Ho fatto diversi lavori da dipendente, il
libretto di lavoro parla di una ventina d'anni distribuiti tra mansioni che
vanno dal bracciante di quando facevo le vendemmie al lavoro culturale di
bianciardiana memoria. La cosa più triste di quando facevo un lavoro da
dipendente era la compilazione del piano ferie. Una sorta di programmazione
della felicità a tavolino, in cui a marzo dovevi immaginarti felice a agosto. Era una cosa tremenda in cui usavi i giorni e le ore e i
minuti distribuendoli sull'anno solare come merce preziosa, tenendo da
parte qualche giornata perché non si sa mai e concentrando in un pugno di
giorni quello che sentivi di essere tutto l'anno mentre in realtà continuavi a
vivere di gesti e parole che non ti sentivi mai addosso davvero. Per non
parlare dei colleghi, quella lotteria dell'umano che genera cortocircuiti della
comunicazione e può farti scoprire amicizie bellissime e rancori che si
trascinano dalla macchinetta del caffè alla bollatrice. Stima se ne respirava
poca ma ci si sorrideva per sopravvivere.
Poi te ne vai e non li senti più, non
li vedi più e capisci che non era solo un sospetto. Ora faccio una maledetta
fatica e le ferie praticamente non le ho mai, che lavoro sempre. ma lavoro
dalla spiaggia, dal bosco, dal mondo e pure se non avrò mai una pensione e non
avrò mai la malattia e non mi daranno mai un mutuo, non devo fare il piano ferie,
non devo fingere di non aver capito che mi stai parlando di cose di cui non sai
nulla. Il piano ferie mi faceva impazzire ma mai quanto il time report in cui
rendevi conto delle ore, una a una, passate alla scrivania. Si compilava una
volta al mese. come cazzo ho fatto dico io. I miei colleghi Bianciardi non lo
sospettavano. E lavorano in editoria. Forse per questo riescono a resistere ancora.
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