lunedì 17 febbraio 2014

Shine on me











disguidi metropolitani. sto camminando verso il parco con il cane. sono completamente svuotato dall'ultima sessione davanti al computer e tra i fogli, per una di quelle cose di mestiere, che cerco di smazzarmi il finesettimana incastrando parole e immagini e pagine e file e chiavette e zippature e te l'ho mandato e non l'ho ricevuto e revisioni e maledizioni e sonno perduto e musica per respirare. Già, il mio mestiere, questo arranco editoriale bianciardiano che mi tiene in vita e mi ucciderà con immutata grazia alla fine. ma ora è notte e mi scrollo i copia e gli incolla dalla punta delle dita e i mela qualcosa, ricordandomi mentre cammino che l'ultima volta che ho mangiato era venerdi a pranzo e ora è sabato ed è notte e nemmeno uno straccio di kebab a portata di passo. respiro però e il cane mi guida come faceva un tempo con le pecore, che tra lui e me c'è comunanza per mestiere di vivere a volte e senza metafora. sono nel controviale che conosco a memoria come conosco a memoria tutte le strade sotto tutte le case che ho riempito in questi anni del niente disordinato che mi camallo da un trasloco all'altro, con la disinvoltura di un assassino seriale di memoria. Non passa nessuno nel viale e ce la camminiamo in punta di notte e il cane, tre passi avanti, ogni tanto si volta a vedere se sono ancora vivo, che le chiavi di casa ce le ho io e non si sa mai. Poi arriva questo con la sua macchina troppo coupè, troppo nuova, troppo giusta, troppo tedesca. Frena davanti al semaforo che è in turno di riposo e respira del sonno che sanno prendersi quegli aggeggi lì quando emettono con regolarità una luce gialla pulsante, che è presa di distanza da ogni responsabilità eventuale, che ti dice fai come cazzo vuoi che è notte ma poi non venirmi a cercare. Questo frena la sua macchina di lusso e scende sul bordo dell'incrocio. Avrà la mia età ma governa uno sproposito di cavalli mentre io ho un cane che potete anche chiamare Libero se volete e ho le dita che ancora grondano resti di parole. Scende e barcolla e è male in arnese e troppi ne vedo di questi che vengono a raccattare un pizzico di bonza dai senegal all'angolo per sentirsi vivi e per giustificare il guizzo della cravatta allentata e della risata e della faccia degna di un quadro di Kokoschka. Quel pittore lì ho sempre pensato che sarebbe stato perfettissimo per illustrare "Il tamburo di latta" fosse stato mai illustrato. come Lada per Sveick, la morte sua. E pure la morte di questo qui che è sceso dalla Porsche, che vigliacco se la propunci con la "e" finale che le spetterebbe. Barcolla e sta male. Arriva davanti all'auto si volta e vomita di getto. Sul cofano. Solo sul cofano. Mi guarda senza vedermi. Il cane s'è fermato e punta come quando c'è un conto in sospeso. L'altro risale in macchina pulendosi le labbra gonfie e bluastre con la manica della giacca. Ha i bottoni dorati. Riparte sgommando. Senza lasciare traccia perchè è così che si muove l'organismo complesso di questa città terminale. Il parco è lì a due passi e noi si riprende a vagare in punta di notte.





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