martedì 4 ottobre 2011

tenendo bancone









e me ne vado al bar mio dopo una giornata caricata a sale e sparata nella schiena. mi metto al tavolino mio e bevo e mangio e leggo il giornale. dani e ste parlano con quelli del bar che è una seconda casa nostra. lo dico di altri settanta bar e osterie e trattorie e chioschi e furgoni della porchetta. per fortuna non sono case tassate. e c'è questo qui che c'è sempre e ha un cane vecchissimo che se ne muore un po' ogni giorno, come per tutti gli altri noi compresi ma in questo cane qui è una cosa palese parecchio. son sei anni almeno che sta morendo. quando a quello del tavolo della zecchinetta gli è venuto l'ictus l'hanno portato due mesi dopo a giocare sulla sedia a rotelle come il conte mascetti e lui guardando di traverso il cane vecchio ha biascicato "mi stava sul cazzo che morivo io e 'sto cazzo di cane campava ancora". ma il padrone del cane è uno che ha la faccia strana, sembra uno cattivo. pochi denti in bocca, tutto rasato, collana d'oro. l'ho fotografato mentre guarda di sghimbescio ste che paga alla cassa. l'ho fotografato nel riflesso dello specchio dietro il bancone, ficcato tra l'amaro averna e il don bairo l'uvamaro.sono anni che cerca di parlarmi ma io svicolo che al bar mio voglio bere in silenzio. oggi prende la questione di petto, mi si piazza davanti e inizia a freddo "sono del Cinquantatre, sono nato in fondo alla calabria. eravamo poverissimi che avevamo il mito dei filmi di maciste e andavamo in certe grotte a fare come quei filmi che la maga era moira orfei e la sorella e invece eravamo seccati di fame e pesavamo trenta chili e quando arrivavano le ragazze l'estate dal nord ma mica turisti, gente dei nostri, ci atteggiavamio a fare i tuffi con certi fisici di schifo e si tuffavano da venti metri, io da otto poi siamo emigrati a torino che avevo sedici anni e non ho potuto migliorare il tuffo e ho iniziato a lavorare e i ricci e i polpi che mi mangiavo allora si può dire che sono stati tutta la vita bella che ho fatto perchè poi solo fabbrica, tranne l'anno del militare. se ora mi fai nuotare mi affogo che nella vasca da bagno quasi mi metto i braccioli ma allora era un'altra cosa e sono andato sulla spadara a vedere la pesca e il pezzo attorno alla punta dell'arpione il capo barca lo taglia e dice che lo mangia solo lui che lì è il più buono perchè il pesce ci ha concentrato tutto il dolore. insomma eravamo come dei indigeni e io mi ho rotto un braccio da piccolo e non lo dicevo sennò erano botte e mio padre era civile abbastanza e colla cinghia ci faceva il verde ma mai il nero nero. eravamo sporchi e nella strada che io il polpo mangiavo solo le gambette da crudo e poi buttavo tutto ma se entravi nell'acqua allora era come i filmi dei pescatori di perle ora non c'è più manco l'acqua. eravamo così poveri che a quattordici anni mia madre ha comprato il dentifricio e io e mio fratello che non lo avevamo mai visto l'abbiamo messo sul panbe e ce lo siamo finiuti come un gelato. poi è venuta la fabbrica e non ho più niente da ricordare. mi dispiace.

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