Guarda tu alle volte. Stai lì a mangiare la pizza, in quel
posto modesto di mezzi e di sapori ma che sta sotto casa e ormai ti conoscono e
basta un cenno. Senza parlare dello sconto che conclama il tuo essere recidivo
in quel succedaneo di vita che ti porti addosso e che chiude troppo spesso i
giochi della giornata appoggiato a quei tavoli zoppi a leggere un menù che
conosci a memoria. I venditori di rose rinunciano da un pezzo a fermarsi al tuo
tavolo anche le rare volte che dividi il tempo della tua cena con una femmina. Ti
fosse frullato un pacco di soldi per le tasche, ora stavi a succhiare gamberi
in costa azzurra ma la vita gira come gira e anche una capricciosa può andare e,
oltre a placare la fame, già a ordinarla ti pare di svelare il senso ultimo di
tutta la tua vita amorosa. Con supplemento di salamino piccante dici alle volte
al cameriere, con un sorriso che cerca minima complicità per questo tuo residuo
minimo d’orgoglio libertino. E mentre usi i grissini con lo stomaco come il domatore
farebbe con la frusta davanti alla tigre, alle tue spalle quello arriva
silenzioso come un incursore e prima che tu abbia realizzato accanto al tuo
piatto compare un pupazzetto, una collanina, un accendino, una torcia. E un
biglietto in guisa d’istruzioni, un bugiardino della disperazione tua e sua e
della pizza. Dice che è muto e chiede un’ offerta e mi lascia un pupazzetto sul
tavolo. Mi rigiro questi portachiavi pelosi, queste torce che regalano buio all’anima,
questi babacetti spiritosi che piangono la loro desolazione per la parte che
gli tocca fare ogni sera sui tavoli delle trattorie povere. Lo compro sempre.
Poi esco e lo appoggio a un muretto. Lo regalo alla città. Come pisciare contro un
muro.
Nessun commento:
Posta un commento