martedì 5 giugno 2012

moto perpetua

 


Il casco l’aveva lasciato attaccato al portapacchi, e s’era calcato il basco sulla testa per non farlo volare via. Del resto si stava concedendo un piccolo trotto sulla strada di montagna mentre cominciava a calare la sera, in quell’ora d’azzurro dominante che per i poeti professionisti è già color di lontananza. E se la polizia lo fermava avrebbe pagato la multa. Senza la calotta per attutire suoni e minaccia di morte incombente, poteva sentire l’aria fischiargli nelle orecchie, gettare ennesimo scompiglio nei capelli mai pettinati e ora persi in parte. Per distrazione. Anche il motore pareva averci tutta un’altra voce, pieno di intermezzi e strumenti gregari che suonavano a dare un contributo affannato a quel corpo orchestrale dominato dalla possanza di certi fiati in nota bassa che prendevano allo stomaco. Come quella volta al centro commerciale, che era rimasto ipnotizzato davanti a un televisore gigante a schermo piatto che mostrava le immagini di un film di fantascienza e le astronavi s’incrociavano e sparavano e sembrava di averle lì, a schizzare impazzite tra gli scaffali e il suono faceva vibrare tutto e la truffa della realtà irreale s’era sforzata di raggiungerlo con frequenze allo stomaco che dal vero non provava mai davvero. Tenuto conto che di astronavi ne bazzicava ben poche. Fosse stato un film porno c’era da giurare che mentre l’attore si dannava a venire sulla faccia della collega in molti si sarebbero scostati. E lo sperma sarebbe schizzato fuori con un rumore di diga che salta. Perché nei porno vengono sempre fuori? Si negano il più bello per giurarci che è tutto vero. Ma dopo tre ore che ti vedo sudare, in posizioni che assecondano più le luci e l’obiettivo che il piacere, te lo voglio concedere. Fatti la tua bella sborrata dentro la femmina che ha avuto la pazienza di stare lì a gemere e singhiozzare, senza smettere di pensare alla rata della Renault, parcheggiata per giunta sulle strisce. Bada bene di non trovare la multa in fine di giornata e attenta, che quest’altro poveraccio del tuo collega, mago anche lui, vive l’ansia della cantina che ora che piove si starà allagando come l’altra volta e intanto zum zum zum, ah ecco ora le vengo sulla faccia. L’ha tirato fuori, mi viene sulla faccia e speriamo non mi abbiano messo la multa. Vai così. Pensavo che stavolta non gliel’avrei fatta. Porca puttana, mi va a finire sempre negli occhi e poi mi si arrossano come a un apneista o a un saldatore. Il cantante dei Freaks faceva il saldatore e cantava. Ovviamente essendo un cantante cantava. Ma la cosa più bella erano le occhiaie, che tutti attribuivano a una vita spesa di notte e agli stravizi e invece erano le dieci ore di fabbrica a lasciare un marchio sulle sue note. Peccato che ascoltando il disco, roba ancora in vinile, le occhiaie di Marco non si riescano a intuire. Forse certi orecchi fini potrebbero pure ma lui era uno allenato al gracchio grezzo delle chitarre chiuse in un garage. In moto è sempre così, un pensiero ne chiama un altro e poi un altro e poi ancora e a un certo punto non capisci come eri partito da un basco per finire su una sborrata in multa sulle strisce, passando per le astronavi del centro commerciale. Ma intanto non c’è da rendere conto a nessuno e ci si può permettere la libertà totale dei pensieri e delle associazioni. In moto va così. E lo zen è solo un pretesto per stringere la manopola e dargli un senso. Ma, si sa, la manopola stessa, per sua intrinseca natura, di senso ne ha uno solo e preciso.

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