lunedì 9 gennaio 2023

primo movimento

 


Primo movimento


Il campetto giù allo scalo è invaso dal primo sole veramente estivo. I ragazzini corrono dietro al pallone gridando. Al Guasto, per arrivare lì, gli è toccato passare davanti al bar della stazione. C’era da giurarci che suo nonno se ne restava lì al tavolino a sentirsi passare gli anni addosso, bevendo quel vino avvelenato e berciando con quegli altri rancidi a chi era nel giusto e chi nello sbagliato. Qualsiasi fosse l'argomento. Non gli piaceva punto passare da quella parte, sentendosi addosso gli occhi di quello schifo d'uomo con le unghie sepolte come fossili sotto ere geologiche di sporcizia e l'alito da trogolo e quel puzzo di piscio e nafta che si portava nei panni frusti. L'aveva sempre odiato quel vecchio e la cosa doveva essere reciproca. A memoria sua, la carogna, il padre di sua madre, non gli aveva mai rivolto un accenno di grazia, un sorriso, un’attenzione. Si limitava a guardarlo come fosse un cane nato con tre zampe. E anche mentre passava con i pantaloni di tre taglie più grandi che gli dondolavano sui passi come la gonna di una ballerina spagnola della televisione, giuraci che era lì a guardarlo con disgusto e la testa piegata di lato. Magari qualcuno dei suoi gli avrà anche domandato “ma non è il figliolo della Cate quello lì?”, chiedendoglielo più per dispetto che per informazione. Lui non avrà risposto, continuando a fissare quel mucchio d'ossa e pelle troppo pallida. 


Abitavano vicini il Guasto e suo nonno. Proprio la stessa casa ma con due porte diverse per entrarci. Il padre era sparito in Belgio e dopo le prime lettere e qualche spicciolo non ne avevano più avuto notizia. La Cate andava a servizio dalla moglie di quello del Consorzio e dice che si consolava con diversi maschi della zona. Era una cosa che si sapeva e a scuola ogni tanto qualcuno gli soffiava come un serpe “Guasto, tua madre è una troia”. Anche al nonno erano arrivate le voci e la sera in casa si sentiva gridare a volte. Dopo una cena ringhiata il vecchio merdaiolo era andato vicino a farla secca con un bottiglione del vino vuoto. Glielo aveva tirato dietro mentre lei si alzava dalla tavola dove dividevano quello che c'era. Di suo, il Guasto s'era convinto che la rabbia del nonno dipendesse da quella maledizione di dover contribuire a sfamare la figlia e il nipote. E poi c'è quella storia del nome, che lui mica se lo ricorda quando hanno cominciato a chiamalo “Guasto” ma quando gli viene quella rabbia lì, che la conosce solo lui e che gli sale dalla pancia alla gola con il sapore amaro di fiele, gli monta il sospetto che quella maledizione d'essere chiamato da tutti così deve essere un regalo, l'unico, del vecchio. Giuraci che è stato lui a cominciare a chiamarlo così con gli amici del bar allo scalo. Dove sta anche adesso e lo guarda e fa la faccia dello schifo. Remo, che così si chiama il Guasto all’anagrafe, va avanti e non si gira, fissando piuttosto l'attenzione sulle lucertole che fuggono al suo passaggio. Lui lo sa bene che se ti muovi piano, pianissimo, quelle bestie lì le freghi e le puoi prendere con il cappio fatto con l’erba lunga e tirarle su allo strangolo e guardare che spasimano di riuscire a infilarsi nei loro buchi. Le tieni sollevate e ti godi quella frenesia disperata come fossi dio che manda le piaghe sulla sua gente.


Il campetto sta lì, riempito dalle urla e dai colpi secchi sul pallone di cuoio consumato. Rubato alla palestra della scuola media di Sapriano, il paese vicino. Perché il cane non piscia mai dove mangia dice il vecchio Morchia che ha fatto il ladro tutta la vita. Le scarpe di tutti non sono buone per quell'agone sportivo e giuraci che a casa qualcuno stasera si prenderà le sberle. Non è certo un problema del Guasto. Lui non gioca. Sta a guardare di là dalla rete e resta seduto sulle seggiolette di plastica ingiallita messe da un improbabile pubblico improvvisato. Nell'erba sporca ci sono due ragazzetti che non sono in età per stare lì in mezzo a giocare ma restano nei paraggi perché può sempre succedere che vengano chiamati dentro a rimpiazzare qualcuno. Stanno lì come i cani sotto il tavolo, che s'approfittano dei pezzi di pane che cadono in terra. E intanto guardano quegli altri che corrono e rotolano nell’erba zellosa e si gridano i morti e i parenti. Ogni tanto arriva anche Simone che ha la stessa età del Guasto e andavano all’asilo insieme ma non si sono mai dati troppa confidenza. Non gioca a pallone, sembra lui il pallone, è grasso e ha gli occhiali con la montatura verde smeraldo e le lenti tondissime a enfatizzare la grossa testa e gli occhi sbarrati. Va in giro con un cagnetto secco e basso, nero focato. Simone lo chiamano con un elenco di trovate spiritose che hanno a che fare con il peso in eccesso e gli occhiali e la puzza dei piedi. Inventano i nomi le rare volte che lo chiamano ma non è mai per cercarlo davvero, piuttosto per ridere a bocche spalancate, di quello sguaiarsi di rabbia e acido dello stomaco alla bocca, che non ha nulla da spartire con il divertirsi. Però lui ha il cane che gli gira attorno allegro, pensa il Guasto. Poi vede un’altra lucertola sul muretto. Immobile al sole. Il rettile muraiolo aspetta una mosca o un altro insetto da acchiappare al volo. Cerca il bastone il Guasto, quel legno nodoso che si porta sempre dietro. Con l’aria di essere un pastore del presepe, che la consistenza del suo pelle e ossa è come la cartapesta e la somiglianza con i pupazielli che il prete mette nello scenario della natività a fine anno è sputata. Solleva lentissimo quell’arma primitiva il Guasto, scortecciata con il coltellino che gli ha regalato la madre dicendo di non perderlo che era svizzero. Lui la Svizzera non ha idea di dove sia, ma quei coltellini devono essere una cosa rarissima. Lui lo sa che la madre il suo l’ha preso dalla scatola dell’armadio. Ci tiene quelle cose segrete che sono i ricordi e le fotografie dell’uomo che doveva essere suo padre ma è stato inghiottito dal Belgio, che sarà vicino alla Svizzera. 

Come una katana dei film di botte cinesi, nel controluce del sole  il bastone resta sospeso in aria, poi cala in picchiata. Sulla lucertola. La muraiola. La schianta, la spezza, la spappola. Muore. Contorcendosi muore.











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