giovedì 11 agosto 2011

Dio c'è


 E l'altro giorno camminando per la repubblica di Infradito, territorio inevitabile di questo mio agosto nomade ho trovato la scritta "Gesù sta arrivando". Una notte a Ivrea a vevo fotografato dei bigliettini appiccicati in giro con la medesima frase e poi a Torino, su via Nizza, tra la gelateria e il cavalcavia da fare col Guzzi di notte in quarta piena, che ognuno ha i riferimenti che si cerca, di nuovo. Stavolta a bomboletta. Ora a seicento chilometri di distanza la scritta mi si palesa a bordo lago e la leggo dalla canoa. Arrivo dai canneti e folaghe e germani e un paio di aironi mi si sono svelati come la conferma che il paradiso c'è già e ad aspettare si fredda che è poi il senso ultimo di questa mia ossessione per la vita, per il sesso e per il respiro. "Gesù sta arrivando" buttato tra un Juve merda e un "mirko e shilla tre mt. sopra il celo" non è un problema ma proposto con insistenza è strategia. con supporti diversi per giunta. ma chi sono e soprattutto perchè ritrattano. Qualche anno prima trovavi scritte perentorie che trasudavano certezza. "Dio c'è" a bomboletta sui viadotti e sui cartelli stradali. Niente di paragonabile col mistero vampirico di "Emoscambio" e neppure con la scritta "Valdazze" che per una ventina d'anni ha addobbato l'appennino tosco emiliano. Però c'era per tutta la penisola e io me ne intendo di tutta la penisola e addirittura una mia vecchia zia mi aveva spiegato che era un messaggio cifrato per i drogati che voleva dire "Qui c'è la droga". Come un toxicgrill. Come la macchina dei pompini che una notte si voleva brevettare. Però passare da "Dio c'è" a "Gesù sta arrivando" è ammettere la sconfitta. E chi sono questi che scrivono. Sarà il sole di oggi che picchiava sulla canoa, sulla testa e sul lago. 



Certe strade bisognerebbe vederle. I tornanti che non finiscono mai, il caldo e il freddo, il freddo e il caldo e non sapere mai come vestirsi. Il riscaldamento della macchina lo evito, visto che dalle bocchette escono i fumi del motore.
Quelle altre poi, le strade lunghe le chiama lui,  larghe per correre, con i viadotti e i cartelli verdi, a volte blu. Sempre un lavoraccio.
La macchina gliela passano quelli del ministero e lui non ha che da presentarsi alla sede centrale alle ventunoetrenta, firmare il registro e uscire con gli altri. Con i colleghi poche parole, che a essere Servizi di Stato così Segreti ci si guarda sempre con sospetto. Basterebbe una parola di più e ciao lavoro.
La Uno Van e' diesel e dentro c'è tutto quello che può servirgli. di suo ha aggiunto una fiaschetta col cordiale, anche se non si potrebbe, e una macchinetta fotografica, che proprio non si può. In realtà da fotografare c’è ben poco, visto che tocca lavorare sempre al buio e quel flashetto incorporato serve a poco e niente. Giusto all’alba, mentre torna verso casa, gli scappa un paesaggio, sempre con quella dominante azzurrognola e il cielo rosso. Entrando a casa butta i rulli riavvolti nella borsa verde di cordura, senza svilupparli mai. Con gli anni molte strade ha imparato a conoscerle e ora il suo è, come si dice in gergo, un “lavoro di mantenimento”.
Stanotte però gli hanno dato una zona nuova. Segue alla lettera le istruzioni consegnate in segreteria. Mille e mille volte ai corsi di addestramento gli hanno ripetuto che tutto è frutto di attenti studi e l’approssimazione deve essere bandita.
La strada sale su tra i boschi e si perde nel buio. Guida piano per non schiacciare i ricci e ancora si ricorda di quella volta sulla Romea che c’era rimasto malissimo.
Arriva al punto prefissato. Il contachilometri parziale, azzerato come da istruzioni alla tripletta di Musanello, segna nove. La descrizione del posto corrisponde. Per non lasciare la macchina in curva supera il punto stabilito di qualche metro. Apre il portellone e cerca nella scatola delle bombolette. Il colore è sempre lo stesso da anni, per la gioia di chi è riuscito a piazzare una invendibile partita di vernice nitro. Meglio non chiedere. Sia come sia, questo colore di merda, questo blu depresso gli tocca ricordarselo ogni volta che si guarda le mani che, dai e dai, il pollice della destra non è più tornato all’originale. Agita la bomboletta. Tic tic tic.
Cammina a passi lenti verso il muro. Novanta centimetri dal cippo. Butta la cicca a terra, di lato. Scrive.
                                          

DIO C'E'

Due passi indietro per vedere, alla luce della torcia, com’è venuta. Al corso gli hanno insegnato a modificare sempre lo stile e lui sente di essere davvero bravo. Martedì avrà diritto a tre giorni di riposo.

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