martedì 5 novembre 2013

La fatica







Dire che aveva perso il lavoro era ancora addolcire la pillola. L'avevano mandato via. Cacciato con il marchio della colpa infamante. La motivazione diceva, in soldoni, che passava le ore a scaricare immagini porno da Internet. E lo spiegavano con certi giri di parole e un uso di sinonimi nauseante. Annusava file di sesso esplicito. Così chiamavano la documentazione scopereccia che infarciva le maglie lasche della rete. Invece di fare il suo dovere, per il quale era pure pagato e a loro, ai capi, sembrava già di fargli un gran favore a dargli lo spettante tutti i ventisette. E ogni mese, con la busta, si beveva la loro faccia da "devi solo ringraziare che". In realtà le cose erano andate diversamente e la sua propensione pornofila non era mai esistita. Tutto era partito dalla moto. La sua. Aveva l'alternatore che caricava male e la batteria se n'era andata al bar a prendere qualcosa di caldo, che in strada pioveva a secchiate. Il motorino d'avviamento, dopo un paio di singulti partecipi, roba di cui non s'era mai fidato, aveva cominciato ad affannarsi e arrancare. Poi il collasso. Dallo scarico destro partì un botto da capodanno. Cazzo. E pure la puttana pioggia a metterci il suo. Guardò verso il discesone del garage. Riservato ai dirigenti. Una spinta con la seconda inserita, mollando la frizione. E sperare. Occhio solo al bagnato e alla ripidezza che enfatizza la potenza dell'auto dei capi ma uccide i tentativi di messa in moto dei sottoposti. Qualora, arrivato giù, la fottuta moto non si fosse accesa, sarebbe stato un casino riportare alla luce il cadavere rugginoso. Ma era l'unica possibilità. Spinse la moto fino all'imbocco della discesa. Si sistemò, con il culo a cercare il comodo sulla sella bagnata. Le palle presero subito la punta di freddo e reagirono a riccio. La sua natura maschia si adeguò e il potenziale di successo con le femmine in quel momento toccò il fondo. Si spinse coi piedi e poi, a frizione tirata, giù verso il buio e l'incognito. I dischi davanti sibilavano. Sempre più giù. Più veloce. Ora. Aspetta ancora. Adesso. Aspetta ti dico. Vai che c'è la curva. Motore che tossisce. Il cardano si punta e la ruota di dietro accenna a intraversare la moto. Boia. Altra tosse dallo scarico. Attacca ed è lei. Viva e roca. Tira la frizione e tiene i giri alti. A corpo morto, giù in fondo. La curva, il buio e il volpino. Cazzo. Cosa ci fa un volpino.



La moglie dell'amministratore delegato aveva un volpino. E ci teneva pure. Lo portava in giro con uno di quei guinzagli che schiacci un bottone e il cane se ne va a zonzo a corda lunga, ripremi un altro bottone e il cane viene richiamato come col mulinello da pesca. Se poi il cagnolo è piccino, in un lampo te lo riporta alla mano e se non ci stai attento te lo avvolge attorno al polso. Insomma lui sbucò dalla discesa in bomba e rombo e fischio di freni, tutto quel casino che fa una Guzzi quando parte. La ruota anteriore passò tra testa e coda della bestiola e, a seguire, il pneumatico posteriore e tutto il carico di ferro e cromo. Nemmeno un lamento flebile. Lo sfiato dell'olio sbrodolò l'eccesso di qualche sera di bagordi. Sul volpino. "Brummel vieni" disse lei pigiando il tasto e un brandello di cane e sangue gli si avventò sul vestito costoso. Costoso, costoso, costoso. La dama svenne. Juri si voltò e li vide. Illuminati dalla luce dello stop. La padrona del cane, volendo anche la sua padrona, scomposta in terra con una pizza di volpino sulla faccia.

Poi si sono inventati quella storia delle foto porno su Internet e l’hanno cacciato via.


Nessun commento:

Posta un commento