mercoledì 24 luglio 2013

Passarlo liscio







Ieri sera al parco. Ci andiamo spesso a cena, è davanti casa e quando verso le dieci di sera riusciamo a radunare i pezzi della nostra tribù sganghera non è più tempo di fornelli e per un pugno di euro ci sediamo davanti a un piatto di porco abbrustolito e a quell'ora il vecchio al bancone ci carica i piatti di plastica di porzioni mica da ridere. E ci piazziamo lì, su quei tavoli lunghi di legno e attorno a noi gente di tutte le parti del mondo che fa i conti con il tempo libero che è pur sempre il tempo che resta. I cani sotto il tavolo se la giocano con le ossa e i pezzi di pane. E c'è l'orchestra del palco grande che sarebbero due computer e un vecchio bavoso con i radi capelli tinti che costruiscono sul cranio scivoloso una struttura che dovrebbe essere un succedaneo seduttivo della capigliatura ma che più propriamente ricorda un'opera di Tatlin. Nella pista, con le basi registrate si agita una budrigona cotonatissima che negli anni sessanta s'era sognata d'essere una cantante e ora gorgheggia in un improbabile spagnolo canzoni d'amore e porta la pelle sblusata sui pantaloni a vita alta e il suo sudore si mischia al fumo della griglia e le collane le si appiccicano alla generosità dello scollo. In alternativa alla garrula brodosa c'è un bel tenebroso con un accento calabro che togliti ma che si gioca il vantaggio di averci trent'anni, che è un bel vantaggio in quella bolgia di vecchi, tutti vecchi, quasi tutti con una vita spesa nella fabbrica e pochi spiccioli d'esistenza da lasciare ancora sul bancone unto. Ieri sera stavamo lì e levavo la carne dall'osso delle coste con la lama fidata del mio Laguiole, un vecchio Maki per chi se ne intende, vedo che all'altro palco, quello dove di solito fanno danza western, stasera si balla occitano. Finiamo di mangiare e ce li andiamo a gardare quelli che si misurano col rigadon e davvero c'è una galleria lombrosiana che mi ricorda che un giorno o l'altro dovrò decidermi a controllare la data di scadenza all'umanità. E ballano e come nel palco del liscio ci son coppie di donne che danzano tra loro e non è traccia di emancipazione e negazione dell'omofobia ma piuttosto il retaggio di tutte le guerre possibili e maschi che dalla battaglia non sono mai tornati. Fateci caso, tutte le volte che c'è un'orchestrina, ci son sempre donne che ballano tra loro. è un indice meramente statistico, un dato biologico, nulla di antropologicamente significativo. Fanno con quello che hanno come in prigione. perchè questo parco li ha imprigionati all'aria aperta, a un passo dai cancelli di una fabbrica che è misura di tutte quelle vite. E l'orchestra suona e vanno fuori tempo. Un oltraggio al tempo è quello che ci vuole. Bravi
Un'altra birra e poi me ne torno a casa.


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