mercoledì 18 dicembre 2013

Racconti di natale




Ricapitoliamo. Mentre leggi fai andare la canzone qui sotto.







Ogni giorno dove pranzo arrivava uno tarchiato che suonava la fisarmonica per strada. Sorrideva sempre. A volte gli offrivano un panino, a volte un bicchiere di vino che scalda. Lui sorrideva sempre. Un giorno Pasquale gli ha chiesto di venire al mio tavolo a suonarmi qualcosa. Ha accennato un Besame mucho senza convinzione. Ho offerto il pranzo. E sorrideva. Se ne stava nel tavolino vicino al frigo delle birre e anche vicino al motorino razza Ciao di Pasquale che è il titolare e nel suo locale ci tiene il motorino e poi dice che la gente si sceglie e non è un caso se vengo a mangiare qui da quindici anni. Quello della fisarmonica aveva raccolto a fatica venti euro, come li scasserei di schiaffi quelli che ti dicono “lo vedi quello in mezzo alla strada, è miliardario ma suona in giro”, e voleva mandarli a casa per natale. Al posto dove spediscono i soldi per il mondo gliene hanno chiesti cinque di commissione. Lui ne aveva promessi venti a casa. Allora ha deciso che doveva raggiungere la cifra di venticinque e s’è messo d’impegno. Suonava per le strade e la notte dormiva in una fabbrica abbandonata. Alla fine c’è arrivato a venticinque e quella stessa notte gli hanno sfondato la cassa toracica a calci e gli hanno rubato tutto. Non la troverete questa storia nelle statistiche. Nessuno denuncia nessuno qui. Trattenendo il fiato, che a respirare con le costole che ti inchiodano il passo c’è da farci attenzione, quello lì è partito per chissà dove. La mattina, scassato di botte, è passato per un saluto e un caffè e ha lasciato la fisarmonica in ricordo a Pasquale. Un cenno con la mano e ha sorriso e la bocca spaccata s’è aperta per una buona ragione. Ognuno ha le sue di buone ragioni. Nessuno di noi ha mai saputo come si chiamasse. Buon natale.



Ieri sera passavo per via Roma. Sotto quei portici abbaglianti e abbaianti alla crisi c’era uno che se ne stava accoccolato tra le coperte con un cane, un vecchio molossoide ansante, appallato di fianco. Un ragazzo con la bici, uno di questi ferri che si usano ora parecchio estetici e senza freni e che non mi sono molto simpatici, sfreccia sul marciapiede, che questi qui si fanno un punto d’onore di sfrecciare sempre, arriva all’altezza del tizio e frena di contropedale intraversando il ferro sul marmo  dei portici per bene. Sorride e dalla tasca tira fuori due tavolette di cioccolato. Le passa al tipo nell’angolo. L’altro le prende e nemmeno sorride. Torno due passi indietro e lascio i tre euro che mi galleggiano in tasca. Tutto quello che ho. Mi sono ricordato che i cani non mangiano cioccolata. Poi giro l’angolo e cerco il buio. Il freddo mi fa sempre venire voglia di pisciare. Buon natale.



Il natale del 1976 era il natale da terremotati. Mica solo per me e la mia famiglia, il sismo era stato il bel protagonista di quella stagione e s’era ficcato di prepotenza nelle vite di tutti  quelli che stavano in Friuli. Nelle vite e nelle morti a ben ricordare. Facciamo il natale tutti insieme, con quell’euforia che ti prende quando sei vivo e hai visto il tuo vicino morto per terra e pensi che avresti potuto esserci tu tra i calcinacci e il selciato. Tra la gente a messa, i miei in chiesa non ci andavano mai ma quella roba lì di essere scampati val bene una messa, c’è questa bambina, figlia di amici, che mi piace da morire. Mi fotto di timidezza oltre ogni ragione plausibile e poi sospetto di essere tutto quello che nessuno desidererà mai con i miei vestiti recuperati ai parenti e il mio raffreddore perenne e regali che non posso sognare. Hanno fatto le tavolate sotto un capannone e ci sono la cioccolata calda e il panettone. I miei mi siedono di fronte alla bimba bionda e io mi paralizzo. Mi giro di schiena. Mio padre prova a torcermi, a voltarmi, a convincermi con quei bei ragionamenti  che ti suonano in testa con la forza di una mano aperta e indisposta. Niente. Già allora ero piuttosto coriaceo. Passerò tutta la serata di spalle al mondo, che il mio mondo voleva stare tutto nel sorriso di quella bambina. Ma questa è una storia di natale e ci voglio aggiungere il lieto fine. Un giorno di primavera lei è arrivata al parco e mi ha visto accoccolato in un angolo che trafficavo. Si è avvicinata incuriosita e ho potuto, sempre senza dirle una parola, condividere il privilegio di stare con quei cuccioli nati in una crepa grossa del muro e che la madre nascondeva al mondo ma non a me. Stavo giocando in casa e ho alla fine vinto quei sorrisi e quelle parole. A modo mio però. Buon natale.



Mia nonna faceva gli struffoli a natale. Una macchina scenica che ingombrava la casa di odori e fiamme e fumo e meraviglia. Ne faceva montagne. Con mio fratello passavamo i pomeriggi a fingere di studiare e a mangiare gli struffoli. Li rubavamo alle porzioni che erano destinate in dono a altri. I nostri erano un tesoro da guardare a vista. Tutto quello che avevamo da guardare a vista. Buon natale.



Quando Dani aveva quattro o cinque anni siamo andati a fare il natale dai nonni a Perugia, che i miei vivono lì da un pezzo ma è un pezzo che non mi riguarda direttamente perchè quando sono andati a vivere in Umbria nell' ottantasette io stavo già per conto mio. A casa dei nonni si mangia oltre ogni misura plausibile e durante le feste di più. All'epoca mio padre aveva deciso di vestirsi da babbo natale per il nipotino. La corporatura lo rendeva decisamente credibile. La notte del ventiquattro andiamo nell'uliveto davanti a casa e facciamo correre i cani. A un tratto sul balcone vediamo questo omone vestito di rosso che ci saluta. Con mio fratello ci eravamo accordati e avevamo fatto lasciare al bambino un budino per babbo natale. Mio padre odia il budino. Dani continuava a dire "nonno, speriamo che babbo natale mangia tutto il budino" e lui ci guardava con odio vero. Appena Dani vede il signor babbo natale in atto di penetrare con effrazione all'interno delle nostre mura domestiche, si lancia verso casa. Gridando. A quel punto partiamo tutti, persone e cani. Gridando. Abbiamo detto a Dani che se riusciamo a catturare babbo natale lo scassiamo di botte e gli rubiamo tutti i regali. Fa parte dei criteri educativi che ho selezionato nel tempo. Spalanchiamo la porta e mio padre natale che sta ancora piazzando i regali sotto l'albero, si alza e cerca di scappare verso il balcone ma cade e urla "vaffanculo". Dani si blocca e sbarra gli occhi. "Ha la stessa voce del nonno e dice le stesse cose". Tutti ridono e mio padre sfugge miracolosamente alla cattura. Ritorna zoppicando e ci guarda con l'aria di volerci far arrestare per oltraggio alla tradizione. Di colpo Dani smette di scartare il regalo e guarda il nonno "Il budino, avrà mangiato il budino babbo natale" "andiamo a vedere" dice il nonno. Vanno in balcone e il piattino è vuoto. Dani è felicissimo. La mattina i cani si sono accaniti, è la natura loro, sul budino spiaccicato sul selciato. Proprio sotto il balcone. Buon natale.




1 commento:

  1. Storie di vita, tristi, malinconiche, allegre e vere come la realtà che da sempre ci prospetta quel che è.
    Ti ringrazio per le tue storie, sempre belle da leggere.
    Ho letto oggi i tuoi ringraziamenti, non sempre mi è possibile leggere il tuo blog.
    Complimenti ancora per come racconti la vita, sembra quasi che tu la respiri e complimenti per il modo delicato con cui ami tua moglie ;-).
    A rileggerti.
    M.

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