la credenza. A quel punto sorrido e le dico “Maddai, sto scherzando, figurati
se davvero mi facevo una figura così al supermercato. Minchia ma davvero ci hai
creduto. Ma lo vedi quanto sei scema”. Resta il fatto che ho comprato
inconsulto un set per pulire lo stadio dopo il derby ma vabbè. Poi Ste mi dice
che siamo a cena da altra gente e ci siamo presi l’impegno di fare la lasagna.
Torniamo al supermercato e tutto subito non realizzo cosa sta per succedere.
Appena entriamo le cassiere cominciano a trillare “Come stai? Ti fa ancora male
la spalla? Ma che tenero, voleva pulire tutta la casa?”. Ste mi guarda solo e in quello sguardo
c’è concentrata la portata distruttiva di un uragano. L’incazzatura dura fino
al reparto frutta e verdura perché è lì che mi inginocchio, tra le patate e gli
ananassi e le chiedo scusa con le mani giunte e il guanto di plastica
trasparente ancora infilato. Per drammatizzare afferro una clementina e me la batto
sulla testa con gesto pesantemente autopunitivo. La gente guarda, le cassiere ridono
ma quelle ridono sempre, a volte anche quando io non ci sono. Lei non si trattiene,
scoppia a ridere a sua volta e dice “Smetti di fare il cretino” che a dirlo a
me investi le tue parole in bond ellenici. Ci sono uomini di casa e uomini di casino.
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