martedì 18 giugno 2013

La vita a calcinculo









Ieri sera, nel parco a un passo da Fiat Mirafiori, la madre di tutte le fabbriche, e a uno sputo da casa mia. Ieri sera nel parco dove stavano accampati da giorni i fan di Vasco a pettinare la loro vita spericolata e a far le cure per un fegato spappolato che non sapranno portarsi addosso con lo stile che richiede, impegnati a mangiare le penne fredde che la mamma gli ha messo nel contenitore di plastica ermetico. Ieri sera su quello spiazzo di ghiaia al buio e i camper dei punk con i cani e la musica che da sempre stanno qui e sono la possibilità di far due parole la notte quando porto i cani e mi sdraio sulla panchina del parco a respirare il fresco. Ieri sera con quell’odore di griglia che già arriva dal baraccone che montano ogni estate per ballare il liscio e mangiare le costine e i vecchi si mettono la cravatta e escono dai palazzoni e si accendono dispute e risse vere per le donne e per il vino. Ieri sera in quello slargo lì, vicino al paradiso delle gattare e a un passo dal campo da bocce e i tavoli in cemento con la dama pitturata sopra. Ieri sera con le quattro giostre quattro che stanno lì, gestite da un’unica famiglia di zingari e c’è il calcinculo, catenelle lo chiamano quelli che serbano pudore nelle parole, e l’autoscontro, macchina da scontri lo chiama Ste che nelle parole serba invenzione e anche per questo mi stordisce di meraviglia, l’ottovolante, che mi costringe a dire tutte le volte a voce di megafono “volante otto, recatevi sull’ottovolante”, e la macchina del pugno che se ho qualche problema all’articolazione del polso sospetto sia per gli strapazzi di una gioventù in cui il testosterone si misurava a caracche secche sul pallonazzo di pelle sgualcita di quell’oggetto infernale. Ieri sera con mio figlio e i suoi amici e con altra gente ci siamo dati appuntamento alle giostre, che già era buio e l’occhio doveva trovare misura della luce possibile, adattando la pupilla al pulsare delle intermittenze dei baracconi. Ieri sera c’erano i punk che mangiavano lo zucchero filato e i cani che son corsi incontro ai miei, che tra vecchi amici si è più felici di trovarsi quando c’è da far cagnara, la chiamiamo così a ragione, e non fa freddo. Ieri sera i romeni erano vestiti a festa e ridevano a sentire le grida delle femmine loro sul calcinculo e le gonne che svolazzavano a graffiare l’esordio di quest’estate minchiona promettevano voglie. Ieri sera io e Ste ci baciavamo seduti sul bordo della pedana degli autoscontri e ridevamo, che quando ci siamo incontrati io non avevo nemmeno una casa ma solo un vecchio Ciao e a ritrovarci lì c’era da dargli un cinque al destino. Ieri sera sono piombato su quel mondo in bianco e nero, su quella memoria di un Italia perduta e di periferia, con il mio Ciao già pronto per il viaggio, che tra due giorni attraverserò la pianura padana da Torino a Udine sincronizzando il motore e il respiro su un tempo che non esiste più, evitando le grandi città, dormendo in mezzo ai campi e fermandomi nei paesini a chiedere ragione di una vita che hanno smesso di raccontarci o che forse non esiste più. Lo vedremo. Ieri sera mio figlio e i suoi amici ridevano sulla giostra e anche noi stavamo lì sospesi nel piacere assoluto di quel fresco e di quelle parole leggere. Per tornare a casa ho ripreso il Ciao e l’ho acceso in corsa, saltandoci sopra come facevo da ragazzino. Mi sono voltato solo un secondo con un sorriso a Ste, che era il rinnovo di un patto notturno che quella sera s’era giocato le sue carte migliori. Il miglior tributo a quel regalo della macchina del tempo.
Poi vi racconteranno del degrado e della violenza e della disperazione della città ma sarà anche il caso che la smettiate di farvi raccontare la vostra vita, che ne siete gli unici titolari e questo dovrebbe bastare a farvi scendere in strada in una sera così. Non è l’arcadia, non è un mondo ideale, i sorrisi erano in bilico sulla maledetta necessità di resistere, ognuno a modo suo, ma ieri sera il tempo s’è fermato e per un momento ho pensato che il mio Ciao è magico, è più di quello che sospetto.
All’ingresso del parco c’è la casermetta dei carabinieri ma tutto quello che ho raccontato succede alle loro spalle e hanno la bella delicatezza di non voltarsi mai.



1 commento:

  1. Ancora, ancora e ancora per favore.
    E poi basta, che spesso a dire cose si fa molto peggio che tacere e dire semplicemente grazie.

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