sabato 2 giugno 2012

autogrill






In bagno c’erano le facce dei cessi dell’autogrill. La terra di mezzo tra i vivi in agonia e i morti viventi. All’ingresso una donna grassa e baffuta, scelta dal catalogo delle vecchie da tenere sedute a raccattare le monetine davanti ai servizi delle stazioni di servizio. Questa doveva essere un modello standard, di quelli omologati per ringhiare quando uno sbaglia e entra nel cesso delle donne. Programmata per fissare con insistenza quelli che escono dopo aver fatto uso degli impianti e non lasciano il fiorino di pedaggio nel sottovaso verde, messo a bella posta sul tavolino. In un autogrill sulla Piacenza-Torino, direzione nord, avevano piazzato una bionda sorridente davanti alla porta di certi cessi scassati. Niente di provocante, solo un sorriso e la pelle chiara. Quando ancora percorreva spesso quella strada, s’era costretto a mirabili equilibrismi di vescica per arrivare fino lì e approfittare del bagno. La biondina, piovesse o ci fosse un sole da sciogliere l’asfalto, era sempre al suo posto e il sorriso con lei. E lui ogni volta a dirsi che quella la vita la sfiorava appena e un giorno si sarebbe deciso e glielo avrebbe chiesto di montare su e scappare con lui. Giusto per cambiare cesso. Quel posto, l’autogrill, era lo stesso che vendeva di tutto e che lui non poteva evitare di visitare ogni volta con stupore. Le vetrine zeppe di oggetti erano sotto la tettoia del benzinaio e c’erano dai soprammobili a forma di teschio illuminato ai televisori a colori con parabola e digitale terrestre da poter montare sul camion. C’era poi una scelta incredibile di coltelli, spadoni, fionde, mazzeferrate e balestre, quasi che i gestori fossero stati avvertiti che da lì a poco il loro autogrill sarebbe stato scelto come punto di ristoro dagli ultimi crociati in marcia per liberare il santo sepolcro. A lui quasi scappava detto a questi gestori che il santo sepolcro lo stavano espugnando con i lanciafiamme e le ruspe ma poi l’attenzione veniva presa dalle vetrine degli accessori erotici e la sua matrice ideologica andava a farsi benedire. Trattavasi di vetrine che perdevano la loro funzione originaria di mostrare, per rivelarsi strumenti d’occultamento. Dietro quei vetri c’erano completini parecchio erotici e cazzi in lattice sussultanti e bambole da pompare d’aria e sentimenti. Ma questo si poteva solo intuirlo perché sulle lastre dell’espositore era stata applicata una carta adesiva. Tutto occultato alla vista non autorizzata. Ma in vetrina. Carta adesiva per giunta rossa. “PER VISIONARE LA MERCE CHIEDERE AL PERSONALE”. Scritto su un foglio a quadretti. Col pennarello. Per giunta rosso. Qualche disperato in crisi ormonale s’era pure provato a sollevare la carta adesiva con l’unghia, agli angoli, lasciando trapelare qualche indizio della terra di cuccagna. Orde di ragazzini in gita scolastica si affacciavano sbavando a quelle misere brecce. Gli stessi piccoletti che stringevano nelle mani tremanti la statuetta della torre di Pisa che cambia colore in accordo con la variazione climatica. Da portare alle famiglie come ricompensa d’aver cacciato la grana per mandarli tre giorni a istruirsi negli alberghi convenzionati e a certe tavole dove si può approfondire le nozioni di scienze cercando di capire che bestia è quella che lì chiamano pollo. Per colmo dei colmi la torre di Pisa l’avevano appena acquistata lì, all’autogrill. Che è a Stradella. Avessero almeno comprato una fisarmonica, era filologicamente più pertinente. Ma alle vetrine negate  si aggrappavano anche certi rappresentanti, di quelli che d’estate girano con la monovolume carica di cappotti, il campionario lo chiamano, e corrono come disperati e si fanno un punto d’onore di essere vestiti a quel modo che la gente comune ama definire “da rappresentante”. E hanno il gel a quintali sui capelli, pure se sono calvi, e la cravatta sgargia, che vorrebbe sottolineare estro e invece fa tanta tristezza, che, se eri creativo davvero, al collo ti appendevi un cacciavite, fosse solo per mascherare il tuo enorme pomo d’Adamo. Insomma ‘sti rappresentanti fanno di tutto per apparire dei vincenti, dei ben piazzati e questo stona un poco con la loro presenza lì, davanti alla vetrina delle cassette porno e dei vibragodi a sei velocità. Del resto lui aveva sempre creduto che quelli con certi macchinoni ripieni di lustro e radica avessero le fighe a schiocco di dita. Eppure la sera, sui viali, la fila di quelle auto griffatissime era lunga come l’esodo dei Curdi. Dentro c’erano quelli con la camicia giustocollo e la cravatta laser. “Come un rappresentante” diceva di nuovo la gente comune. Onore al merito a quelli che vanno a puttane con la vespa cinquanta. A Siena aveva conosciuto uno che quando andava a puttane si metteva la cravatta. Per rispetto, diceva lui. Ma questi altri qui, campioni del campionario, perennemente arrancanti in terza corsia, pure dove ce ne sono solo due, rispettavano solo chi gli elargiva la gratifica alla fine del mese. Bravo rappresentante, hai corso per la penisola col tuo carico di cappotti lavorati in Romania a trenta centesimi al giorno e li hai piazzati tutti a belle signore di Palermo che ora non avranno più da patire il freddo siciliano. Meriti il tuo bel premio. Biscotto? Seduto!
Poi sentì lo sciacquone di quello accanto e si riscosse. Blu stava cagando a terra, come faceva sempre in quei cessi. Accovacciato su dei fogli di carta, di quelli per asciugarsi le mani. Si rialzò, raccolse il fagotto e abortì, come ogni giorno, nella bocca del cesso. Fiero di quel sistema escogitato mille anni prima per non dover costringere le sue chiappe al contatto con certe tavolette scabbiose.
Fuori, ai lavandini, c’era uno che si radeva, un altro che si soppesava l’effetto della barba di tre giorni sul volto segnato dal sonno rubato al disco segnatempo truccato e uno che con gli occhi chiusi lasciava che il getto dell’asciugatore puntato al viso gli restituisse vita. Aggrappata al muro c’era la macchina dei preservativi e delle salviette igienizzanti. Di queste ultime s’era sempre domandato cosa fossero ma non aveva mai la moneta giusta. Uscì senza degnare di uno sguardo la vecchia. Per rispetto all’altra dei suoi sogni, la biondina. Salendo le scale si ricordò di non aver prestato attenzione agli annunci sulla porta interna del cesso. Di solito c’era sempre uno che anelava a fare pompini e aveva un cellulare comprato apposta per farsi trovare subito e magari stava cenando con la nonna, tu gli telefonavi e lui lasciava lì tutto, anche se la vecchia s’era dannata per fargli il sartù di riso che a lui piaceva tanto, e correva all’autogrill a farti una pompa. Ma l’autogrill, per sua natura, è pieno di pompe. Decise di fare il pieno alla moto.

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