Carlo Naya, Scrivano e traduttore, Napoli, 1865 |
Carlo Naya, nato a Tronzano Vercellese nel 1816 e morto nel
1882 a Venezia, lega alla città lagunare la sua fama di fotografo. In realtà
compì i suoi studi universitari a Pisa e viaggiò molto in Italia e all’estero
ma è effettivamente a Venezia che la sua attività di fotografo ebbe chiaro
compimento professionale. Normalmente dedicato al racconto della città secondo
uno schema narrativo riconducibile all’esperienza dei vedutisti, subisce il
fascino del fermento che si muove tra le vie strette della città che i suoi
magnifici scorci non sanno certo raccontare. Nella sua produzione affiorano
dunque reperti di quella che oggi chiamiamo foto sociale, racconti di marginalità,
di piccoli commerci di sussistenza. Una foto notissima, risalente al 1865 e
che, colorata, ritroviamo anche nel catalogo di Giorgio Sommer è quella dello
scrivano e traduttore di piazza. Realizzata a Napoli questa immagine è una
sintesi efficacissima del suo tempo. Siamo agli albori dell’unità d’Italia e il
meccanismo di costruzione dell’identità nazionale è ancora lungi dall’essere avviato
secondo la strategia che prevede l’attivazione di percorsi scolastici minimi
estesi a ampie fasce della popolazione, così da poter costruire una lingua
condivisa sulla babele di altre lingue e dialetti che suonano avverse al
concetto stesso di unità. Il grado di scolarizzazione in quello che fino a
pochi anni prima era il dominio borbonico era piuttosto basso e per leggere le
lettere, per scriverle alle persone care che s’erano avviate verso i flussi
migratori, toccava chiedere aiuto a persone istruite. Lo stesso valeva per la
gestione burocratica della propria vita, documenti, ingiunzioni, chiamate alla
leva, tutto quel sistema complesso che oltre la scolarzzazione puntava alla
costruzione a tappe forzate di un identità condivisa. Nei vicoli napoletani
Carlo Naya fotografa dunque questo scrivano e traduttore ambulante mentre offre
i suoi servizi professionali a una donna. Il personaggio ha un aspetto strano,
marca la sua immagine di studioso ponendo l’accento anche sui modi e l’aspetto
secondo una divertente strategia di marketing. La donna, nella posa cercata
dall’artista, guarda allo scrivano come al maestro di porta di un mondo
misterioso e irragiungibile.
Sembrano memorie di un tempo lontano.
A Torino quando il tempo è
propizio un ragazzo tunisino sposta il suo ufficio all’aperto e riceve i suoi
clienti. Permessi di soggiorno, curricula, libretti di lavoro. C’è una piccola
fila ordinata in attesa nel tardo pomeriggio e c’è un vassoietto con i biscotti
per ingannarel’ansia. Guardandolo mi sono ricordato di Carlo Naya e del mio
rifiuto di pensare “le immagini di un tempo” preferendo piuttosto pensare che
le immagini hanno tutto il tempo che vogliono. Con buona pace di quelli che non
seppero spiegarsi a suo tempo perché il mio racconto per immagini dei giorni
del boom economico passasse dai vicoli delle città percorsi dall’acquaiolo e dall’impagliatore
di fiaschi. Le fabbriche c’erano, certo che c’erano, perché i racconti valgono
tutti. Tutti appunto. E questo me lo son fatto scrivere da un signore alla fermata
del tram. Per pochi spiccioli in cambio. Tenetene il debito conto.Giorgio Olmoti, Scrivano e traduttore, Torino, 2012 |
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