martedì 14 aprile 2020

Noli me Tangeri









Per strada se la presa comoda. Passeggiava senza grossi impacci. S'era ricordato di un suo amico che lo ospitava a Napoli e gli spiegava come camminare evitando d’essere importunato dai venditori di tutto. Bastava guardare avanti, senza consentire allo sguardo di posarsi sulle facce e sulle merci varie. E nessuno ti fermava, perché leggevano in faccia l'assenza di tracce di stupore. I segni di un avvezzo quotidiano tutelavano e ti confondevano tra gli indigeni. Nei vicoli di Tangeri, pareva che la cosa funzionasse davvero. Sempre escludendo i ragazzini che, a gruppi, lo circondavano. Per l'esotico che raccontava la sua faccia e per quel modo di portare in giro le ossa. 
Poi li vide. Forse i vestiti, oppure ancora il modo di camminare. Anche senza distinguerne a distanza le parole, capì subito che erano turisti italiani. E si fermò a guardarli mentre arrivavano. Erano sei, vestiti perfetti con certa roba firmata e i colori studiati e l’aria da scopritori dell’arca perduta. Pantaloni finto militari e sahariane e occhiali da sole fantastici, scarponcini da attraversamento del cataclisma e certe bisacce in fibra di canapa, col marchietto della maria, che già era una bella dichiarazione di trasgressione. Culi rubati alla poltrona di una banca. In vacanza per poterlo raccontare per tutte le sere d’inverno caricando il diaproiettore con le loro emozioni di celluloide in trasparenza. Facevano casino, ridevano guardando la gente e fotografavano. I maschi avevano certi tatuaggetti tribali, sui bicipiti curati nell’inverno alla macchina della palestra. Le femmine avevano i braccialetti alla caviglia e la pelle carica di creme depositate per strati geologici e le collanine comprate nella spiaggia del villaggio turistico. Già, perché si capiva a distanza che erano in libera uscita da uno di quei lager ridenti del tutto compreso. Posti organizzati dove ti acchiappano all’aeroporto e ti scaricano su un piazzale col sole che picchia e ti assegnano la tua baracca fintafavela, che fa tanto caratteristico, e ti portano a fare i giochi in spiaggia e poi a pranzo c’è lo spezzatino con polenta tipico di quelle lande esotiche, perché al posto delle carote ci hanno messo dei tocchi di mango e poi la sera ci sono i balli che dovrebbero stimolarti all’accoppiamento notturno nella casupola ma tanto nella notte li senti tutti che ansimano con quelle pareti sottili e capisci che c’è una gara di rantolo erotico e, se hai conservato un briciolo di dignità dopo il buffet libero, ti giri dall’altra parte e ti metti a dormire. Odiando il mattino che ti porterà animatori e beveroni ghiacciati con la frutta e l’ombrellino. 
“Chiediamo a questo qui” sentì dire “Sarà un americano”. Ancora quella maledizione dello spettro dell’americano che gli alitava sul collo. Gli sorrisero. “Hi man”. “Ciao”, rispose lui. “Capire italiano”. “Solo se parlato correttamente”. “Sei un grande. Troppo figo, capisce l’italiano.” “Già.” disse lui che già si era rotto i coglioni. “Sei pratico di questo posto?” chiese quello che aveva l’aria del capogruppo. “Abbastanza.” “Siamo qui a zonzo e stiamo cercando un po’ di roba buona.” Gli altri ridacchiavano. “Che roba?” “Fumo.” “Ah, fumo.” “Si, siamo qui da tre giorni ma solo oggi siamo usciti dal villaggio e abbiamo deciso di metterci in caccia.” Come non detto, pensò Juri, abitanti di un villaggio turistico. Il villaggio duebale vaticinato da certi cervelli tritasperanze. “Forse posso darvi una mano.” Gli stava venendo un’idea. “Sei un grande.” Era già la seconda volta che il tipo gli diceva quella cazzata e nemmeno gli aveva chiesto altezza e peso e età. Parlava senza serie basi scientifiche a supporto delle sue tesi. “Quanto ve ne serve.” “In realtà pensavamo di farne una bella scorta perché al villaggio c’è un mucchio di amici che sarebbero contenti se tornassimo con un buon bottino.” “Prestami i tuoi occhiali da sole.” “Perché.” “Lo vuoi il fumo?” “Si.” Gli tolse gli occhiali fighi e se li infilò. “Quanto siete disposti a spendere.” “Questi bastano?” Il tipo gli aveva passato una manciata di banconote. Dollari. “Con un altro piccolo sforzo ve ne passo un panetto sano.” In realtà Juri non sapeva nemmeno quanto potesse pesare il panetto intonso ma sperò che gli altri non glielo chiedessero. Spaventati dalla solita paura di non sembrare gente di mondo. Infatti si frugarono nelle borse e gli allungarono qualche altra banconota. “Aspettatemi qui. La cosa è abbastanza semplice ma quella non è gente che si fida delle facce nuove.” “Vengo con te.” “Va bene, tieniti i tuoi soldi e lasciamo perdere. Se mi presento con te mi resta il tempo di sorridere appena e sono già morto. E uno che ride mentre stanno per fargli la festa, rischia di passare per coglione.” Gli altri parevano titubare. Poi il capobranco si fece risoluto. “Va bene, ti aspettiamo seduti a quei tavolini.” “Perfetto, quando arriverò mi siederò tra voi e faremo come se fossimo vecchi amici. Appoggerò la roba sul tavolo e tu” indicò una biondina con l’aria da segretaria tutta fotocopie e pompini “t’infilerai il panetto nella borsa.” “Intesi” rispose ora il leader, che pareva essere entrato nella parte della missione speciale e stava pure per sincronizzare gli orologi. 
Juri s’infilò gli occhiali, “Non preoccuparti per questi, poi te li restituisco. Mi servono per il giochetto.” L’altro sorrise come se avesse capito. E non c’era niente da capire. 
Un ultimo sorriso e Juri sparì tra i vicoli. In tasca aveva quello che avrebbe guadagnato in parecchi giorni di merci scaricate e caricate al porto. Sul naso un paio di lenti da sole griffatissime.
Nei giorni successivi Juri ci si mise di buzzo buono e fregò altri sei gruppi di connazionali. Sempre nello stesso modo. Con gli occhiali da sole sempre tra loro e lui. Lasciandosi invariabilmente inghiottire nel ventre dei vicoli, che ormai cominciava a considerare casa. Un drappello di turisti finto explorer li portò pure al negozio del vecchio a fare acquisti e poi li mollò senza truffa. Per non infierire. 
Ora sotto la sella aveva un bel gruzzolo e cominciò a agganciare i turisti per portarli a zonzo davvero e il vecchio gli passava la percentuale e il gioco del fumo lo faceva solo ai più stupidi e a quelli che s’intestardivano e insistevano e allora te la cerchi e sia fatta la sua volontà.






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