mercoledì 13 giugno 2012

son tornato sempre vivo




Forse l’ho già detto ma piuttosto che andare a rileggermi tutto mi ripeto. Quando c’è stato il terremoto in Friuli, sei maggio del millenovecentosettantasei, non avevamo più una casa perché la proprietaria, una che da piccolo mi faceva paura, aveva approfittato del casino e diceva che lei era in stato di necessità e non aveva più dove andare e le serviva la casa e noi in strada. Due mesi dopo il nostro appartamento è stato venduto alla regione e dentro ci hanno piazzato degli uffici. Bastardi. In ogni caso per mesi la gente ha vissuto per strada e noi, senza casa, non davamo tanto nell’occhio. Però i miei per farmi vivere meno il disagio di quel campeggio infinito, che a me piaceva molto, mi hanno mandato a Torino da Antonio che viveva in Corso Marconi in una casa che era davvero un campeggio perenne. Mi sono divertito parecchio e Antonio che non sapeva esattamente come si gestisse un bambino di undici anni mi ha dato le chiavi di casa appena arrivato e i soldi per un panino, consigliandomi vivamente il buffet della stazione di Porta Nuova e raccomandandomi di portargli un qualche cibo pure a lui. In quegli anni stava incasinato con le donne, il lavoro e tutto. La sua casa era piena di libri di fantascienza, piena di libri in generale ma in quello già casa mia marcava bene. Lui aveva tutti quegli economici favolosi e ciancicati e io me ne andavo in balcone a leggere e a tenermi dentro una fame eterna. La mattina uscivo e giravo per Sassalvario e c’erano le puttane a tutte le ore e io proprio in quei mesi cominciavo a pentirmi di non aver prestato grande attenzione a quella bambina che d’estate insisteva per mostrarmi il culo in cambio di una sbirciata al mio pisello e io l’accontentavo e me ne restavo lì a fissare quelle chiappe come un televisore spento. Però quelle puttane lì più che proiettarmi nella nuova dimensione erotica prepuberale mi sbalzavano indietro all’infanzia più buia, quella delle megere delle favole che chiudono i bambini nelle gabbie per ingrassarli e venderli ai comunisti. Antonio stava in uno degli ultimi condomini di Corso Marconi, dalla parte del Valentino e sullo stesso marciapiede c’era un canaro, a dire il vero c’è ancora ma forse non è la stessa persona, che vendeva pure gli animali e io passavo e guardavo dalla vetrina questo tizio che cotonava i barboncini e pensavo al buon soldato Sc’vèik che avevo letto nell’edizione Feltrinelli con la copertina gialla. Trovato a casa di mio padre. Ad Anzio. I canguri, era il nome della collana ma era anche il nome che gli davo io per capirmi con mio padre e credevo fosse una cosa del nostro lessico familiare e quando anche oggi vedo un Feltrinelli col marsupiale a simbolo penso che ci hanno copiato l’idea. In quella serie ho letto anche il compendio del capitale di Cafiero ma solo per ritrovare le atmosfere dei racconti di mio padre che mi descriveva questo nobile pugliese rovinato dall’idea. Avevo dieci anni e se vi dico che tutto mi era chiaro mi cresce il naso. Senza contare che sospetto che mio padre quel libro lì non l'abbia mai letto e tutta la storia che ci montava sopra deve averla rubata al Bacchelli del diavolo al pontelungo. Questo però l'ho sospettato solo da grande e mio padre è uno che racconta un sacco di storie e a volte cade in contraddizione ma io me lo imparo a memoria pure ora che sono cresciuto e a tavola gli rifaccio il verso e ridiamo. Come al solito esco dal tema. Dicevamo che bighellonavo davanti alle vetrine della toelettatura per cani e avevo questa fissa per gli animali e per i libri di animali e per i negozi di animali e volevo fare il veterinario e quando mia mamma m’ha detto che dovevo laurearmi ho pensato che era meglio fare il guardiano dello zoo. M’avessi ascoltato da piccolo. A questo punto mi gioco l’asso nella manica che convincerà anche i più dubbiosi che a me devono darmi le chiavi della città di Torino, che da sempre sono stato attento a tutto quello che accadeva, pur senza viverci, e svelo che da piccolo frequentavo molto il giardino zoologico e rimanevo un sacco di tempo a guardare l’ippopotamo con la bocca spalancata. Un giorno Antonio mi ha telefonato, anzi l’abbiamo chiamato noi dalla cabina, che credo che siamo stati l’ultima famiglia italiana a mettere il telefono in casa e io chiamavo sempre dal telefono del pronto soccorso del Policlinico che era vicino. Insomma Antonio mi dice questa storia che l’ippopotamo è morto perché una bambina gli aveva scagliato il Cicciobello nelle fauci spalancate e quello si era sentito male che, a dispetto della mole, sono bestie delicate e, siccome io non mi ero laureato veterinario, non s’è potuto fare niente. Ci sono rimasto male e approfitto per dire che mi piacerebbe conoscere quella bambina che sarà a spanna mia coetanea e la guardo in faccia e dico ma perché gli hai lanciato il Cicciobello e già me l’immagino che quella dice che si era spaventata e io le credo. A quell’epoca una bambina col cavolo che si liberava così dell’ambito bambolotto. Magari era Cicciobello Angelonegro che aveva avuto meno successo e allora è un altro paio di maniche. Ora, con la cosa del razzismo, non lo possono produrre, che dovrebbero dire Angelonero e sembra una roba da film horror che evoca morte e devastazione. Per capirci andate a leggervi l’Apocalisse e i cavalieri della medesima che ne combinano di tutti i colori. Con questo però non voglio millantare dimestichezza con le sacre scritture che per quello che mi riguarda sono qui a cimentarmi con l’ennesimo vangelo apocrifo. Anzi vi confesso che non credo in dio così ci togliamo l'ennesimo dubbio. Spesso non credo nemmeno a Ste, che è bugiarda matricolata, ma sul fatto che esiste non ho molti dubbi visto che io porto i soldi a casa e lei li spende in belletti, profumi e gorgonzola di Novara. Soprattutto quest’ultimo.
Le mie passeggiate da piccolo per Sassalvario mi piacevano molto e guardavo dentro al panettiere e pensavo che i grissini dovevano essere proprio buoni ma non avevo il becco d’un quattrino e passavo oltre. Una volta Antonio, che mi appioppava assurde commissioni per un bimbino di dieci anni, mi ha mandato alla farmacia di via Gaetano Bresci a comprare del carbone vegetale e una siringa da insulina. La tipa col camice bianco mi ha guardato come si guarda un bambino drogato e pure scorreggione. Mi è andata di culo che quella volta lì a Antonio gli erano avanzati dei preservativi sennò li aggiungeva alla lista e facevo bingo.
Certe volte mi spingevo fino in via Po, tutto a piedi, e guardavo le vetrine e tutte le pasticcerie e insomma mi divertivo proprio. Un giorno, l’ultimo prima di tornare dai miei, ho visto una bancarella al mercato che vendeva ovviamente animali e mi sono comprato due tartarughe di terra che sono ancora in ottima salute a distanza di quasi trent’anni. Nel viaggio le avevo sistemate in una scatola di cartone con la sabbia del gatto e stavo con l’angoscia che il bigliettaio mi scopriva e mi faceva pagare il biglietto tariffa tartaruga. A un certo punto queste bestie hanno preso ad agitarsi e scavavano e da un buco della scatola ha cominciato a cadere sabbia di gatto. Sulla mia testa. Le persone dello scompartimento mi hanno fatto notare la cosa e io rimanevo lì, a guardarli con gli occhi sbarrati e senza proferire parola. Metteteci che viaggiavo da solo sulla tratta Torino Mestre e che mi trascinavo dietro un monopattino di legno che era il regalo per mio fratello e va già bene che non mi hanno consegnato alla Polfer di Desenzano.
Poi qualche anno dopo alla trasmissione che si chiamava Sherazade si vede Sassalvario e io quasi mi commuovo a vedere quelle strade note. Mi sentivo nel cuore della notizia e quelli a dire che era tutto una merda e non lo voglio mettere in dubbio ma a me sembrava che ci doveva essere stata una qualche epidemia di cattiveria e tutti quei ceffi quando passavo io dovevano essere in pausa pranzo. Invece mi confermano che erano cazzi anche allora ma a me non m’era parso. E allora Antonio era proprio fuori a mandarmi in giro senza pensiero o forse già davo l’impressione di quello che sopravvive.

"Al mondo sono andato
dal mondo son tornato sempre vivo"

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