Ieri sera, nel parco a un passo da Fiat Mirafiori, la madre
di tutte le fabbriche, e a uno sputo da casa mia. Ieri sera nel parco dove
stavano accampati da giorni i fan di Vasco a pettinare la loro vita spericolata
e a far le cure per un fegato spappolato che non sapranno portarsi addosso con
lo stile che richiede, impegnati a mangiare le penne fredde che la mamma gli ha messo
nel contenitore di plastica ermetico. Ieri sera su quello spiazzo di ghiaia al
buio e i camper dei punk con i cani e la musica che da sempre stanno qui e sono
la possibilità di far due parole la notte quando porto i cani e mi sdraio sulla
panchina del parco a respirare il fresco. Ieri sera con quell’odore di griglia
che già arriva dal baraccone che montano ogni estate per ballare il liscio e
mangiare le costine e i vecchi si mettono la cravatta e escono dai palazzoni e
si accendono dispute e risse vere per le donne e per il vino. Ieri sera in
quello slargo lì, vicino al paradiso delle gattare e a un passo dal campo da
bocce e i tavoli in cemento con la dama pitturata sopra. Ieri sera con le
quattro giostre quattro che stanno lì, gestite da un’unica famiglia di zingari
e c’è il calcinculo, catenelle lo chiamano quelli che serbano pudore nelle
parole, e l’autoscontro, macchina da scontri lo chiama Ste che nelle parole
serba invenzione e anche per questo mi stordisce di meraviglia, l’ottovolante,
che mi costringe a dire tutte le volte a voce di megafono “volante otto,
recatevi sull’ottovolante”, e la macchina del pugno che se ho qualche problema
all’articolazione del polso sospetto sia per gli strapazzi di una gioventù in
cui il testosterone si misurava a caracche secche sul pallonazzo di pelle
sgualcita di quell’oggetto infernale. Ieri sera con mio figlio e i suoi amici e
con altra gente ci siamo dati appuntamento alle giostre, che già era buio e
l’occhio doveva trovare misura della luce possibile, adattando la pupilla al
pulsare delle intermittenze dei baracconi. Ieri sera c’erano i punk che mangiavano
lo zucchero filato e i cani che son corsi incontro ai miei, che tra vecchi
amici si è più felici di trovarsi quando c’è da far cagnara, la chiamiamo così a ragione, e non fa freddo. Ieri sera i
romeni erano vestiti a festa e ridevano a sentire le grida delle femmine loro
sul calcinculo e le gonne che svolazzavano a graffiare l’esordio di quest’estate
minchiona promettevano voglie. Ieri sera io e Ste ci baciavamo seduti sul bordo
della pedana degli autoscontri e ridevamo, che quando ci siamo incontrati io non
avevo nemmeno una casa ma solo un vecchio Ciao e a ritrovarci lì c’era da dargli
un cinque al destino. Ieri sera sono piombato su quel mondo in bianco e nero,
su quella memoria di un Italia perduta e di periferia, con il mio Ciao già
pronto per il viaggio, che tra due giorni attraverserò la pianura padana da
Torino a Udine sincronizzando il motore e il respiro su un tempo che non esiste
più, evitando le grandi città, dormendo in mezzo ai campi e fermandomi nei
paesini a chiedere ragione di una vita che hanno smesso di raccontarci o che
forse non esiste più. Lo vedremo. Ieri sera mio figlio e i suoi amici ridevano
sulla giostra e anche noi stavamo lì sospesi nel piacere assoluto di quel
fresco e di quelle parole leggere. Per tornare a casa ho ripreso il Ciao e l’ho
acceso in corsa, saltandoci sopra come facevo da ragazzino. Mi sono voltato
solo un secondo con un sorriso a Ste, che era il rinnovo di un patto notturno
che quella sera s’era giocato le sue carte migliori. Il miglior tributo a quel
regalo della macchina del tempo.
Poi vi racconteranno del degrado e della violenza e della
disperazione della città ma sarà anche il caso che la smettiate di farvi
raccontare la vostra vita, che ne siete gli unici titolari e questo dovrebbe
bastare a farvi scendere in strada in una sera così. Non è l’arcadia, non è un
mondo ideale, i sorrisi erano in bilico sulla maledetta necessità di resistere,
ognuno a modo suo, ma ieri sera il tempo s’è fermato e per un momento ho
pensato che il mio Ciao è magico, è più di quello che sospetto.
All’ingresso del parco c’è la casermetta dei carabinieri ma
tutto quello che ho raccontato succede alle loro spalle e hanno la bella
delicatezza di non voltarsi mai.
Ancora, ancora e ancora per favore.
RispondiEliminaE poi basta, che spesso a dire cose si fa molto peggio che tacere e dire semplicemente grazie.