domenica 27 maggio 2018

Piano ferie








Ho fatto diversi lavori da dipendente, il libretto di lavoro parla di una ventina d'anni distribuiti tra mansioni che vanno dal bracciante di quando facevo le vendemmie al lavoro culturale di bianciardiana memoria. La cosa più triste di quando facevo un lavoro da dipendente era la compilazione del piano ferie. Una sorta di programmazione della felicità a tavolino, in cui a marzo dovevi immaginarti felice a agosto. Era una cosa tremenda in cui usavi i giorni e le ore e i minuti distribuendoli sull'anno solare come merce preziosa, tenendo da parte qualche giornata perché non si sa mai e concentrando in un pugno di giorni quello che sentivi di essere tutto l'anno mentre in realtà continuavi a vivere di gesti e parole che non ti sentivi mai addosso davvero. Per non parlare dei colleghi, quella lotteria dell'umano che genera cortocircuiti della comunicazione e può farti scoprire amicizie bellissime e rancori che si trascinano dalla macchinetta del caffè alla bollatrice. Stima se ne respirava poca ma ci si sorrideva per sopravvivere. 
Poi te ne vai e non li senti più, non li vedi più e capisci che non era solo un sospetto. Ora faccio una maledetta fatica e le ferie praticamente non le ho mai, che lavoro sempre. ma lavoro dalla spiaggia, dal bosco, dal mondo e pure se non avrò mai una pensione e non avrò mai la malattia e non mi daranno mai un mutuo, non devo fare il piano ferie, non devo fingere di non aver capito che mi stai parlando di cose di cui non sai nulla. Il piano ferie mi faceva impazzire ma mai quanto il time report in cui rendevi conto delle ore, una a una, passate alla scrivania. Si compilava una volta al mese. come cazzo ho fatto dico io. I miei colleghi Bianciardi non lo sospettavano. E lavorano in editoria. Forse per questo riescono a resistere ancora.








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