ph. Giorgio Olmoti |
A Porta Cavalleggeri c'è uno su una sedia a
rotelle che presidia un lembo di strada davanti a un paio di pizzerie. Chiede
l'elemosina ma senza troppo strepito a quelli che passano per andare o tornare
dalla madre di tutte le chiese. Frotte di turisti di tutte le nazionalità e
preti vecchi e preti giovani e suore e guide sudate con il microfono sudato e
sandali e calzini e cappelli di paglia. Lui ha la faccia con la pelle di cuoio,
come mio nonno che s'era fatto tre vite in mare. Sta lì seduto e l'ho visto
combattere e vincere contro altri questuanti che si volevano fare la zona sua. Gli passo accanto mille volte, che ormai questa zona, senza volerlo davvero, è
diventata la mia e nei bar mi sorridono e la trattoria comincia a scoprire
cosa mangio e come mi chiamo. Da qui parto la notte per le mie lunghissime
camminate con le scarpe da bosco e il coltellino svizzero che mi ha regalato
Franchino quando eravamo ancora ragazzi e che a tenerlo in tasca mi sento
invincibile. Stanotte verso le due, tornando da strade buie e misteriose, sono
passato per quella strada e l'ho trovato infilato in un portone con una coperta
addosso che dormiva. sempre sulla sedia a rotelle, sorta di centauro della
modernità metà uomo e metà macchina. Dormiva con quella pelle di cuoio, che non
si stende mai, a coprirgli la faccia. Ha aperto mezzo occhio sentendomi passare.
mi sono chiesto come cazzo fa quando deve andare al bagno. Un pensiero stupido,
leggero, della notte, a piedi tra cani di strada. S'è aggiustato la coperta e
ha ripreso il respiro del sonno, del riposo è più difficile. e anche io ho
continuato a respirare, Vivo di abitudini.
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