martedì 22 novembre 2011

Cogli l'attimo furente




Il professionismo in fotografia si è svelato, nel corso dei passaggi storici attraverso il Novecento, come una dimensione eclettica che continuamente deve misurarsi con il mercato e con le evoluzioni tecniche. La moda, la foto industriale, il design, la politica sono ambiti che sanno ancora una volta svelare l’efficacia innegabile del mezzo fotografico nell’epoca della comunicazione di massa. La possibilità estesa a tutti di realizzare immagini si amplifica nell’era della fotografia digitale, stravolgendo i criteri di gestione dell’immagine professionale ma anche il rapporto dei mezzi d’informazione con il prodotto foto. Vale la pena fare una riflessione sulla fotografia come prodotto del presente. Con l’affermazione dell’immagine digitale, che consente una produzione di immagini altissima a costi contenuti e una altrettanto rapida veicolazione delle stesse, l’ambito professionale ha dovuto far fronte a nuove problematiche. La questione centrale dall’inizio era proprio la riconoscibilità autoriale. Tre sono le peculiarità che identificano il professionista nella massa fotografante: l’occhio, che consente di scegliere l’inquadratura più efficace per raccontare con le immagini e per catturare emozioni; la capacità di utilizzare efficacemente strumenti tecnici complessi; il confronto con il mercato. Con la fotografia digitale la stessa proprietà di un’immagine, attestata dal possesso del negativo originale, entra in crisi, rendendo meno definito il concetto di titolarità autoriale, per il quale tanto si sono battuti i fotografi professionisti nel corso di tutto il Novecento. Le fotografie reperite in rete possono essere scaricate e manipolate con una facilità mai prima registrata con i supporti tradizionali, e anche i materiali cartacei possono essere riprodotti con una fedeltà che con i sistemi analogici richiedeva una certa esperienza e attrezzature specifiche che ora sono compendiate efficacemente da scanner a prezzi abbordabili e da programmi di fotoritocco alla portata di una buona parte degli utenti di attrezzature fotografiche.
La realizzazione di immagini di qualità con gli strumenti disponibili sul mercato delle macchine digitali, che solo fino a pochissimo tempo fa offrivano prestazioni ancora lontane dai risultati ottenibili con le pellicole, consentono ora un incredibile controllo dell’immagine e l’impiego di attrezzature assai meno dispendiose e ingombranti di quelle tradizionali. Senza contare che non c’è la necessità di avere tra lo scatto e il prodotto finito la mediazione del laboratorio, perché il file è disponibile da subito, e inoltre può essere migliorato e modificato dai programmi studiati allo scopo, Le esigenze professionali fanno però in modo che anche in questo ambito le specializzazioni determinino l’utilizzo di attrezzature più sofisticate, giustificando gli investimenti con il rientro commerciale. Di pari passo con l’evoluzione tecnica, il professionista lavora sui moduli espressivi e sullo stile che in qualche modo possa caratterizzare il suo lavoro, cercando di connotare i suoi scatti attraverso una precisa personalità autoriale. Innegabilmente però, aldilà degli esiti della produzione di immagini professionali, la nostra epoca si caratterizza per una produzione enorme di fotografie e con questo dato deve confrontarsi necessariamente anche il professionista.



New York, undici settembre 2001, nella mattinata due aerei si schiantano in rapida successione contro le due torri del World Trade Center. A pilotare i velivoli, in un’azione combinata tremendamente efficace, è un gruppo di terroristi islamici. La nostra analisi di questo episodio si limiterà alla sua rappresentazione attraverso la realizzazione di immagini. Nella sua natura più strettamente dinamica, l’azione dell’aereo che impatta sull’edificio è caratterizzata da due elementi fondamentali che sono anche ispiratori delle soluzioni tattiche adottate dal commando: la rapidità e l’effetto sorpresa. L’aereo arriva veloce e inaspettato sul suo obiettivo, impedendo l’attivazione di qualsiasi contromisura dei sistemi di sicurezza. Un' azione così repentina non si può certo documentare agevolmente con una macchina fotografica. Nessun fotografo, per quanto ben scortato dal meraviglioso “istinto dell’attimo” potrebbe farsi trovare pronto, con le attrezzature sapientemente disposte, teso a fermare l’immagine dell’aereo che impatta contro l’edificio. Il professionista, e ben lo sanno quelli specializzati in foto naturalistica, si apposta valutando la probabilità che davanti ai suoi obiettivi si verifichi l’evento che dia un senso di eccezionalità ai suoi scatti o che almeno possa descrivere significativamente il contesto che intende raccontare con i suoi scatti. Ai fotoamatori che catturano frequenti immagini, a volte interessantissime, che pure resteranno nei cassetti ignare dei giochi del mercato, ai dilettanti presi da passione passeggera per la realizzazione delle fotografie, a quelli che girano con una macchina fotografica in tasca perché non si può mai sapere, resta da giocare la partita del caso, con un calcolo probabilistico che ai giorni nostri gli assegna già il premio per la puntuale documentazione grazie solo al loro numero enorme rispetto alla schiera selezionata dei professionisti.
E infatti dell’aereo piantato sul fianco del grattacielo e nella polpa dello sgomento di milioni di persone abbiamo testimonianza grazie a quelli che erano lì, in vacanza, concentrati a raccogliere schegge di memoria per implementare archivi domestici. Il rumore assordante dell’aereo che piomba sulla città e gli sguardi che d’istinto si rivolgono al cielo e l’inquadratura della famiglia sotto le Twin Towers che si perde perché l’obiettivo segue l’attenzione di chi scatta e guarda verso il cielo, verso l’incredibile: nelle videocamere riempite di sorrisi turistici, nelle fotocamere usa e getta, nelle webcam puntate sulla città statunitense paradigma dell’Occidente, quel momento viene impresso e passa dai bollettini su Internet ai notiziari e ai giornali e la qualità è poca cosa ma nemmeno dalle immagini di partigiani impiccati, scattate scostando appena un lembo del cappotto davanti all’obiettivo clandestino, ci si attendono esposizioni calibrate, dettagli e definizione. Eppure di quel breve attimo, non certo dell’agonia dei due grattacieli e delle facce dei soccorritori e dei corpi di quelli che scelgono di lanciarsi nel vuoto per non morire arsi vivi, tutte cose che già avevano addosso le lenti rapide, esperte dei professionisti, rimane memoria grazie al lavoro capillare di catalogazione dei gesti minimi che è caratteristica del nostro presente e che si affida alla moltitudine dei praticanti della fotografia. Già a partire dal secondo impatto, gli obiettivi dei grandi professionisti sono tutti puntati sulla scena, dando prova dell’efficienza della macchina complessa del mondo dell’informazione. Sui giornali e nelle mostre allestite successivamente, le immagini dei fotoreporter più o meno improvvisati e quelle dei professionisti viaggeranno in parallelo, e sarà difficile distinguerle tra loro.

Proviamo ora a spostare l’attenzione sulla realtà italiana. “Un morto, quasi seicento feriti (560), oltre duecento persone arrestate (219), circa cinquanta miliardi di danni: ecco le cifre del G8. Ecco i numeri del vertice degli otto paesi più industrializzati, andato in scena a Genova da venerdì 20 luglio a domenica 22. Tre giorni di discussioni per i grandi della terra, tre giorni segnati in maniera tragica dall’uccisione di un ragazzo di 23 anni, Carlo Giuliani, uno dei contestatori colpito venerdì pomeriggio da un colpo di pistola esploso da un giovane carabiniere. La foto di questo ragazzo, steso sul selciato di piazza Alimonda, con una pozza di sangue ad allargarsi dietro la testa, le braccia a croce e un compagno che tenta di rianimarlo è il simbolo di quello che è accaduto a Genova.” (1)



Genova nell’estate del 2001, in corrispondenza con il G8, che si è deciso di tenere nel capoluogo ligure, è attraversata da aspri scontri. Come era già accaduto nel luglio del 1960, stesso mese stesse scene per i carrugi genovesi, gli scontri tra dimostranti e forze dell’ordine sono violenti. Il culmine di questi eventi è l’uccisione del giovane Carlo Giuliani. La scena della tragedia è in piazza Alimonda. Un fuoristrada dei carabinieri viene assaltato da un gruppo di manifestanti. Dal finestrino rotto del veicolo spunta una mano che stringe una pistola d’ordinanza. Un giovane a volto coperto, Carlo Giuliani appunto, sta avanzando incontro al mezzo e ha tra le mani un’estintore che ha appena raccolto da terra e che, nelle probabili intenzioni, sta cercando di scagliare contro il fuoristrada dei carabinieri bloccato da un cassonetto. Rimane freddato dal proiettile che lo colpisce allo zigomo. Ebbene, di quella scena si scopriranno fotografie diverse, angolazioni e particolari che potranno offrire indizi alla verità.
Tutte le inchieste, le analisi, le cronache dei giornali utilizzeranno le immagini per spiegarsi e spiegare quei tragici secondi che passano tra il momento in cui il ragazzo raccoglie l’estintore da terra e il momento in cui giace immobile in una pozza di sangue (2). Perché di questo si tratta, di pochi secondi che pure sono testimoniati con un’incredibile quantità di materiali filmati e fotografie. Ancora una volta viene da chiedersi se per le vie del capoluogo ligure in quella giornata si muovessero fotografi e videoperatori dalla spiccatissima sensibilità, capaci di intuire la tragedia incombente e di fermarla sulle pellicole e nelle schede di memoria o piuttosto la mole di documenti fotografici prodotta in quelle ore era tale da farci pensare che di tutti i momenti di quella giornata tragica ci siano immagini testimoni ora conservate negli archivi istituzionali, nelle agenzie, negli schedari dei professionisti, nelle sedi delle diverse compagini scese in piazza per protestare e, infine, nei cassetti di casa. Addirittura la testimonianza che pare nei giorni successivi più attendibile e che tutti i giornali riportano è quella di un fotografo free lance (3), quasi che in quella moltitudine la sua possibilità esegetica fosse più significativa proprio per l’abitudine del mestiere che la collettività pare riconoscere (4). Quasi che, in quella moltitudine di testimoni sbigottiti, quello che il fotografo vede e può raccontare sia per sua natura più affidabile come documento. L’equivoco della foto come portatrice di verità pare irrobustirsi col tempo. A dispetto delle acquisite consapevolezze di chi indaga le fonti.A dispetto di chi resta in terra.



 La conclusione di questa nostra riflessione ci porta ancora a ritenere che non è così azzardato affermare che più che grandi fotografi esistano grandi fotografie ma, nondimeno, certe figure autoriali hanno saputo negli anni costruire un lessico complesso e raffinato che è diventato pagina privilegiata per raccontare la nostra storia recente.

Le immagini che nella società moderna hanno un’autorità praticamente illimitata sono infatti soprattutto immagini fotografiche, e la portata di questa autorità deriva dalle caratteristiche proprie delle immagini prese da macchine fotografiche.” (5).



note


(1)        Il G8 finisce nel sangue. Ucciso un manifestante. La Repubblica, 22 luglio 2001.
(2)  Una rassegna dei materiali fotografici e video è contenuta in rete sul sito www.piazzacarlogiuliani.org.
(4)             Un primo comunicato stampa dell’ANSA, datato 20 luglio 2001, h. 20.16, recita: “Ho sentito due colpi. Pensavo fossero in aria invece ho visto cadere un ragazzo”. Bruno Abile, fotografo freelance di Parigi, racconta la sparatoria nella quale e' rimasto oggi ucciso un giovane a Genova. Questa testimonianza, arricchita da particolari, viene successivamente riproposta da molti giornali italiani.
(5)             Addirittura l’esame autoptico della salma di Carlo Giuliani, un documento possibilmente basato sull’analisi scientifica, farà riferimento alla documentazione fotografica: Tenuto conto dell’altezza della vittima (165 cm) e della traiettoria balistica del proiettile bisogna ritenere che il feritore fosse più alto del Giuliani o meglio (alla luce anche della documentazione fotografica dei fatti) fosse in posizione elevata rispetto alla vittima. (il verbale è consultabile per intero sul sito www.piazzacarlogiuliani.org).
(6)             Susan Sontag, Sulla fotografia, Einaudi, Torino, 1992, pag. 132.
 

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