martedì 29 aprile 2014

Di me e della mia vita appoggiato ai banconi






Nella roulotte la luce del sole è già entrata da diverse ore. Zaff si rotola nella sua cuccetta e l'odore del caffè che gorgoglia nella macchinetta da quattro, non sembra di grosso stimolo per il suo risveglio. Ziff sta seduto sulla porta, con i piedi che poggiano sul gradino metallico che dovrebbe agevolare l'accesso a quella specie di casa ma che, visto lo stato d'usura e ruggine, funge da antifurto. Nessun ladro rischierebbe il tetano per due marumi.
La notte è trascorsa in un confuso intreccio di eventi e Ziff ha la fronte solcata da rughe recenti.
Mentre medita, smangiucchia il bordo di una piadina con l'alacco, l’unica cosa quasi commestibile che sia riuscito a trovare negli stipi sgangherati della roulotte.
Di fronte a lui la scena di sempre. Si replica.
Teddy Danubio, divo canoro sconosciuto al successo, esce sulla strada polverosa fasciato dal suo completo bianco con i pantaloni a zampa di triceratopo, gli stivaletti in plastica forellata e il mantello con le frange. Attraversa lento lo spiazzo fino all'entrata di quello che lì, pomposamente, chiamano bar e che altro non è se non un vecchio e malandato stand, reduce di antichissime feste dell'Unità.
Teddy si guarda attorno con gesti misurati dall'abitudine. Rimane sospeso una frazione di secondo, tutto calcolato, poi si decide e entra.
Al bancone, come tutte le mattine, c'è Valerio Mascella che asciuga bicchieri con una mano, versa Zabov con l'altra e regge un mozzicone di sigaro con l'altra. A guardarlo bene i conti non tornano ma da quelle parti la soglia dell’attenzione per certe cose non tocca mai quote particolarmente alte. Valerio ai lati della testa ha perso tutti i capelli e gli rimane un'unica, grossa treccia azzurra sulla fronte.
Tra le sedie, Ramolino spolvera senza grosso impegno, evitando di svegliare l'Operaio, che da sette anni dorme con la testa appoggiata al tavolo vicino al telefono a scatti. Nessuno sa chi sia e non c'è nulla che lo possa identificare, se si esclude la vecchia tuta sporca di grasso. All'inizio hanno provato con scossoni, fischi, rutti e imprecazioni, ma lui non ne voleva sapere e alla fine è diventato parte dell'arredo. Questa mattina il vento fa vibrare le pareti di lamiera e il bar è quasi vuoto, visto che quei pochi che nella zona lavorano se ne sono già andati da un pezzo e gli altri tanto vale che rimangano ancora a letto. Ci vorrebbe un sottofondo musicale almeno un tantino allegro ma l'autoradio trasformata in juke-box non funziona perché l'idrogeno si è esaurito.
Se ci fosse una porta, in questo momento sicuramente cigolerebbe, ma all’entrata ci sono soltanto delle striminzite fettucce di plastica, masticate ad altezza bambino.
Teddy Danubio entra, lento come un pistolero o come il treno Matera Bari e viceversa. Quando Ramolino lo vede, smette di far finta di spolverare e corre nel retro. Valerio Mascella cerca di non tradire l'emozione e versa disinvolto dello Zabov sul sigaro che ha in una mano, mentre con l'altra regge un bicchiere sporco che cerca di fumare a grosse boccate. La treccia gli balla sugli occhi e una sudarella gelata gli inchioda la schiena più veloce di quelle potenti colle che non fai a tempo ad aprire il tappo e già il tubetto fa corpo unico con le tue dita. Per sempre.
Teddy Danubio si accosta al bancone, mette la mano alla tasca, sfila un pettine tartarugato che con la forfora e i resti di brillantina sguscia tra le dita come un'anguilla. Guardandosi nello specchio tra una bottiglia e l'altra, si pettina, bagna le sopracciglia con abbondante saliva, fa un paio di facce da duro, ravviva, sbarazzini, i peli che si intravedono nell'ampia sbottonatura della camicia. Da ultimo, alza il colletto e si volta per andarsene. È allora che, come del resto tutte le mattine di quegli ultimi venti anni, Valerio Mascella, che fino a quel momento è rimasto a guardare con tutte le mani tremanti, esplode.
"Stronzo di un morto di fame pappone di tua madre, pezzo di merda catarroso e nero di un boia ladro infame e doppiopettoblu, rottinculo fattinbocca da quattro soldi che a sputarti addosso c'è da schifarsi! Quando cazzo ti deciderai a fregare uno specchio come tutti. Bello lui, entra, si pettina, fa i suoi porci comodi e mai una volta che faccia un'ordinazione. Se ricapiti domani ti stacco quel ciuffo e..."
"Calmati Valerio, lo sai com'è fatto, non vale la pena avvelenarsi il sangue per queste cazzate" interviene Ziff che è entrato, non tanto per godersi lo spettacolo in replica, quanto piuttosto per bere un Taffer che lo aiuti a digerire la piadina con l'alacco.
"Sarà meglio che da queste parti non ci ricapiti più, stronzo" continua Valerio "certo, lui è un divo del microfono, il genio della chitarra. Sai dove te lo metto il microfono..."
Valerio non finisce la frase e si volta verso l'entrata. Riflesso nello specchio ha inquadrato uno strano tipo. Perlomeno curioso. È rara cosa, in questa sconsolata periferia, riuscire a vedere un personaggio come quello. Si tratta di un ometto vestito con un completo grigio di cattiva fattura e che abbottona male, con un cravattone pesantissimo verde smeraldo cangiante e, a completare l'opera, un paio di occhiali della mutua. Le maniche della giacca e della camicia penzolano ben oltre il polso e il risvolto dei pantaloni finisce sotto il tacco dei mocassini con la frangia e i carciofini. Non è comunque l'abbigliamento ad attirare l'attenzione dei presenti sull'individuo. A guardarlo bene si capisce subito che è un poverocristo come loro. La nota stonata è quell'aria particolare.
"Indifeso" pensa Ziff ad alta voce.
"Cosa dici?" Valerio ha sentito benissimo ma non sopporta che gli si rubino i pensieri.
"Che strano tipo indifeso" incalza Ziff "sarà meglio avvertirlo di stare attento. Da queste parti, uno con la sua faccia, non respira per molto."
"Io mi faccio i cazzacci miei" Valerio espone con disinvolta finezza la sua visione del mondo "basta che beva qualcosa, poi per me può anche farsi ammazzare, pisciare nel posacenere, addirittura pettinarsi."
Il tipo è gravato dal peso di alcuni grossi volumi. La cosa sembra costargli un certo sforzo. Le copertine recitano attraenti canti delle sirene in quel caffè di fini intellettuali: Le Meraviglie del Mondo Sommerso, l'Enciclopedia del Bricolage, l'Universo Sconosciuto, i Programmi della Televisione per i Prossimi Trent'Anni.
L'ometto si avvicina a un tavolo e posa i volumi. Il tavolino, a cui manca una gamba, si ribalta con fragore e i libri cadono nella polvere, che è così spessa che sembra di camminare su un campo da tennis. L'Operaio, scosso dal clamore, alza la testa dal tavolino e guarda l'orologio, che nel corso degli anni ha studiato da contachilometri e se n'è andato dalle parti di Arese a convivere con una meridiana ombrosa ma piena di soldi. La cosa non scompone minimamente l'Operaio che, dopo aver consultato il polso nudo, si alza, va verso la cassa, paga, chiedendo lo scontrino a un Valerio che definire stupito è poco; infine esce e a poco a poco scompare verso San Pennacchio.
Intanto il buffo ometto dei libri ha raccolto la sua mercanzia e l'ha appoggiata alla peggio sul bancone.
"Una camomilla, per piacere."
A Valerio pare che, per quel giorno, nulla più possa stupirlo. Si è perfino già dimenticato di Teddy Danubio.
"Una camomilla come?" Valerio interroga lo strano personaggio guardandolo con occhi torvi, resi strabici dalla lunga treccia che continuamente gli balla sulla fronte.
"Una camomilla..." l'ometto esita con la paura di fare una brutta figura "...una camomilla bestiale."
È difficile calmare Valerio. In un accesso di riso convulso scivola sotto il lavandino e viene soccorso da uno scarafaggio.
Intanto l'ometto, rosso in volto, è andato a sedersi a un tavolino sano e si tiene la testa tra le mani. Ziff viene preso dall'impulso irresistibile di andare a sedersi vicino a lui. Pensato e fatto.
"Scusalo, fa così ogni volta che gli si chiede una camomilla bestiale" cerca di minimizzare Ziff "posso chiederti cosa fai da queste parti?"
"Vendo enciclopedie."
La cosa è ancora una volta molto comica, ma il tono dell'ometto fa passare la voglia di ridere a Ziff.
"Scusa se mi intrometto negli affari tuoi, ma questo non mi sembra il posto giusto."
"C'era questa zona da coprire e, visto che nessuno la voleva, l'ho presa io. Tanto per me, finché dura, una cosa vale l'altra."
"Cosa intendi dire."
L'ometto si chiude a riccio, diventa rosso e comincia a dondolare la testa. Si vede che ha voglia di parlare con qualcuno ma non sa da dove cominciare. Ziff è quello che gli ci vuole. Dopo un bicchiere che, passate le prime reticenze, trova buona accoglienza nello stomaco dell’ometto, l'atmosfera si rilassa e, un poco alla volta, il tipo prende a raccontarsi, come del resto succede a tutti quelli che parlano con Ziff.

Ma questa è un'altra storia, com'è sempre un'altra storia.





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