mercoledì 17 settembre 2014

Tango figurato del disdoro. Figura 1.

le dieci figure di merda che mi hanno segnato nella vita.

Figura 1


Aspetto tutti i giorni all'uscita del liceo, lì sulla scalinata. Faccio finta di parlare con gli altri ma in realtà aspetto lei. Un giorno riesco ad accompagnarla alla fermata del bus. tanto facciamo la stessa strada. ometto di dire che in realtà io sono in motorino e lo lascio lì dandogli un'occhiata complice. si tratta del solito ferro razza Ciao che se mi leggete avete imparato a conoscere. ho gli anfibi, i pantaloni neri di fustagno strettissimi, una catena che penzola dai pantaloni e un giaccone grosso e rosso che è inverno e fa freddo e il chiodo non regge (praticamente sono vestito come adesso ma all'epoca avevo trenta chili di meno addosso). ho circa quindici anni. parlo e parlo che quando mi intimidisco parlo ancora di più e mi ammazzerei come un moscone da solo. vorrei lei mi sorridesse (in realtà ben altre sono le mie aspettative ma devo scrivere così per la sensibilità del pubblico da casa). forse le parlo di musica, forse le parlo del sogno di viaggiare, probabilmente parlo di antinucleare che lei è fissata e frequenta un gruppo di quelli che fanno i campeggi nelle centrali nucleari per protesta e sono un po' della parrocchia un po' no. è evidente che parlo di fine settanta inizio ottanta. infatti i miei ricordi sono su pellicola e spesso negativi. non ci capisco un cazzo di antinucleare ma quasi mai parlo di cose con consapevolezza e competenza. mentre deliro di scorie e nubi tossiche scivolo su una cazzo di ghiaietta e mi inciampo nel gradino della discesetta di un garage. in pieno centro. ho le mani ficcate nelle tasche strettissime dei pantaloni strettissimi e sento una stretta al cuore strettissima mentre percepisco in mio corpo cadere al suolo come un pioppo giovane destinato alla cartiera (dai che questa similitudine omerica ti ha lasciato di stucco). le cado lungo davanti, come la sbarra del passaggio a livello (va bene, la smetto con le similitudini). lei resta interdetta. io mi dimeno nel tentativo di liberare le mani dalle tasche e sembro una grossa larva agghiacciante. mi sto rotolando nella polvere e scricchiolo nella fottuta ghiaietta. rido, madonna come rido e la risata mi toglie il fiato e le forze e alla fine mi abbandono, lascio che la testa s'appoggi al selciato e rido, sempre con le mani ficcate tra l'inguine e il fustagno. voglio morire. a questo punto non ha più senso alzarsi. lasciatemi qui come una cosa abbandonata in un angolo e dimenticata, diceva il poeta. io riesco solo a ridere con le lacrime agli occhi e questa qui che mi guarda e la gente che pensa "il solito drogato" che in quegli anni era di moda drogarsi e immaginare tutte le persone che rantolavano a terra dei drogati. lei alla fine si allontana. non dice una parola. resta a guardarmi a tre metri di distanza. la giusta distanza per non essere accomunata. arrestata eventualmente. alla fine riesco a rialzarmi.
il pomeriggio mia madre viene a chiedermi perchè continuo a ridere nella mia stanza come un cretino. me lo chiede ma le leggo negli occhi che sospetta mi sia drogato. lei l'ho rivista da poco e non ci salutiamo nemmeno. ha dei figli e un marito perfetto e la sua vita è rimasta contaminata dal tempo, che è peggio di qualsiasi scoria nucleare. io mi sono montato un contatore geiger sulle emozioni. per la bellezza dell'anima. ma non funziona.

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