E noi non ci sappiamo
vestire e noi non ci sappiamo spogliare e noi non ci sappiamo raccontare, quando
è il momento raccontare, nei bar davanti al mare.
Sono passati abbondanti venti anni da quella casa, da quel
sottotetto con il pavimento interamente in stuoia di cocco, che quando facevi
l’amore per terra, capitava, ti veniva la sindrome del parmigiano sulla
grattugia. Non c’era una lira che fosse una. I pochi soldi che guadagnavamo li
reinvestivamo in pellicole e obiettivi e la botta di culo dei contratti grossi
e la moto nuova e la casa in affitto col giardino immenso e le cene in giro
dovevano ancora arrivare e sarebbero pure sparite presto. C’era questo posto che vendeva tutto
all’ingrosso e che esiste ancora in tutta Italia e io ci andavo e impazzivo a
guardare enormi pile di biscotti, barattoli di maionese da trenta chili, interi
quarti di bue provenienti dall’Argentina. Per entrare ci voleva la tessera e
non mi ricordo come c’era questa tessera che girava tra tutti e quando serviva
te la facevi dare, che allora era tutto uno scambio senza che nulla fosse
davvero di qualcuno. Io ogni volta che avevo la possibilità di entrare in quel
posto venivo preso da una vertigine e una volta m’ero speso la cassa comune per
un sacco enorme di fondenti alla menta. Un giorno, tessera in mano, andiamo a
fare la spesa. Si viveva in case riempite da gente che andava e veniva e il
frigo era terra di nessuno. Avevamo i soldi incassati da un lavoro recente.
Pericolosissima situazione per me averci dei soldi in mano. Vedo una latta di
crema cioccolato nocciola uso pasticceria. Credo fossero una decina di chili di
succedaneo della Nutella. Già ve lo state immaginando. La compro. Torniamo a
casa e, in quell’estate lì di caldo da schiantarsi, decidiamo di mettere la
latta di Fintella nel frigo, che tanto con l’aria che tirava spazio ce n’era in
abbondanza. Per mesi mangiamo i panini rubati a mensa e guarniti con la Nutriella.
Un pomeriggio siamo lì accampati e non mi ricordo nemmeno bene chi ci fosse.
Qualcuno studia, qualcuno cucina, probabilmente tutti dormono buttati in giro.
Vatti a ricordare. Giro in mutande e anfibi perché il pavimento in stuoia di
cocco vecchio di cento anni ti fresava il plantare come in quella pubblicità
recente che c’è uno che usa una spazzola per le piante dei piedi e poi la apre
e ti fa vedere tutto il cozzo estratto dalle sue estremità con bella
soddisfazione. Ste è in bagno. Apro il frigo per prendere una birra e vedo la Micidiella
che sta lì, ora odiata da tutti. Con un dito ne saggio la consistenza. A stare
nel frigo è diventata come la plastilina. Lampo di genio puro. Vado davanti
alla porta del bagno e comincio a urlare “Ste ti prego, devo andare in bagno,
apri ti prego…”. Dopo qualche secondo Ste apre uno spiraglio e mi chiede cosa
cazzo voglio. Balbetto “Fammi entrare, ho bisogno del ba….”. Sbarro gli occhi e
resto pietrificato a guardarla. “Cosa c’è?” “Cazzo no” “No cosa” “Te l’avevo
detto di sbrigarti”. Comincio ad arretrare senza darle le spalle. “Ma che cazzo
hai fatto”. “Niente, niente, lasciami il bagno”. “Ma… ti sei cagato addosso?”
“No no… lasciami il bagno per favore”. Stanno arrivando anche gli altri sparsi
in giro. Mi guardano inorriditi. Ste mi afferra un braccio e mi volta. Sul
fondo dei miei boxer si percepisce nettamente un grosso bolo marrone. “Che
schifo, ma sei impazzito”. Mi rigiro spalle al muro “Ma insomma, che sarà mai…
in fondo…” mi infilo le mani nella parte posteriore delle mutande “è solo
cacca” estraggo uno stronzolone confezionato con la Falsella e lo tengo in mano
davanti a tutti gli sguardi allibiti “e poi mi son sempre chiesto che sapore
ha” e mi pappo lo stronzolone di buon appetito. Ste grida fisso, senza una
gamma tonale variata, un lunghissimo grido monocorde. Qualcuno si sente male.
Tutti gridano.Il cane ulula con il muso rivolto al soppalco, che il cielo a noi non ci spettava.
Il fatto che tutti ci avessero creduto la dice lunga
sull’idea che il mondo ha di me.
Dolcetto scherzetto.
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