martedì 17 aprile 2012

contando i mesi e i cani




Blu è un cane, dire era mi risulta a oggi difficile anche se non sono uno smancerioso. Blu è stato il principe di tutti i cani. Un'appendice pelosa del mio sentire. Della mia anima cisposa. M'ha seguito più della mia ombra. Ha visto tutte le mie giornate povere e affamate. Ha dormito sempre sotto il mio letto. Quando c'era un letto in cui dormire. Se il freddo lo giustificava davvero saltava tra le coperte e si metteva a ciambella. Blu era uno tostissimo. Se gli tiravi la palla si spostava quel tanto e ti piantava gli occhi negli occhi. E ti sentivi uno scemo. Se lo accarezzavi ti obliterava la mano col suo dente giallo. Quello dell'avvertimento. Se gli rompevi il cazzo ti piantava nella carne il suo dente bianco. Quello del conto al tavolo. Blu non era solo un duro, era un pezzo di merda. Addosso si portava un mucchio di segni e una narice squarciata come Jack Nicholson in Chinatown. L'ho trovato in un box del canile e tutti che gli giravano alla larga. Cimurro e tre giorni di vita. Per curarlo mi sono asciugato tutti i soldi messi via lavorando in nero per i sindacati. Di salire nella  macchina nemmeno a pensarci, che mordeva a sfiorarlo. Ho passato le chiavi della 127 a Ste e mi sono sfidato a tenere il passo per la decina di chilometri che passava dal canificio a casa. Io e lui. Giusto per saggiarci pasta e fibra. A me non mi ha mai morso. Ha occupato la facoltà, ha dormito sei anni sotto il mixer mentre lavoravo alla radio, ha viaggiato per tutta la vita tra bagagli, macchine fotografiche, cavalletti e lampade da un miliardo di watt. Odiava i pulotti e quelli che mi guardavano storto. Per questo i primi. S'era preso carico di proteggere Ste anche se non glielo chiedeva nessuno. S'era fatto una ragione di certi prolungati sobbalzi del letto e rimaneva sotto paziente. Due volte il letto s'è sfondato e per poco ci lascia il collare. Ricambiavo facendo il palo quando ai giardini trovava una struffa che gli piaceva. Io ero quello che dava a parlare al padrone.
Col tempo era diventato la celebrazione di se medesimo. Stimato da bikers, baristi e suonatori. Riusciva a dormire appoggiato alla cassa dello stereo a palla. Negli ultimi mesi era parecchio sordo e pure io sono messo maluccio. I rischi di certi stili di vita.
Un giorno è arrivato il camion. Ha caricato tutti i mobili e i libri e i dischi e i passi di tre anni tra quelle pareti. Blu quella notte è rimasto nella casa vuota. La mattina dopo tagliavamo il nastro alla nostra vita torinese. Io ero già a destinazione. Babà, l'altra metà della mia vita da cani, aveva accompagnato Ste a dormire da Alessia. In quel buio lì Blu è morto. Andato senza saluto per non doversi commuovere almeno quella volta. Era partito da lì quindici anni prima e forse non aveva voglia di tener duro fino al prossimo ritorno.
Ho pianto, dio bono se ho pianto. La sera ho comprato un kebab e l'ho lanciato lontano. Dopo averne mangiato mezzo.

Così comincia la mia storia torinese ufficiale, quella fatta di una casa con la cassetta della posta col nome mio e un garage per tenere la moto al caldo e qualcuno che mi apre la porta, che io le chiavi non le ho mai.


 

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