venerdì 27 novembre 2015

e uno e duel










E ieri sera alle Officine Corsare è successo di nuovo. Duel - Cantautori a confronto, il certamen tra due nuove leve della canzone d’autore che si giocano la serata a colpi di brani originali e cover e monologhi. Una nave nella tempesta della poesia che si coniuga allo spartito, dell’emozione che corre a filo di plettro, governata da Federico Sirianni e Tiberio Ferracane, due nocchieri avvezzi alla perigliosa procella. Un altro giovedì all’insegna della canzone d’autore e di qualità anche se qualcuno reclama un’attenzione per una certa vena pop incarnata da Tiberio Ferracane con fierezza andalusa. E ancora, un ennesimo tentativo di Federico Sirianni di palesarsi nella sua inquietante natura più profondamente spirituale, che lo ha spinto in queste ore a tentare di camminare sulle acque, complice un problema allo scarico della lavatrice. Al tavolo della giuria l’immancabile Giorgio Olmoti che, pur cercando di mantenere un basso profilo e facendo della discrezione e della pratica del silenzio la sua cifra stilistica, viene sempre coinvolto nelle serate di Duel per accontentare il vasto pubblico femminile che non manca di manifestarsi in tutta la sua natura più ferina e sensuale, incitando il nostro con mugolii e toccamenti. Egli, Giorgio Olmoti appunto, riesce però a portare avanti il suo compito, a volte gravido di pesanti responsabilità, con abnegazione e bella disposizione d’animo, rivelandosi incorruttibile alle lusinghe dei sensi. In giuria ci sono anche Tiziana Platzer, penna di pregio del panorama giornalistico del mondo occidentale e quindi della civiltà civile e Federica Gilli che porta distillata nelle corde vocali l’idea prima di voce che tutti teniamo nel cuore e nella segreteria telefonica. Una squadra fantastica e irresistibile che con bella disposizione d’animo riesce a recuperare i tempi morti generati spesso da una certa piega che alcuni, chiaramente di origini meridionali, sul palco finiscono per imprimere alla scaletta. Ma non facciamo nomi. Ieri sulla ribalta c’era Sara Madalena da Battipaglia, in verità da Capaccio ma preferisce si dica da Battipaglia trattandosi di luogo noto e a quel punto Giorgio Olmoti, che paga un pesante tributo d’origini a quelle terre, perso per perso, ha suggerito Lisbona o Oslo che uno ci guadagna a bestia di immagine e portamento. Sara era accompagnata dal chitarrista Michele Pastore. A confrontarsi con la compagine campana (questo vezzo cronachistico mi sta bruciando cellule cerebrali più di una regolare assunzione di crack) da Torino, ma con la solita faccia meticcia di quelli che dici da Torino li guardi e già sai, c’era Ila Rosso che s’accompagnava da solo perché un chitarrista disposto dice che non l’aveva trovato. Fatti i due pezzi loro di rito, nel senso delle canzoni, Sirianni e Ferracane spiegano come funziona Duel e questa cosa che i finalisti vanno al Premio Bindi e al MEI e registrano negli studi di Transeuropa e passano in radio a più riprese e mai una lira tirata fuori e si parte. A confrontarsi sono due attitudini artistiche distanti, due antropologie lontane. Ila Rosso, propone pezzi divertenti, deviando da un repertorio consueto che lo colloca robustamente nel novero dei narratori cantanti di un tessuto urbano dilatato e notturno in cui ci si riconosce e, peggio, si teme di riconoscersi, dove il cetaceo piaggiato della fabbrica, l’ombra che grava sui respiri di questa Torino postindustriale. Non manca nemmeno la canzone sui Murazzi che, sia detto tra noi, ha ragione la Platzer che a un’ennesima canzone sui Murazzi preferirebbe essere coinvolta in un incidente a catena sulla Firenze Bologna, altezza Cantagallo, causa nebbia. Però Ila Rosso è uno che sta ficcato come un cuneo, ora diranno che scrivo sempre ficcato e infatti lo faccio apposta come messaggio subliminale e quindi scrivetemi in privato, nella polpa di questa capitale sabauda dal passo sbilenco e dagli accenti mutanti. E a sentire quelle canzoni se sei un cazzo di randagio di queste strade cominci a percepire addosso quell' odore perso tra l’umido e l’accatto. Roba bella insomma. Ma la serata procede ed è la volta di Sara Madalena e se dico che questa mia trentennale frequentazione con la canzone d’autore, questo mestiere mio che s’arena spesso a margine delle storie cantare e delle foto dimenticate e dei film mai montati e di tutta la memoria dell'universo, non s’era mai frequentato con qualcosa di plausibilmente riferimbile a quello che Sara fa sul palco, non esagero. Non sono propriamente canzoni ma è una marea di immagini, un ribollire di evocazioni infulcrate sul corpo e l’animo di tutte le femmine del mondo che ti si propone in guisa di un canto narrativo, di una personalissima gestione del teatro canzone. Resto davvero lì senza darmi ragione di quello che sta capitando sul palco, devo concentrare l’attenzione sui particolari perché forse il totale non posso sostenerlo, nemmeno fosse lo sguardo dell’assassino che attende. Immagini, storie accennate e poi precipitate nel buio di strazianti recuperi emotivi. Da non crederci. Da non credere soprattutto che arrivi da Battipaglia doe ho speso anche periodi consistenti della mia esistenza pencolante fra piazza Madonnina e le pizze a metro a via Italia. E solo per quella protezione di cercare nel minimo scopro che quella chitarra si fa incerta, perde il tempo e la corda e dentro tutto quello spendere c’è un cantiere pieno di potenzialità che andrebbero definite, scolpite, guadagnate alla certezza e alla miglior cura. Ma l’effetto complessivo mi stordisce come raramente capita. E intanto la sera continua e c’è il monologo di Ila Rosso e la scelta di fare Fanigiulo, che apprezzo oltre misura. Sara che dopo aver cantato narrando a voce piena e in bilico su testi difficili e raffinati al racconto accenna la lettura perdendo smalto e forza e scegliendo di cadere scontata sul Suonatore Jones. Ila Rosso in questa fase convince per il mestiere di vecchio arnese di strada che si porta addosso.
Tornano sul palco Sirianni e Ferracane, quest’ultimo cotonatissimo a ricordare certo vezzo estetico degli Ottanta, tipo un incrocio tra Massimo Ciavarro e il cantante degli Alphaville. Sirianni ormai benedice e giura di aver ridato la vista a un cieco. Gerry Siracusa minaccia di sciogliere i capelli replicando in piccolo il miracolo di San Gennaro, Luciano Villata è toornato dall’ultima trasferta e dice di essere una guardia svizzera. Giorgio Olmoti invoca Satana per tenere i conti in pari. Si respira una potente atmosfera mistica. Il pubblico vota e Sirianni prende i voti e non vedeva l’ora. Il pubblico decreta la vittoria di Sara Madalena. Tiberio Ferracane ruba la fidanzata a uno del pubblico approfittando delle interviste. Tocca alla giuria di qualità e Gilli e Platzer danno il loro voto a Sara Madalena decretandone la vittoria mentre Giorgio Olmoti vota coraggiosamente per il bravissimo ed eccezionale e imperdibile e potentissimo Ila Rosso. Da più parti si dice che Giorgio Olmoti, che non ho la fortuna di conoscere, sia l’unico competente in quella ciurma sganghera ma non ci possiamo affidare alle voci di corridoio con troppa leggerezza per quanto vox populi…
A fine serata Giorgio Olmoti ritrova sua cugina ventenne davanti alle Officine Corsare e si intrattengono affettuosamente. Non una cugina lontana ma un potentissimo primo grado di parentela. Ella, la cugina, confermando il bagaglio genetico di pregio di quella famiglia, è molto bella. Gli agghiaccianti barboni che s’accompagnano all’Olmoti nelle persone di Sirianni, Ferracane, Siracusa e Villata, avanzi di un tempo speso indecentemente, si avvicinano e mostrano affettuosamente di essere amici per conoscere la cugina. L’Olmoti capisce la manovra, a cui ha personalmente partecipato milioni di volte con le cugine degli altri, e minaccia e tiene lontani. Sirianni che è persona bieca prende la chitarra e canta canzoni ispirate guardandola secondo lui con aria seduttiva, secondo gli altri come un vecchio alpino che racconta la presa dell’Ortigara. Una cosa imbarazzante. La cugina Barbara si allontana leggermente imbarazzata e Sirianni dichiara di essersi innamorato. Olmoti giura che lo morirà a colpi di mazza se prova solo a pensare di imparentarsi. Litigano fino a notte fonda. All’alba l’Olmoti telefona a quelli del suo clan, alla sua famiglia tribale in cui il taglione è legge oltre che attrezzo per lavorare la porchetta. Si vedrà.
Comunicazione di servizio. Senza fare riferimenti, se sei un cantautore genovese a Torino comincia pure a scappare che tanto ti troviamo.

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