mercoledì 6 febbraio 2013

Diviso a Berlino





Una sera sono andato a vedere uno spettacolo in un locale che mi ricordo benissimo come si chiama ma che non menzionerò per evitare di tirarmela troppo con questa storia della supermemoria. Facciamo quindi che ho un vuoto e annaspo e frugo inutili sinapsi zeppe di storie di paperino sfaticato e pippo yukyuk e orsi che fuggono il ranger con un cestino della merenda tra le zampe. Sia come sia, per entrare in questo locale bisogna scendere delle scale buie e dopo una curva sui gradini, che è una prova di fiducia nel cliente, si arriva in un rettangolo lungo, una stanza bordata a sinistra dal bancone. 

Una chiara media, dici quando non sai ancora come muoverti e non vuoi sbilanciarti.

Parallelo a questa stanza ne corre un’altra. Più grande, ma non molto di più. Sul palco, perché c’è pure un palco, c’era una consolle, così si dice, ma era più moderna di quella che avevamo a casa da piccoli e che aveva uno specchio che io dicevo difettato e mia madre antico. Il tipo dietro alla macchina del suono, discobolo furente, dice che viene da Berlino e questo già basta a fargli guadagnare punti. Così almeno mi sembra, a giudicare dagli entusiasmi estatici di chi mi accompagna e anche di quegli altri, i "sono arrivato prima per prendere il posto migliore". Cosa non si farebbe oggi per un posto. Il tipo ha un caschetto di capelli biondi che a me, abituato ai tedeschi della costa adriatica, pare obbligo morale e di bandiera. Occhiali sottili, dita sottili, gesti sottili, tette sottili. Madò, ha le tette!!! Sodoma, Gomorra e Gallarate tutto insieme. La musica è quella dei giovani contemporanei, accessori da dehor, scissi in un ultimo cruciale congresso, tra la coazione ossessiva a ripetere e i videoclip che sono troppo una figata. Zibu zabu zibu zabu, rengheghe rengheghe, zibu zabu zibu zabu e poi urletti, fischietti e scorreggette a mordicchiare il tappeto sonoro. Che bravo, sento dire, e ho capito che intendono lui che non suona e non fa nemmeno le pernacchiozze e per intuire d’essere vivo mi passo la mano sul viso. Giusto per sentire il grattare dei calli della ridicola chitarra acustica che nascondo sotto il letto. E non saprò mai suonare. E quello, che, giuro, è bardato di cazzo, dondola le tette e la testa mentre alle spalle gli proiettano delle slide di immagini che devono essere molto artistiche pure quelle ma io me ne intendo poco. Che bella vertigine. Arte, suono, bellezza ditribuita ovunque e suono, arte, bellezza zibu zabu. Un trionfo futuristico di stimoli verso il futuro tecnologico. Ancora arte meravigliosa, pensieri profondi spremuti come limoni astringenti in quelle sfocature sciolte come llo sciroppo d'orzata nei bicchieri colmi d'acqua fresca i pomeriggi d'estate da piccolo. Sfocature che devono far intuire membri tesi tra la porta del paradiso e quella di servizio. E Laura, vabbè qualche indizio ve lo lascio cadere con disinvolto gesto, che è miope e non ha gli occhiali, sovrappone a quella sfocatura l’altra, quella che dio le ha montato come accessorio costoso per farle sembrare che tutto attorno è più leggero, almeno fino a quando dimentichi gli occhiali, mi chiede cos’è e io rispondo "un cazzo" e lei dice ma dove lo vedi e io traccio con pazienza nell’aria e nel buio il profilo del maschio proiettato. Attorno gli altri sorridono, ma solo per la mia manifesta impermeabilità a quell’arte altra e alternativa e trasgressiva per voi citrulli, penso, che io me lo vedo duro come e più di quello tutte le volte che voglio e lì fiocca poesia e immodesto soppesare attrezzi d’amore e valvole della passione eccedente. Topo di campagna, mi ringuatto col muso tra le zampe, guardandomi dal commento e, dio come può scendere in basso l’uomo mimetico, arrivando a muovere la testa a dondolo, come rapito dall’estasi ipnotica del suono maestro. Sognando l'estasi in bilico tra la fame e dio che prendeva le tarantate prima che fosse moda pure quella. Il terziario avanzato, lasciate le Bic dietro gli sportelli di banca, le impronte persistenti delle chiappe sulle seggiole a ruote, celebra invasato la sua santeria e io con loro. Forse mendicando briciole d’attenzione ma più sicuramente beando la mia strulla curiosità. Se solo avessi le tette sarei perfettissimo ora.

La notte si torna meglio a casa.



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