sabato 5 febbraio 2022

Il cane d'Africa

 



E io che racconto per mestiere e per attitudine stavolta non so da dove cominciare. Sul serio. Con Elisabetta Bosio e Cosimo De Nola registriamo i podcast di "Storie di cani", che sono l'estensione sonora del libro "Che razza di cane" e ci divertiamo molto e pare che si diverta la gente ad ascoltarci. Le musiche sono originali e suonate tutte dalla portentosa Elisabetta, le parole sono le mie, sempre lì lì per inciampare inseguendo e superando altre parole. Poi capita che in quella bolla che annulla lo spazio e il tempo che è lo studio di registrazione,, davanti al microfono e senza averla preparata prima, decido di raccontare una storia, questa storia che esce oggi nel podcast e che si intitola "Il cane d'Africa". Inizio quasi prendendola larga e poi a un certo punto comincio a visualizzare le scene e a riportarle come se l'avessi vissuta io. E invece è una storia della memoria familiare, che mi è stata raccontata insieme a mille altre la sera, dopo cena, con mio padre che è stato il più grande narratore di storie sue e di libri d'altri che io abbia mai incontrato e possiamo dunque ben dire di padre in figlio. E insomma mio padre è il protagonista di questa storia e stavolta non si ride per nulla ma si spiegano le radici profonde del mio legame con i cani. E io me lo sono sempre immaginato mio padre a sette anni a Anzio, mentre gli alleati sbarcano e mio nonno ha affondato il dragamine al largo di Trieste per non consegnarlo ai tedeschi, mio nonno che s'era già fatto la Prima guerra mondiale e gli anni negli Stati Uniti e era potentemente antifascista. Me li sono immaginati sempre senza poterli vedere se non nell'indizio genetico che mi porto addosso come se lo porta mio figlio. E insomma registro la storia e a due giorni dalla pubblicazione mi arriva di notte un messaggio da mio fratello Andrea, un altro pezzo importantissimo della mia memoria domestica. Perchè nei giorni dello sbarco ad Anzio tutta la popolazione era stata caricata sulle navi e sfollata in Calabria e in Sicilia. La famiglia di mio padre era stata mandata a Bova Marina. E nel racconto a più voci di quei giorni si diceva che a mio padre e alle sorelle gli avessero fatto un film gli americani sulla nave. Dice che mio padre aveva un passamontagna rosso di lana e sudava e quando l'aereo tedesco li ha mitragliati tutti credevano l'avessero colpito e invece era solo il berretto che stingeva. Insomma mio padre ha passato la vita a cercarsi nei documentari e chiedeva a me che di mestiere frugo negli archivi di trovare quelle immagini sulla nave. Nel 2016 mio padre è andato avanti e non le ha mai riviste quelle immagini, abbiamo anche dubitato fossero mai state girate. Però ci aveva raccontato la sua vita passo passo, dandogli una notazione salgariana che ce la rendeva imperdibile. E l'altra notte mio fratello l'ha trovato. Ho lo spezzone del video e mi sono fatto i fermo immagine perchè ho subito attivato la mia macchina tecnica di mestiere. E lo guardo mio padre e ci sono le sorelle e alle spalle anche mio nonno. Hanno perso tutto. Non sanno dove li stanno portando. E di colpo ho capito che la faccia di mio padre era quella del bambino che racconto in questa puntata del podcast. Era successo tutto pochi giorni prima. Io quasi non riesco più a guardarla quella faccia. Ma ho capito un sacco di cose di me e di tutta la mia vita. Mi dessero solo il tempo di una spaghettata di notte con lui e mio fratello per rivederci quelle immagini insieme. Però abbiamo chiuso il cerchio. Grazie soprattutto a mio fratello Andrea, grazie a tutti e scusate l'impaccio.

Buon ascolto.

Ah già, stavolta Elisabetta ha suonato da strapparmi l'anima



https://open.spotify.com/episode/1AroHE6GvnLXGNw1nEYjPx?fbclid=IwAR0eyx0oZKxxTbkGddG3U2VGWXWPw7ZOhGfWwXsSVLooEoFCXMcXzoOmdpQ














Nessun commento:

Posta un commento