Una
sera sono andato a vedere uno spettacolo in un locale che mi ricordo
benissimo come si chiama ma che non menzionerò per evitare di
tirarmela troppo con questa storia della supermemoria. Facciamo
quindi che ho un vuoto e annaspo e frugo inutili sinapsi zeppe di
storie di paperino sfaticato e pippo yukyuk e orsi che fuggono il
ranger con un cestino della merenda tra le zampe. Sia come sia, per
entrare in questo locale bisogna scendere delle scale buie e dopo una
curva sui gradini, che è una prova di fiducia nel cliente, si arriva
in un rettangolo lungo, una stanza bordata a sinistra dal bancone.
Una chiara media, dici quando non sai ancora come muoverti e non vuoi
sbilanciarti.
Parallelo a questa stanza
ne corre un’altra. Più grande, ma non molto di più. Sul palco,
perché c’è pure un palco, c’era una consolle, così si dice, ma
era più moderna di quella che avevamo a casa da piccoli e che aveva
uno specchio che io dicevo difettato e mia madre antico. Il tipo
dietro alla macchina del suono, discobolo furente, dice che viene da
Berlino e questo già basta a fargli guadagnare punti. Così almeno
mi sembra, a giudicare dagli entusiasmi estatici di chi mi accompagna
e anche di quegli altri, i "sono arrivato prima per prendere il posto
migliore". Cosa non si farebbe oggi per un posto. Il tipo ha un caschetto di capelli biondi che a me,
abituato ai tedeschi della costa adriatica, pare obbligo morale e di
bandiera. Occhiali sottili, dita sottili, gesti sottili, tette
sottili. Madò, ha le tette!!! Sodoma, Gomorra e Gallarate tutto
insieme. La musica è quella dei giovani contemporanei, accessori da dehor, scissi in un ultimo
cruciale congresso, tra la coazione ossessiva a ripetere e i
videoclip che sono troppo una figata. Zibu zabu zibu zabu, rengheghe
rengheghe, zibu zabu zibu zabu e poi urletti, fischietti e
scorreggette a mordicchiare il tappeto sonoro. Che bravo, sento dire,
e ho capito che intendono lui che non suona e non fa nemmeno le
pernacchiozze e per intuire d’essere vivo mi passo la mano sul
viso. Giusto per sentire il grattare dei calli della ridicola
chitarra acustica che nascondo sotto il letto. E non saprò mai
suonare. E quello, che, giuro, è bardato di cazzo, dondola le tette
e la testa mentre alle spalle gli proiettano delle slide di immagini che devono essere molto artistiche pure quelle ma io me ne intendo poco. Che bella vertigine. Arte, suono, bellezza ditribuita ovunque e suono, arte, bellezza zibu zabu. Un trionfo futuristico di stimoli verso il futuro tecnologico. Ancora arte
meravigliosa, pensieri profondi spremuti come limoni astringenti in
quelle sfocature sciolte come llo sciroppo d'orzata nei bicchieri colmi d'acqua fresca i pomeriggi d'estate da piccolo. Sfocature che devono far intuire membri tesi tra la porta del
paradiso e quella di servizio. E Laura, vabbè qualche indizio ve lo
lascio cadere con disinvolto gesto, che è miope e non ha gli
occhiali, sovrappone a quella sfocatura l’altra, quella che dio le
ha montato come accessorio costoso per farle sembrare che tutto
attorno è più leggero, almeno fino a quando dimentichi gli
occhiali, mi chiede cos’è e io rispondo "un cazzo" e lei dice ma
dove lo vedi e io traccio con pazienza nell’aria e nel buio il
profilo del maschio proiettato. Attorno gli altri sorridono, ma solo
per la mia manifesta impermeabilità a quell’arte altra e
alternativa e trasgressiva per voi citrulli, penso, che io me lo vedo
duro come e più di quello tutte le volte che voglio e lì fiocca
poesia e immodesto soppesare attrezzi d’amore e valvole della passione eccedente. Topo di campagna, mi ringuatto col muso tra le zampe,
guardandomi dal commento e, dio come può scendere in basso l’uomo
mimetico, arrivando a muovere la testa a dondolo, come rapito
dall’estasi ipnotica del suono maestro. Sognando l'estasi in bilico tra la fame e dio che prendeva le tarantate prima che fosse moda pure quella. Il terziario avanzato, lasciate le Bic dietro
gli sportelli di banca, le impronte persistenti delle chiappe sulle
seggiole a ruote, celebra invasato la sua santeria e io con loro.
Forse mendicando briciole d’attenzione ma più sicuramente beando
la mia strulla curiosità. Se solo avessi le tette sarei
perfettissimo ora.
La notte si torna meglio a
casa.
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