venerdì 25 novembre 2011

la memoria fotografica





La ricerca  storica tradizionale ha basato, fino a tempi relativamente recenti, la sua struttura metodologica sull’analisi e l’esplorazione di precise tipologie di fonti, che erano considerate più “affidabili” rispetto ai dati forniti. Allo scopo l’esperienza dello storico era tutta circoscritta agli ambiti istituzionali, come archivi pubblici, biblioteche, musei, fondi privati di particolare consistenza. Anche in questi precisi ambiti il ricercatore tendeva a circoscrivere ulteriormente il suo terreno d’indagine, evitando di prendere in considerazione alcune tipologie di fonti. Negli ultimi anni la metodologia della ricerca ha accettato di confrontarsi con le fonti  in maniera molto più ampia e articolata. Lo “storico orco” teorizzato da Marc Bloch, fagocitatore di tutti gli ambiti documentali e in grado di analizzare le diverse tipologie di fonti riportandole sempre sul piano prioritario dell’ambito storiografico, è ormai una figura metodologica consapevolmente accettata dagli studiosi. Alle fonti tradizionali si affiancano adesso bacini documentali meno esplorati e il cinema, la fotografia, la musica, la pubblicità, la narrativa, il fumetto, la grafica, la cultura materiale, s’ intrecciano e si confrontano, fornendo spesso aspetti inediti e inconsueti delle realtà storiche e sociali che s’ intende analizzare o, ancora, rafforzando con ulteriori prove, la lettura di un determinato periodo già analizzato attraverso elementi consueti alla ricerca. Un impegno metodologico di questo tipo pretende una robusta preparazione del ricercatore che non può permettersi di indagare in modo superficiale le diverse tipologie di fonti ma che deve altresì essere edotto dei problemi di gestione tecnica dei materiali o di veicolazione degli stessi in rapporto al periodo di produzione. Risulta evidente che la natura infinita di informazioni possibili da confrontare sollecita un rapporto fitto di scambio all’interno della comunità scientifica e la costituzione di specialità d’ambito che di volta in volta possono essere coinvolte. Altro è l’ambito proprio dello storico dell’arte o del cinema, più specificamente vocati alla dissezione di determinati materiali, allo storico possono servire magari solo alcuni indizi contenuti nella tela o nella pellicola ma un confronto interdisciplinare diventa irrinunciabile e consente di acquisire altri elementi.
 
Il confronto tra le diverse fonti consente un’esposizione dinamica della ricerca storica, che permette di trasferire informazioni in maniera accattivante ma sempre senza banalizzare i contenuti. Soprattutto a livello didattico, la possibilità di leggere un periodo storico, attraverso l’interazione dei testi tradizionali e una rassegna di film o una panoramica dei linguaggi  pubblicitari dell’epoca, o, ancora, attraverso la canzone, può offrire la possibilità di lavorare con la variazione dei temi, su una soglia d’attenzione difficilmente raggiungibile attraverso l’esposizione tradizionale.

Proviamo a fare un esempio d’approccio metodologico: la lettura di un’immagine non è solo funzionale all’analisi tecnica o dei contenuti cosiddetti espliciti. Un film non deve necessariamente essere filologicamente  corretto nella ricostruzione del periodo e dei luoghi in cui i suoi personaggi si muovono ma spesso fornisce indizi sulla storia sociale o politica di un determinato contesto che  rischiano di passare inosservati. Nel 1963 il regista Ugo Gregoretti propone nelle sale italiane la sua prima opera cinematografica importante, sulla scia dei successi televisivi di questo autore. Omicron, questo il titolo del film, è uno stranito film fantascientifico in cui un extraterrestre  entra nel corpo di un operaio torinese, interpretato da Renato Salvatori, e inizia la sua esplorazione del mondo degli umani. La pellicola segnò inesorabilmente la carriera cinematografica di Gregoretti che non seppe più recuperare l’insuccesso di sala. A onor del vero, a volte la storia raccontata nella pellicola risente di ingenuità piuttosto evidenti che ne fanno a oggi un prodotto visto solo da cultori. Per lo storico però questo prodotto minore consente la lettura di determinati aspetti sociali significativi.  L’extraterrestre arriva alla catena di montaggio e l’uomo si prende la rivincita sulla macchina che dal celeberrimo Chaplin di“Tempi moderni” aveva infierito sull’elemento umano, ridotto a mero ingranaggio produttivo. Stavolta l’uomo è tale solo nell’aspetto esteriore e lavora alla pressa con un ritmo forsennato, fino all’esplosione della macchina utensile. Ai colleghi sbigottiti da tale incremento produttivo il caporeparto sottolinea che da adesso si lavora a quel ritmo e che non vuole più sentire parlare di supersfruttamento. A questo punto lo storico è sollecitato. Il concetto di supersfruttamento fu materia di dibattito sindacale solo nel ’63, anno di produzione del film. Successivamente si ritenne inutile distinguere tra sfruttamento e supersfruttamento e probabilmente di questa polemica restano solo brandelli scomposti negli archivi ma in questa pellicola, pure minore e sicuramente, per la scelta del regista, lontana da temi marcatamente realistici, ne abbiamo sicuro riferimento. A questo punto il laboratorio attivato comincerà a ricostruire gli anni del Boom economico attraverso le canzoni dell’epoca, le fotografie, i giornali, la pubblicità e gli apparati multidisciplinari svilupperanno in modo naturale un possibile prodotto multimediale.
Abbiamo scelto un esempio piuttosto specifico e complesso nella gestione perché risulta evidente che altri materiali danno immediata ragione dei possibili collegamenti ma se tutto è fonte ci si può applicare anche su temi considerati marginali e poco utili. Certo se si vuole parlare di guerra di resistenza e si utilizza “L’Agnese va a morire” di Giuliano Montaldo i riferimenti sono molto più diretti ma è lo storico che ci può raccontare l’importanza di una pellicola sui temi della resistenza che ha per protagonista una donna e che viene realizzato nel 1976, anno in cui la figura femminile  è al centro di aspre lotte di rivendicazione.
   
L’interazione delle diverse tipologia delle fonti restituisce efficacemente  i quadri politici, economici e sociali. Altro è raccontare il boom economico dell’Italia degli anni Sessanta attraverso le tabelle di analisi demografica e i grafici che danno ragione degli incrementi produttivi, altro è affiancare a questi dati le pubblicità dell’epoca dove categorie sociali come la casalinga e il giovane, compiutamente espresse in quel periodo, hanno una loro evidenza e sono in relazione coi beni di consumo e le abitudini nuove. A livello didattico non deve sfuggire il rapporto che corre tra l’utente medio e i materiali proposti. Ci sono immagini, segni, gesti che sono entrati ormai nell’immaginario collettivo come iconici di una determinata epoca. Se mostriamo un’ utilitaria Fiat 500, sappiamo per certo che il richiamo agli anni del boom è piuttosto automatico e conviene lavorare sul dato acquisito per fornire sicurezza e consapevolezza. Successivamente all’immagine della famiglia stipata nell’utilitaria  affianchiamo la pubblicità di un frigorifero e raccontiamo che sui mercati internazionali l’Italia si colloca come massimo produttore di quell’elettrodomestico. Il dato è interessante, curioso ma soprattutto reso meno lontano dalla vicinanza con la nostra utilitaria che fornirà  un ponte tra le informazioni acquisite e quelle nuove.
Attraverso questo confronto si potranno definire le differenti identità culturali, i modi sociali mutuati da ambiti esterni e più in generale avere una visione complessiva degli eventi storici. A questo punto proponiamo un film dell’epoca che mostra una famiglia in vacanza, lo associamo a una canzone come “Con le pinne, il fucile e gli occhiali” e possiamo permetterci una riflessione sul tempo libero e sulle ferie di massa e, più in generale,  sulle modalità di sviluppo della società industriale. 


 
Nell’ottica del “tutto è fonte” nuovo interesse destano i materiali conservati all’interno dei singoli nuclei familiari e nelle piccole comunità, supporti fondamentali di certo lessico familiare e conservati come traccia di memoria domestica. I riti di passaggio fondamentali, la nascita, la formazione di una coppia, la morte, trovano testimonianza efficace nei materiali conservati nei cassetti delle case di tutte le famiglie, indipendentemente dall’estrazione sociale. Lo storico trova spunti alla ricerca anche in elementi che all’origine non rivestivano interesse specifico. Una foto può ritrarre un lontano parente e per chi la possiede è già supporto alla memoria, all’emozione ma magari lo storico troverà più interessante il tram a cavalli che si intravede alle spalle del personaggio ritratto. In ogni caso non c’è un ordine gerarchico di interesse dello studioso nei confronti delle fonti e anche quelle domestiche possono rivelarsi efficaci testimoni.


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