martedì 10 luglio 2012

con la maglietta bagnata




Piove maledettamente. Un muro d'acqua. Sono in moto e sto cercando di ritornare alla casa editrice in cui lavoro. Son già un paio di chilometri che guido in immersione. Non ho vestiti di ricambio e già lo immagino, non è la prima volta, che sotto la mia scrivania si formerà una maledetta pozza fatta di gocce fredde che dalla nuca mi son scivolate a fil di pelle e di jeans. Fino al pavimento. Ho una camicia leggera che ora sembra un fazzolettino di carta usato. Il portafoglio e il telefono li ho infilati al volo nello zaino che è a prova di pioggia ma non di questo fottuto niagara che mi sta investendo. Riesco ad arrivare al bar e oltre proprio non è possibile, è inutile che ridete con quelle facce da "ti conosciamo", davvero non è possibile. Mollo la moto sotto l'alluvione e entro nel bar solito. Mi prendo un chinotto da solo dal frigo, come a casa, vado in cucina a prendere il cavatappi come a casa, che tirare fuori lo svizzero dal jeans fradicio è un'impresa a cui non sono preparato psicologicamente. La moto di là dal vetro sta prendendo una pioggia da primato che mi costerà trecento euro di meccanico ma questo lo scoprirò solo la sera tardi. Di solito regge l'urto ma vuoi l'età, vuoi la pioggia da primato, mentre son lì che mi bevo il chinotto la centralina affoga nella disperazione delle sue lacrime a impulsi. Mi siedo a un tavolo e guardo i Simpson alla tele. Senza volume per non disturbare. Che poi a fargli tutte 'ste attenzioni a quella manica di smandrappati che riempiono il bar il volume sarebbe piuttosto da alzare a palla per stendere un velo di decibel robusto sulle cazzate che volano tra quelle pareti. Dal tavolo a fianco al mio un tizio che vedo spesso ma con cui non ho mai parlato approfitta della calamità per socializzare. Avrà una settantina d'anni, i capelli tintissimi neri fiammati d'arancione e un paio di occhiali da sole che in quel frangente sono poco pertinenti ma del resto gli occhiali da pioggia non li fanno e quindi anche lui avrà le sue buone ragioni.
"La prima volta che ho preso l'aerio io non avevo mai preso l'aerio prima"
Un incipit più potente di "quel ramo del lago di Como...". Lo guardo e questo basta per farlo continuare e già mi immagino che se esce con 'sta pioggia i capelli di legno che ha sulla testa si sciolgono alla furia degli elementi.
"Allora mio fratello Pietro e Luigi, mi dice che vado da lui in Australia e figuriamoci io non avevo mai volato prima e mi sono fatto ventisei ore all'andata e mi pare che erano ventisei ore pure a ritorno."
Pausa che crea bella tensione. Dev'essere schedato come rompicoglioni da combattimento perchè appena attacca a parlare alcuni prendono il bicchiere di qualcosa e si spostano nell'altra sala del bar. Io sono inchiodato lì. Perduto.
"Mò se tu devi viaggiare coll'aerio non ti devi appaurare, che lo capisco che fai impressione nel cielo ma pensi agli uccelli e alle nuvole e a tutte le altre cose che stanno comodamente nel cielo e stai uguale a loro. La gente non lo dice ma io l'ho capito. L'aerio è un apparecchio che quando vola nel cielo va dritto e galleggia. Non può capitare nulla se sta dritto e galleggia. Però magari il pilota vede una cosa giù che non capisce e per guardare abbassa il muso dell'aerio e a quel punto se non sei bravo sei caduto. Perchè hai perso il fatto del galleggia. L'aerio è pericolosissimo quando si parte perchè fa un tuffo come per andare a cercare l'aria che galleggia ma in quel momento può succedere qualunque cosa, poi galleggia e va tutto bene, poi quando deve scendere allora si può morire facilmente, soprattutto quando si afferra colle ruote alla strada sotto che sta all'arioporto. Poi la polizia ti guarda la valigia e magari colla scusa che non capisci l'austraio si fregano una camicia o un regalo per i nipoti ma a te a quel punto che te ne frega che sei vivo e non sei morto e va bene così. Le femmine in aerio quando si scende gli viene un calore che hanno voglia da impazzire e dentro l'aerio sembra un film sporco ma è solo la paura di quel momento che appena scese già non ti guardano più e magarti c'è suo marito all'aspettare."
Mi alzo con un mezzo sorriso e indico la moto come per comunicare una qualche incredibile urgenza. Mi piazzo sotto la cornice della porta di entrata e guardo fuori la pioggia maledetta. A un certo punto sento una mano che mi tira il braccio. "Permesso." Di nuovo lui, sporge la testa fuori quel tanto da non bagnarsi e vomita sul marciappiede d'un getto potente e corposo. Si terge le labbra con la manica del giubbotto jeans, si gira verso nessuno e grida "Mannagia a te che mi hai fatto ridere." Poi torna a sedersi e tutti lo insultano. Pasquale, il titolare del bar ha preso la macchina e ha accompagnato i bancari a lavoro dopo il pranzo. Terrorizzati di sgualcirsi i vestitini belli e di inumidire l'ipad. Al bancone ci sono solo le due ragazze. Capisco al volo. Si sentono male solo all'idea. Gli chiedo di passarmi un secchio e un disinfettante e ci penso io che nella vita ho fatto tutti i lavori possibili e ho capito che lo schifo sta solo nella menzogna e nel potere.
Di fronte si schianta un albero sulla strada. Escono in tre e ficcano le macchine sotto i rami inerti. Fanno le foto per l'assicurazione col telefonino. Ormai piove meno forte, il vecchio è crollato a dormire ubriaco con la testa sul tavolo e un filo di bava che gioca al pozzo e il pendolo con la tovaglietta. M'appoggio di chiappa timida sul freddo della sella bagnata e riparto. Anche questa volta.

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