martedì 29 maggio 2012

marginalia



E la storia che ti porterai addosso te la scopri sulla pelle e nessuno t’ha dato il tempo di prendere due misure, di metterti davanti a uno specchio per tentare un paio di mosse d’eleganza. La storia quando t’accorgi d’averla addosso è  tutto quello che puoi portare, che sai portare. Malgrado tutto. E i difetti e i rammendi sono indizi di una memoria che cade come i bottoni che non saprai mai fermare.
Avrò avuto dieci anni, fai anche undici e era il giorno del turno mio col terremoto, roba che in questi giorni mi fa stare coi gomiti piantati nel tavolo per percepire ogni minimo indizio del rutto maledetto della terra. In una casa vicina alla mia vivevano quattro fratelli e soprattutto il più grande era l’uomo che avrei voluto essere, uno che non lo inchiodavi mai di schiena a terra, uno che sapeva essere svelto parecchio e aveva una specie di moto autocostruita. Il terzo fratello, erano stati fatti serrati uno dietro l’altro, era della mia età e me la intendevo con lui ma quella frequentazione mi dava il privilegio di poter stare in strada con tutti loro. Avevano i coltelli in tasca. Avevano un padre che era andato a lavorare in Canada e non se n’era saputo più nulla. Avevano una casa che stava in piedi con lo sputo e una madre da guerra al demonio. Lo sapevo bene che tutto quello che indossavano, compresi gli invidiatissimi jeans Wrangler, se lo procuravano con certi giri loro e certe sere d’estate, che l’estate puoi stare fuori dopo cena, Mumu, quello più grande, tornava e li chiamava a raccolta e se ne andavano a casa con certe scatole e certe borse. Poi c’era quella storia dei coltelli che ogni tanto davano di lampo per questo o quel motivo e c’era da fare il giro largo. A una certa ora io e molti altri dovevamo tornare a casa e loro continuavano a girarsela fino a notte fonda. I palazzi erano tutti uguali e la loro casa scassa era al bordo delle palazzine. Un giorno una che abitava alla seconda palazzina e che faceva la poliziotta, così dicevano le altri madri anche se io non l’ho mai vista in divisa, si fa il giro degli appartamenti e avverte le madri che quei quattro si vendevano in una via della città dove c’era quel mercato lì della carne dei maschi giovani. Questa qui che era poliziotta aveva un figlio che stava sempre chiuso in casa, non scendeva mai a giocare. Era più piccolo e lo ricordo appena, sempre tutto ordinatino e col capello con la riga. L’effetto dell’infamata fu devastante. Madri e nonne scesero in strada e gridarono ai quattro di stare lontani. A dire il vero la mia di madre non fece nulla di tutto questo ma piuttosto mi raccontò come stavano le cose. Per darmi la possibilità di regolarmi. La notizia mi spaventò abbastanza. Tornai in strada e provai a leggere nei gesti dei fratelli qualche indizio e invece c’era solo quella maledetta cosa che mentre erano lì a giocare a pallone arrivava una madre urlava e loro fuggivano. Ogni tanto ci chiedevano perché ce l’avevano con loro e noi, che pure sapevamo, negavamo sempre. Non avevamo quelle parole lì.
La mia vita s’è portata addosso da sempre la maledizione del trasloco imminente. Me ne andai da quella casa e li rividi di striscio qualche volta ma giusto per far finta di non vederci alla cassa del supermercato. Poi un giorno, vivevo a Battipaglia all’epoca e quei posti erano a un universo e mezzo di distanza, mi raccontano che un ragazzo, uno che era amico del fratello di Corrado, che è il mio amico di sempre e che avevo incontrato a casa loro qualche volta era stato ammazzato con un numero tremendo di coltellate. Erano stati in due e l’avevano ammazzato perché era negro. Uno dei due era il figlio di quella che faceva la poliziotta coi capelli sempre ordinati e il vestito a modo. E mi son tornati alla mente gli strilli delle madri che cacciavano quei poveracci marchiati d'infamia. E mi son tornate in mente le facce loro mentre scappavano e la rabbia loro. Mi son ricordato troppo forse.

Siamo cresciuti davvero come le castagne matte, con un senso di inutilità dei nostri giorni che non ci dava modo di sentire quanto maledettamente fossimo attraversati dalla storia perchè ho buona ragione di credere che la storia non esiste. le storie piuttosto, chi le ammazza quelle. Sono le storie che ti fanno sentire bandito senza tempo.


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