venerdì 13 novembre 2015

CRONACHE DA DUEL






Giovedì 12 è già una scommessa con il destino, che se fai qualcosa nella serata rischi di scivolare senza consapevolezza nel venerdì 13 e di pagarne il pesante e oscuro dazio alle forze delle tenebre e al signore della jella. Ma ieri nessuno ci ha voluto pensare, a distanza da un anno dalla prima edizione ripartiva Duel, un confronto senza esclusione di colpi tra portatori sani, oddio sani a volte è parola d’azzardo, di canzone d’autore. Chitarra e voce per spararsi addosso come nel più polveroso dei corral, come in quei confronti in mezzo alla strada del paesino del Kansas che, come tutti quei posti lì dei film, pare giovarsi di un unico ripetuto piano regolatore che si sviluppa tutto ai lati di quell’unica via. Qualcosa di unico appunto. E c’è il saloon e c’è lo sceriffo bolso e c’è il vecchietto borbottone, e c’è la bella che balla, e c’è la gente sparsa che balle. Tutti gli ingredienti formidabili per una perfetta storia di frontiera. E ieri a giocarsi la pelle delle loro canzoni c’erano Lupita, nata in Messico e cresciuta tra la Francia e l’Italia, e Daniele Chiarella, radici del sud ma cresciuto nella periferia torinese e poi spostato verso la cintura residenziale e osando quasi verso la campagna.  Il tutto si svolge alle Officine Corsare, dove ieri le tagliatelle al cinghiali servite in abbondanti porzioni potevano già da sole dare un senso alla serata e dove c’è un clima che non te lo spiego perché tocca entrarci per capire ma quando sei lì e c’è Duel ti guardi attorno e te lo ricordi di cosa si stava cercando di parlare qui adesso e tanto vale che vieni un giovedì alle Corsare e dai una ragione plausibile della tua esistenza. Insomma, arrivo lì che è presto e si prova. Sono uno della giuria, sono quello che c’è stato sempre, tutte le sere della passata edizione in giuria mentre gli altri giurati si davano il turno e non sono un punto di riferimento quanto piuttosto uno che ha tempo da spendere la notte e lo spende come gli piace. Perché sul fatto che tutti quelli che interagiscano con la macchina complessa di Duel siano a buon diritto coinvolti prima di tutto con la loro passione non ci piove. Poi dentro per alcuni di noi ci passa un mestiere, un’arte, un passo. Sul palco ci sono Federico Sirianni e  Tiberio Ferracane, al timone di questo Pequod con le sartie sbranate dai marosi, affrontando l’abbaglio del bianco leviatano che porta dentro tutte le note e le diminuite e le armonie e gli accordi e le parole, tutte le maledette parole buone per raccontare e cantare e gridare. Stanno lì, Ferracane e Sirianni, due capitani di lungo sorso, due sciacalli di mare che si muovono sul palco come sulla tolda e urlano verso la lancia che salta sulle onde e che è già in caccia. E su quella lancia ci sono i giudici, ci sono anche io quindi, e come ramponieri dannati bilanciamo i nostri attrezzi e colpiamo e rischiamo la gola. Ecco, dopo questa bella tirata di retorica marinaresca, che ben convincerà Ferracane a includere la mia ballata sul ramponiere nel suo prossimo disco, torno a miglior concretezza narrativa e proseguo nella cronaca del duello da bordo campo. 
A cena, prima dello spettacolo ci siamo io, Sirianni, Ferracane, Lupita e Chiarella. Ordiniamo fettuccine al cinghiale per tutti e ho il sospetto che i due sfidanti ci assecondino nella nostra tabella alimentare più per timore di una nostra reazione scomposta che per un reale appetito. A riprova, noi tre, vecchi ferri del mestiere sbattuti da un posto all’altro con le nostre storie da raccontare in forma sparsa, mangiamo senza tregua l’enorme piatto e accompagniamo a grossi sorsi di rosso dopo una giostra iniziale di quintana di gin tonic e vodka tonic e tutto quello che di tonic esiste sulla faccia della terra. I due concorrenti avanzano nel piatto in vago imbarazzo e sorridono alle nostre tremende cazzate. Lupita è bravissima, l’abbiamo sentita durante le prove e è bellissima e quella suggestione western tex mex che si porta negli occhi ci strega subito. Sirianni mantenendo un aplomb e una distanza degne di un serio professionista le propone un tour insieme subito, fissa tre date al telefono gridando frasi sconnesse e io e Ferracane ci guardiamo bene dal segnalargli che lì il telefono non prende. Poi è la volta di Ferracane che imposta lo sguardo a mezzo tra Cassell e Buzzanca e ci basisce tutti con un delirio potentissimo. Guarda Lupita e per fare il signore giura che per lei tornerebbe a rapinare gli anziani come quando aveva vent’anni e una ragazza gli chiedeva di farlo per lei e con lei. Non è chiaro se questo episodio sia realmente accaduto, io e Sirianni con lo scudo della prescrizione, tendiamo a averne bella certezza. A quel punto in onore al mio atteggiamento sempre pacato le chiedo di sposarmi in Messico. Nessuno si fila di pezza Chiarella che mangia, beve e ride con noi e dice “cazzo lei è troppo brava”. Arrivano gli altri della giuria. Tiziana Platzer della Stampa e Fabrizio Chiapello, nume tutelare dello studio di registrazione Transeuropa. Vecchie conoscenze della giuria anche se Tiziana è in realtà giovanissima e ha i capelli con delle zone viola metallizzato che fanno molto spregiudicata. Ora ci siamo tutti. Come ai vecchi tempi. E si parte e canta Sirianni e canta Ferracane e spiegano il meccanismo di Duel e intanto la sala si riempie. Poi è la volta dei due sfidanti. Salgono sul palco e Lupita è lei e la riconosciamo subito e già ci sentiamo in totale confidenza con le sue canzoni e il suo sorriso e poi c’è quell’altro, Daniele Chiarella, che ha dismesso gli abiti da cena e ha sostiutuito la felpa col cappuccio grigia, la stessa che indosso io più o meno, con una sorta di camiciotto rosso che accoppiato a degli agghiaccianti occhiali da sole degni dei Village People ci fa consultare rapidamente tra noi per decidere se chiedere un trattamento sanitario obbligatorio alla vicina ASL. 



E comincia Lupita e ci lascia in bilico sul sogno. Voce rarissima, sul serio, perfetta. Padroneggia la chitarra con bella maestria e quello che ci propone è un esercizio di perfezione. Canzoni in francese, italiano, spagnolo, inglese. Ascoltarla è leggere il libro del mondo, come diceva quell’altro. Tutto eseguito in onore alle scuole alte della canzone, tutto perfetto. I testi forse sono il punto debole, suonano ma raccontano meno. Ma la serata continua. 



Tocca a Daniele Chiarella che prende la chitarra e spara sul pubblico due blues rochi e scombinati, con testi altrettanto in bilico tra verità e surrealtà. Una sorta di Captain Beefheart della prima cintura torinese, una creatura mutante nata dall’accoppiamento forsennato di Muddy Waters con Rino Gaetano, ma che porta addosso segni di passati congiungimenti con Frank Zappa e Pupo e Mariele Ventre. Armageddon. Comincio a agitarmi sulla seggiola. Il pubblico non è evidentemente attraversato dalla mia stessa anima punk, dal mo vizio di mettermi ai crocicchi aspettando il diavolo per firmare un’ennesima ratealizzazione del patto originariamente stipulato. Il meccanismo prevede una cover a testa e Lupita si supera mentre Daniele azzarda una canzone in odor di Genova con Sirianni che si sente colpito nell’intimo e lancia sguardi di territorialità manifesta dalle quinte. E poi devono raccontare una storia e tenere il palco e Daniele Chiarella si gioca l’arma della narrazione convulsa e accidentale e io l’ho capito che c’è tutto un trucco e lo conosco bene che è il mio stesso trucco e sorrido che a cena volava basso e sul palco è un esplosione di invenzioni e perfette cose casuali. Figo tutto, la serata ha un tiro mica da ridere. E poi c’è la votazione del pubblico che propende per Lupita. Sfrontatamente. Non riesco a capire cosa hanno deciso i miei due compagni di giuria e già ho un microfono in mano e faccio il mio numero circense con le parole e i sorrisi strappati ma la cosa è seria e i ragazzi si giocano l’accesso a cose di prestigio significativo tipo la finale del Premio Bindi e il MEI a cui si aggiunge anche la realizzazione in studio del loro brano. Non c’è da scherzare e non scherzo e ci metto del tempo per consegnare alla storia il giudizio mio. A dispetto del fatto che Lupita ha un avvenire artistico già scritto nel cielo, assegno il mio favore della serata a Daniele Chiarella. E poi tocca agli altri due che confermano con miglior competenza il mio giudizio e il meccanismo della serata tiene in conto il voto del pubblico per il quaranta per cento per cui se i tre giudici esprimono compatti il loro giudizio in antitesi a quello popolare si ribalta la scena. Non avete capito ma è colpa mia, venite e tutto vi sarà chiaro. Insomma la prima puntata di Duel alle Officine Corsare l’ha vinta Daniele Chiarella. Poi la serata è andata avanti fino a tardi ma i miei ricordi si fanno meno distinti.

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