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Dire che aveva perso il lavoro era ancora addolcire la
pillola. L'avevano mandato via. Cacciato con il marchio della colpa infamante.
La motivazione diceva, in soldoni, che passava le ore a scaricare immagini
porno da Internet. E lo spiegavano con certi giri di parole e un uso di
sinonimi nauseante. Annusava file di sesso esplicito. Così chiamavano la
documentazione scopereccia che infarciva le maglie lasche della rete. Invece di
fare il suo dovere, per il quale era pure pagato e a loro, ai capi, sembrava
già di fargli un gran favore a dargli lo spettante tutti i ventisette. E ogni
mese, con la busta, si beveva la loro faccia da "devi solo ringraziare
che". In realtà le cose erano andate diversamente e la sua propensione pornofila
non era mai esistita. Tutto era partito dalla moto. La sua. Aveva l'alternatore
che caricava male e la batteria se n'era andata al bar a prendere qualcosa di
caldo, che in strada pioveva a secchiate. Il motorino d'avviamento, dopo un
paio di singulti partecipi, roba di cui non s'era mai fidato, aveva cominciato
ad affannarsi e arrancare. Poi il
collasso. Dallo scarico destro partì un botto da capodanno. Cazzo. E pure la
puttana pioggia a metterci il suo. Guardò verso il discesone del garage. Riservato
ai dirigenti. Una spinta con la seconda inserita, mollando la frizione. E
sperare. Occhio solo al bagnato e alla ripidezza che enfatizza la potenza
dell'auto dei capi ma uccide i tentativi di messa in moto dei sottoposti.
Qualora, arrivato giù, la fottuta moto non si fosse accesa, sarebbe stato un
casino riportare alla luce il cadavere rugginoso. Ma era l'unica possibilità.
Spinse la moto fino all'imbocco della discesa. Si sistemò, con il culo a
cercare il comodo sulla sella bagnata. Le palle presero subito la punta di
freddo e reagirono a riccio. La sua natura maschia si adeguò e il potenziale di
successo con le femmine in quel momento toccò il fondo. Si spinse coi piedi e
poi, a frizione tirata, giù verso il buio e l'incognito. I dischi davanti sibilavano.
Sempre più giù. Più veloce. Ora. Aspetta ancora. Adesso. Aspetta ti dico. Vai
che c'è la curva. Motore che tossisce. Il cardano si punta e la ruota di dietro
accenna a intraversare la moto. Boia. Altra tosse dallo scarico. Attacca ed è
lei. Viva e roca. Tira la frizione e tiene i giri alti. A corpo morto, giù in
fondo. La curva, il buio e il volpino. Cazzo. Cosa ci fa un volpino.
La moglie dell'amministratore delegato aveva un volpino. E
ci teneva pure. Lo portava in giro con uno di quei guinzagli che schiacci un
bottone e il cane se ne va a zonzo a corda lunga, ripremi un altro bottone e il
cane viene richiamato come col mulinello da pesca. Se poi il cagnolo è piccino,
in un lampo te lo riporta alla mano e se non ci stai attento te lo avvolge
attorno al polso. Insomma lui sbucò dalla discesa in bomba e rombo e fischio di
freni, tutto quel casino che fa una Guzzi quando parte. La ruota anteriore
passò tra testa e coda della bestiola e, a seguire, il pneumatico posteriore e
tutto il carico di ferro e cromo. Nemmeno un lamento flebile. Lo sfiato
dell'olio sbrodolò l'eccesso di qualche sera di bagordi. Sul volpino.
"Brummel vieni" disse lei pigiando il tasto e un brandello di cane e
sangue gli si avventò sul vestito costoso. Costoso, costoso, costoso. La dama
svenne. Juri si voltò e li vide. Illuminati dalla luce dello stop. La padrona
del cane, volendo anche la sua padrona, scomposta in terra con una pizza di
volpino sulla faccia.
Poi si sono inventati quella storia delle foto
porno su Internet e l’hanno cacciato via.
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